I
MIEI VIAGGI IN MEXICO
Ho visitato tre volte questo meraviglioso
paese: la prima volta nel 1990 quando, avendo a disposizione 35 giorni, mi sono
addentrato nella parte sud da Città del Messico all’Ycatan, la seconda nel 2000
quando in 40 giorni mi sono mosso alla scoperta del nord: dalla capitale Mexico City sono passato
a Durango, poi a Chihuahua e da qui con il ferrocarril a Crel,
a Divisadero fino a Los Mocis. La terza volta, dopo anni siamo ritornati nel sud per 20 giorni circa per rivedere e scoprire nuovi luoghi come lo stato del Quintana Roo. Nel 2000 durante il nostro secondo viaggio abbiamo avuto modo di
Barranca Del Cobre
conoscere la meravigliosa Barranca
Del Cobre, di ammirare rari intrecci di gole aggettanti nelle viscere della
terra fra pini e abeti, grotte e rocce. Ho visto cieli di color cobalto, aspre
cime rocciose, conifere secolari, laghi incantati, un dedalo di canyon avvolto
da vegetazione tropicale esteso per 2000 kmq e formato da oltre 200 valli che
danno vita a un sistema orografico costituito da cinque barrancas comunicanti
tra loro molto profondi e con una estensione di quattro volte quella del Gran Canyon
dell’Arizona, abitate dagli indios
Tarahumara, popolo timido e silenzioso le
cui donne sono dediti alla costruzione e
vendita di bamboline di pezza e fili multicolori di lana e minuscole sedie
nella stazioncina azzurra e bianca di
Divisadero.
Da qui si possono scoprire luoghi
incantevoli come grotte adibite ad abitazione dove vivono gli indios dai piedi leggeri, cascate e canyon più nascosti
Da Divisadero ha inizio la grande e
pazza discesa verso il mare, una discesa
da ottovolante tra foreste cascate e piccole stazioni prese d’assalto dai venditori ambulanti che
offrono pannocchie di mais cotte al vapore e il dolcissimo quesa de tuna biscotto a base di noci, pinoli, mandorle e arachidi.
La vegetazione cambia man mano che si
scende di quota: dalle aghifoglie si passa agli enormi cactus a candelabro,
agli ibischi, alle coloratissime bungavillee, alle palme, ai banani.
L’aria si fa
sempre più calda e umida fino ad arrivare alla città di Los Mochis, il Luogo delle Tartarughe. A 20 km si apre
la baia di Topolobamb, la terza insenatura più grande del mondo, da qui partono
i traghetti per la Baya California Sur.
Il Mexico! Un
paese unico, terra di profumi, di sapori, di colori e di ricchezze minerarie
strappate alla popolazione da secoli di colonizzazione e sfruttamento che però
non sono riuscite a togliere al popolo messicano una identità forte, sicura,
orgogliosa e mai sottomessa al grande vicino: gli Stati Uniti d’America,
miraggio purtroppo spesso mortale di tante persone in fuga dal proprio destino
di campesinos con salario minimo di pochi pesos al giorno.
Il Messico è un
paese che mi ha sempre affascinato per i suoi colori, la sua storia, la sua
cultura, la sua gente, per essere senza tempo, una terra di violenti contrasti,
di storia millenaria dagli Olmechi e Zapoteca agli antichi Aztechi e Maya fino
ai moderni yuppies che si aggirano a Città del Messico.
Gli Olmechi
possono essere considerati i padri di ogni cultura messicana esercitando una
forte influenza sulle civiltà posteriori. A loro si deve l’introduzione della
scrittura geroglifica, del calendario rituale, la costruzione dei primi centri
cerimoniali come ad esempio il sito archeologico di La Venta nella moderna
città di Veracruz.
MONTE ALBAN
Il Messico è pieno
di testimonianze eccezionali: la città antica di Monte Alban è sicuramente il
simbolo di quello che fu il centro più importante della civiltà post-olmeca.
Capitale della civiltà zapoteca, nella odierna città di Oaxaca, costruita
sulla sommità di una montagna che venne
livellata per 610 metri di lunghezza e per 245 di larghezza: fu un impresa
monumentale a testimonianza di quello che fu la grandezza della civiltà
zapoteca.
La scomparsa dei
Maya è uno dei misteri più antichi e probabilmente affascinanti del mondo. Cosa
provocò la scomparsa del misterioso
popolo? A tal proposito sono state fatte congetture ed ipotesi e si sono
sviluppate tesi più o meno scientifiche. La materia è particolarmente
dibattuta, ma per la prima volta, un team internazionale di ricercatori, ha
saputo ricostruire una nuova verità, confrontando dati sull’ambiente e sulle condizioni
climatiche, con quelli sulla situazione sociale e politica dei Maya. I
risultati sono stati pubblicati sulla
rivista Science.
Come mai i Maya
che erano: abili agricoltori, statisti, guerrieri, che hanno creato
calendari, realizzato magnifiche opere d’arte e d’architettura, nel giro di
circa 80 anni sono caduti completamente
a pezzi?
Dopo vari studi
fatti sull’ambiente sui monumenti e su tutto ciò che potesse aiutare a
risolvere questo enigma, la risposta forse ci viene dallo studio di una
stalagmite, in una grotta in Belize a meno di 1 km dal sito Maya di Uxbenka e
circa a 18 miglia da tre altri centri importanti, ha invece permesso al team di
ricerca di ottenere informazioni della massima importanza.
Palenque è un sito archeologico maya situato nello stato messicano del Chiapas,
Attraverso gli
isotopi di ossigeno, gli scienziati hanno potuto stabilire i livelli di
pioggia nel corso degli ultimi 2.000 anni: durante il primo periodo
della civiltà classica Maya, nella regione si sarebbero verificate
precipitazioni decisamente abbondanti, fattore che avrebbe contribuito
all’espansione della civiltà. I
periodi di elevata piovosità hanno coinciso con un aumento della popolazione e
dei centri politici tra il 300 e il 660 dC. Un’inversione di tendenza del clima
(più secco) generò, nel complesso, una maggiore instabilità socio-politica e il
periodo di siccità forte e prolungata registrato tra il 1020 e il 1100 dC, si
tradusse in cattivi raccolti, morte, carestie, migrazioni e, in ultima analisi,
nel tramonto della popolazione Maya.
A lungo si è
ipotizzato che gli eventi atmosferici avessero giocato un ruolo fondamentale in
seno alla società Maya, causando notevoli fermenti politici ed esponendo la
popolazione a carestie e malattie. Per questo i Maya cercarono di spingersi
sempre più a sud alla ricerca di un
clima più favorevole ma pare che non siano riusciti ad andare oltre il
Salvador. Ora sembra certo che il clima
abbia giocato un ruolo da protagonista nell’arco di tutta la storia dei Maya,
dagli albori al declino.
Vi sono prove
concrete e tangibili di tale correlazione.
Il destino dei
Maya, deve farci riflettere ed essere un
monito su quanto anche le nostre strutture politiche e economiche possano
essere fragili e su quanto il destino delle civiltà possa essere connesso ad
eventi climatici non dipendenti dalla nostra volontà. Questa la tesi postulata
da studiosi quali: Douglas Kennett della
Pennsylvania State University e Sebastian Breitenbach di Eidgenössische
Technische Hochschule in Svizzera.
Ovviamente per
chi come me non condivide questa tesi la scomparsa del popolo Maya appare
ancora misterioso ed affascinante.
Nei prossimi post
scriverò di più delle bellezze naturali di questo fantastico paese con un salto nella
meravigliosa Baya California visitata nel mio secondo viaggio in questo
paese.
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