sabato 29 giugno 2013

MACHU PICCHU -Machu Picchu Enigma di pietra in America, Cosi descrisse questa meraviglia Ernesto Guevara



MACHU PICCHU

Machu Picchu Enigma di pietra in America, Cosi descrisse questa meraviglia  Ernesto Guevara

Coronando un'altura di agresti e ripide fiancate, a duemila ottocento metri sul livello del mare e a quattrocento sull'Urubamba ricco di acque, si trova una antichissima città di pietra che, per estensione, ha ricevuto il nome dal luogo che la accoglie: Machu Picchu. E' questo il suo nome originario? No… il termine quechua significa "Collina Vecchia", in opposizione alla vetta rocciosa che s'innalza a pochi metri dal villaggio, Huaina Picchu, "Collina Giovane". Descrizioni fisiche riferite semplicemente al carattere degli accidenti geografici. Quale sarà allora il suo vero nome?....

Machu Picchu

Il Machu Picchu era sulla lista dei miei desideri già da quando, alle scuole medie, un professore ci parlò di questa misteriosa città. Da allora l’ho sempre sognato e non ho mai smesso di cercare informazioni su libri e riviste perché ero convinto che un giorno ci sarei andato. Cosi  avvenne,  il mio sogno si tramutò in realtà.
Cos’era Machu Picchu?  un rifugio misterioso contro la violenza e avidità dei conquistadores? Una città sacra tutta dedicata alla protezione delle famiglie più nobili e al culto delle divinità Inca? Una fortezza dove nascondere i prigionieri?
A distanza di un secolo dalla scoperta di Machu Picchu, il mistero sulla città del “popolo del sole”, di cui non parlavano nemmeno le mappe e le cronache dell’epoca, si mantiene e conserva tutto il suo fascino intrigante.
Machu Picchu è molto più che un’area archeologica di enorme importanza per la cultura mondiale; si tratta di un’intera città perfettamente conservata per secoli dal folto della foresta andina, una sfida dell’uomo alla natura. Le sue costruzioni fortificate si arrampicano pericolosamente lungo gli speroni delle rocce a strapiombo sul canyon del fiume Urubamba.
Ovviamente non è la roccia la caratteristica principale della città. Vi è dietro la storia del popolo Inca che sulle rocce ha edificato gli altari più importanti. Ogni angolo, ogni pietra di Machu Picchu parla del significato profondamente religioso di questo luogo.




Quando Hiram Bingham, professore dell’università di Yale e grande appassionato di archeologia, nel luglio del 1911, si trovò di fronte al tesoro di Machu Picchu notò che esso poteva essere diviso in due settori, uno agricolo e uno urbano: Il primo dedicato alla coltivazione del mais e delle patate, il secondo dedicato prevalentemente ai culti religiosi tra cui quelli 


funebri; caratteristica, a tal proposito, la Roccia funeraria, isolata e altissima, con un piano del grande altare illuminato dai raggi solari provenienti dall’Intipunku (Porta del sole) nel giorno del solstizio d’inverno. Altre strutture indicative della prevalente dedizione al culto religioso di Machu Picchu si ritrovano:
-       nelle sedici Sorgenti Liturgiche (si tratta di sorgenti d’acqua che erano elementi sacri nella religione precolombiana),
-       nel meraviglioso Tempio del Sole (in cui potevano entrare soltanto i sacerdoti e l’Inca: il “figlio del sole” ossia l’imperatore),
-       nella Piazza Sacra con tutte le sue costruzioni religiose compreso il Tempio Principale dove la popolazione comune poteva partecipare alle cerimonie.

Importante costruzione di questa parte di Machu Picchu è anche la Kallanka, detta “Recinto dei Dieci Vani”, che, viste le dimensioni, doveva servire da alloggio e rifugio per diverse persone.
Il settore urbano è comunque quello in cui vi sono più luoghi da visitare. La divisione degli spazi conferma l’ipotesi che la città fosse un luogo esclusivo, riservato alla nobiltà e alla casta sacerdotale: lunghe gradinate (sono stati contati 3000 scalini) separano gli edifici difesi dalla roccia a strapiombo o da un fossato.

La grandezza di Machu Picchu sta anche nella profonda compenetrazione tra uomo e natura che questi gloriosi resti ci tramandano. Qui si può ammirare l’Intiwatana forse quel “saywa” o “sukhanka” che  letteralmente significa "luogo dove si attacca il sole", ma la denominazione corretta sarebbe "saywa" o "sukhanka", di cui parlano gli antichi manoscritti Inca, il maestoso orologio solare usato non solo come strumento di culto ma anche come apparecchio scientifico per l’osservazione solare: un sistema di piattaforme, sovrapposte e sistemate secondo angoli orientati in maniera ben precisa, che culmina con un prisma alto 36 centimetri che proietta la luce sul pilastro. Osservando la lunghezza delle ombre si potevano ricavare informazioni sulla rotazione e l’inclinazione terrestre. Incredibile, se si pensa che tutto questo risale a secoli fa, nel cuore della foresta andina senza nessun confronto o scambio culturale con altre popolazioni. Probabilmente da questo punto di vista gli Inca erano già molto più avanzati di quegli spagnoli che di lì a pochi decenni avrebbero messo fine per sempre alla loro storia.


