martedì 25 febbraio 2014

VIETNAM - Visitare i tunnel di CU CHI, un'esperienza unica

CU CHI


Voglio raccontarvi dell’esperienza vissuta  durante la visita ai  Tunnel di CU CHI. Prima di scrivere queste righe mi sono fermato a riflettere per meglio rielaborare ciò che ho visto e ciò che ho provato.
Erano anni che desideravo fare questa visita ai Tunnel,  influenzato dai tanti film girati  sulla guerra del Vietnam, per capire la strategia adottata dai Vietcong per sconfiggere prima i Francesi nella guerra di liberazione (1945 – 1954) e poi  Americani tra il 1960 e il 1975. Questi tunnel sono costituiti da  una fitta rete di gallerie sotterrane costruite su due- tre livelli di profondità, ampliati in occasione della guerra del 60-75, che consentivano ai guerriglieri di muoversi senza essere visti, di portare rifornimenti, informazioni e soprattutto di sopravvivere alla schiacciante superiorità del nemico dotato di sofisticati e moderni armamenti e che bombardavano per via aerea. Dentro questi tunnel si trovava di tutto: ospedali, depositi di armi, dormitori, cucine e tante altre cose necessarie alla sopravvivenza e al combattimento. Essi
Appena giunti da Mui Ne ad  Ho Chi Minh ci organizziamo per la visita ai tunnel. L’intenzione era quella di riuscire a visitarli liberamente senza ricorrere a nessuna agenzia per evitare i ritmi imposti dalle guide per riuscire a far muovere il gruppo in armonia e per avere il giusto silenzio, necessario per riflettere, immedesimarsi e ricreare  nella mente situazioni passate. Tuttavia, un po’ per pigrizia, un po’ per mancanza di tempo, ci rivolgiamo ad una delle tantissime agenzie che propongono questo tour.


Di buon mattino viene a prenderci davanti all’agenzia un ragazzo che sarà la nostra guida per tutta la giornata. In compagnia di altre 20 o 25  persone di varie provenienze partiamo in bus alla volta di CU CHI. Arrivati sul posto la guida fa i biglietti per tutti e attraverso un tunnel (non dei Vietcong J ) arriviamo in una sala dove ci viene proiettato un documentario del 1967 che illustra la vita dei soldati rivoluzionari e le modalità di collaborazione dei civili nella lotta armata. Finito il documentario ci spostiamo  all'imbocco di uno dei tunnel. La guida  indica un punto sul terreno dove si vedono altro che foglie e terra: nessun buco, nessun segno visibile. 

In un secondo momento muove alcune foglie col piede e scopre una piccola botola di legno rettangolare, non più lunga di 40 cm e larga 30. La apre e spiega che quella è un'entrata "standard", mantenuta con le misure originali per dare meglio l’idea ai visitatori di ciò che sono state le strategie adottate. Chiede se qualcuno se la sente di entrare chiudendo l’ingresso con il coperchio dopo essere entrato. Dentro non si vede altro che una biforcazione e poi il buio, in entrambe le direzioni: sembra la tana di una talpa. "Il volontario deve essere magro," spiega, "a misura di vietnamita." Poi fa una  battuta: io riuscivo a capire perché vicino c’era una coppia di francesi il quale traduceva alla sua ragazza e di conseguenza ascoltavo, Mary era alle prese con le foto. "I soldati americani, rimanevano bloccati quando cercavano di entrare nei tunnel perché erano grassi." Simula una pancia gonfia con le braccia. "Gli piaceva troppo fumare la marjuana, e la marjuana mette fame."


Mentre con la mente cercavo di proiettarmi a quel periodo, uno sparo in lontananza mi distrae, poi un altro e un altro ancora. "Hai sentito?" chiedo a Mary. Lei non l'ha sentito,  io mi sto sicuramente sbagliando. Deve essere una mia fantasia legata al luogo in cui mi trovo,  certo è che questo  mi preoccupa ( oppure  è colpa dei  troppi film spazzatura che Hollywood ha dedicato al tema e che io mi sono sorbito. Proseguiamo  per ammirare le micidiali e atroci trappole che i VietCong nascondevano per impedire ai loro nemici di trovare i tunnel. Vecchie gabbie per tigri, buche con una varietà di spuntoni in bambù o in ferro, insomma lascio a voi immaginare le conseguenze dei soldati vittime di queste trappole. I malcapitati rimanevano così bloccati e feriti, finché i VietCong non andavano a recuperarli per portarli nelle prigioni e trasferirli poi ad Hanoi, nel Nord. Camminiamo nel bosco e li noto un curioso cartello con su scritto  “non fumare”, meravigliato penso “cavoli! Sono davvero avanti, vietano di fumare anche nei parchi”. Su un opuscolo c’è scritto che in quel periodo il bosco non c’era perché non vi era rimasto alcun albero. Solo terra bruciata, grazie ai bombardamenti al Napalm ed agli agenti chimici a base di diossina usati dagli Americani. Oggi è un bellissimo bosco pieno di alberi da cui si ricava la gomma. Proseguiamo e ci avviciniamo ad un albero che ha un foro vicino alle radici, ecco! 


Questo è un’altra trappola anzi più precisamente una postazione per spiare o fare imboscate al nemico. Infatti sotto le radici vi è il tunnel.  Poco lontano troviamo un   carro armato americano, probabilmente danneggiato da una mina anticarro. Quì sento di nuovo gli spari. Una vera e propria mitragliata ed anche molto vicina. Poi altri spari ancor più vicini, adesso anche Mary li ha sentiti, ho un sospiro di sollievo “Non sono in guerra  nel Vietnam J”. Finalmente arriviamo alla sorgente  di quel rumore e io resto sbalordito: c'è una cava di terra rossa alla cui estremità sono sistemate diverse armi: gli AK47 vanno per la maggiore, ma c'è anche un M16 montato su un cavalletto, a bordo di una Jeep dell'esercito americano. Adesso capisco perché la guida sul bus diceva che si poteva anche sparare, ma pensavo che forse Mary  non avesse capito bene.  Quindi per una cifra dai 30.000 ai 60.000 VND è possibile sparare con una di quelle armi. Noto che sono in molti a provare anche uno di noi, un australiano, decide di farlo. Mi avvicino incuriosito alla postazione ma sono subito fermato da un soldato  che mi invita a fare il biglietto ed a prendere le cuffie.  A me non interessa, odio in genere tutte le armi poi figuriamoci quelle che hanno ucciso tantissime persone. Comunque la situazione è bizzarra: in un luogo in cui un'atroce guerra d'aggressione ha avuto luogo, turisti occidentali, provenienti da quello stesso mondo un tempo sconfitto, impugnano quelle stesse armi per gioco, sotto gli occhi annoiati dei locali che con intelligenza hanno ben saputo rielaborare la sofferenza passata per coglierne il lato positivo riuscendo oggi a ricavare profitti.  Nel frattempo l’australiano si mette in posizione con le gambe una davanti all'altra, avvicina un occhio al mirino, si concentra e Ta-ta-ta- fa fuoco, sembra soddisfatto. Il soldato vietnamita, responsabile di quell'arma, lo guarda con un'espressione insignificante ad una distanza di un metro. Si avvicina per ricaricare il fucile, senza dire una parola, poi torna al suo posto e di nuovo Ta-ta-ta . Ho la sensazione che tutto questo non gli piaccia affatto. Quanto a me, perdo volentieri l'occasione di impugnare un'arma per la prima volta, ma come dicevo non è una delle mie aspirazioni J.


Dopo aaver mangiato una bella  pannocchia di granoturco arrostita lasciamo il poligono di tiro, arriviamo all’entrata di un tunnel, la guida ci dice che chi vuole e se la sente può provare ad entrare, tutti ci cimentiamo in questa esperienza, io sono tra i primi. Mary in un primo momento è titubante,  ma forse spinta dalla sua curiosità o dalla sua audacia incoscienza si infila nel tunnel senza sapere cosa  gli avrebbe riservato questa sua curiosità. Una volta dentro al primo tunnel, si scende  in un secondo assimilabile al buco di una talpa e da dove è impossibile ritornare indietro. 


Mi precede una guida che forse per la sua velocità eccessiva improvvisamente scompare dal mio campo visivo. Io comincio a fare respiri profondi, sento che mi manca l’aria, il tunnel mi pareva infinito. Pensavo a come avrebbe fatto Mary e comincio a preoccuparmi sul serio. Procedo con ansia e anche con un po di paura,  ad un certo punto arrivo a  una biforcazione e sono indeciso se andare a destra o a sinistra, la luce che penetra da una parte mi fa capire che di la c’è l’uscita, cosi finalmente rivedo il cielo .


Nel frattempo sento la voce di Mary che urla quasi disperata chiamandomi, mi avvicino  di nuovo al tunnel e la guido con la voce . Finalmente esce  con un viso quasi cadaverico. Penso che questa esperienza le abbia fatta capire che occorre anche saper rinunciare a certe esperienze che spesso si rivelano traumatiche. Quando siamo di nuovo tutti fuori, stravolti ma  contenti di essere ancora vivi, dopo averci contati, la guida sorridente  dice: "Se volete continuare a camminare da quella parte potete sbucare fino in Cambogia! E pensate" continua " che una parte dei tunnel si trovava proprio sotto una delle basi americane. Loro cercavano Charlie, e lo l'avevano sotto al sedere!"
Continuava a raccontarci che le scarpe erano costruite con la gomma dei copertoni dei blindati catturati agli Americani e che spesso i Vietcong usavano astuzie, all’apparenza banali, per ingannarli, come per esempio indossare calzature la cui suola è attaccata alla tomaia al contrario, in modo da far pensare di andare nella direzione opposta a quella invece effettiva.
Per concludere, è incredibile, inimmaginabile, pensare a come questo popolo sia riuscito con pochi mezzi  ma con l'astuzia a tener testa ed a sconfiggere gli americani. L'ingresso nei tunnel non è consigliato a chi soffre di claustrofobia ed anche chi non ne soffre, come me...... ma è un'esperienza che sono felice di aver fatto.

CIAO VIETNAM.

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