giovedì 27 giugno 2013

UOMINI SI NASCE BRIGANTI SI MUORE



UOMINI SI NASCE BRIGANTI SI MUORE

Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti. 
Antonio Gramsci, su L'Ordine Nuovo, 1920

I briganti difendevano, senza ragione e senza speranza, la libertà e la vita dei contadini, contro lo Stato, contro tutti gli Stati. Per loro sventura si trovarono ad essere inconsapevoli strumenti di quella Storia che si svolgeva fuori di loro, contro di loro; a difendere la causa cattiva, e furono sterminati.
Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, 1945


Oggi voglio parlare dei Briganti Calabresi, chi erano, cosa facevano, erano banditi o rivoluzionari? Erano ladri  e malfattori comuni, oppure dietro questo loro modo di fare c’era un motivo di ribellione ai tanti  soprusi che contadini, braccianti, servi subivano dai baronetti del tempo? Se si fa una ricerca su internet.  Si hanno diverse interpretazioni cosi come quando si parla di un movimento di un periodo storico, le motivazioni che si danno sono diverse da chi li racconta, questo dipende dalla provenienza politica, ceto sociale ecc, ma proviamo ad analizzare  questo fenomeno con più obbiettività spogliandoci per un attimo della nostra fede politica e del nostro status e analizziamolo in modo trasparente questo fenomeno storico che ha vissuto tutta l’Italia ma in particolar modo l sud e nello specifico la Calabria.
Facciamo una prova: (Io l’ho fatta questa mattina)  chiediamo alla prima persona che noi incontriamo e facciamo questa domanda : “ chi erano i Briganti?” Sicuramente al 99% la risposta sarà : erano dei delinquenti, altri erano dei ladri, dei malfattori, assassini. Bene  come dicevo io l’ho fatto in un primo momento su 5 persone ( un campione piccolo) tutte d’origine meridionale;  la risposta con grande sorpresa è stata questa 5 su 5 mi hanno risposto che : “erano persone che si ribellavano al potere “ a questo punto ho pensato cosa scrivo a fare adesso? non mi sono arreso, non che io cercassi a tutti i costi una risposta negativa ma volevo capire meglio. Mi sono rivolto a 5 colleghi d’origine settentrionale, bene!  3 persone mi hanno detto che erano ladri di bestiame e persone violente, una mi ha risposto che non aveva la minima idea, la quinta mi ha risposto che erano rivoluzionari. Sono contento, pensavo peggio J La mia curiosità mi porterebbe adesso di fare la stessa domanda a persone con differenti gradi di cultura e scuola, ma non mi è possibile adesso, ma forse lo farò. Quindi si può affermare che i Briganti  era gente comune, come operai, contadini, artigiani che si ribellavano alla prepotenza ed ai soprusi dello straniero, alle ingiustizie sociali, agli sfruttamenti degli onesti lavoratori, alle corruzioni  alle dure leggi e alla persecuzione degli innocenti. Tutte queste oppressioni portarono il popolo Calabrese (Non solo) alla fame. Le dure tasse da pagare e le leggi sempre più insopportabili, fecero così sorgere "i briganti".
Nello specifico i contadini Calabresi erano ridotti davvero alla fame, dure leggi contro di loro e campavano tra fatiche e debiti per pagare le tasse, quindi non c'e' da meravigliarsi, se alcuni di questi non negavano il loro aiuto ai cosiddetti briganti, che si erano sacrificati per farsi valere con il coraggio di ribellarsi contro i tiranni. Per questo motivo erano cosi' ospitale verso chi si dava alla macchia.
Il fenomeno del Brigantaggio nasce quasi subito dopo l’unità d’Italia (oggi si capiscono molte cose) e investì tutto il meridione d’Italia. Le cause erano antiche e profonde, ma la delusione creata con la liberazione e con l’accentramento amministrativo la situazione si aggravò. Questo ancora di più dopo la vendita all’asta dei beni demaniali ed ecclesiastici. I compratori appartenevano alla nuova borghesia rurale che si rivelava più tiranna, avara  e aggressiva   dei vecchi padroni. In Calabria si scoprì che un appezzamento demaniale era stato diviso fra 83 “Usurpatori” tra cui 2 fratelli del sindaco, 17 cugini del sindaco, 2 cognati del sindaco , due nipoti del sindaco, 1 fratello del consigliere comunale, 2 moglie dei consiglieri comunali ecc. Quindi ci fù un aggravarsi delle condizioni dei contadini e questo causò la ripresa dei disordini e in pochi mesi assunsero una vera e propria guerriglia. In Calabria Puglia, Basilicata, Campania, bande armate di briganti iniziarono nel 1861 a rapinare a uccidere, sequestrare e incendiare le proprietà dei nuovi ricchi. Si rifugiavano sulle montagne protetti aiutati e nascosti dai contadini poveri e anche dal clero e dai vecchi proprietari terrieri che speravano di far ritornare i Borboni. Quindi chi erano i Briganti? E per che cosa combattevano? Il grosso era costituito da braccianti contadini salariati esasperati dalla miseria, assieme a questi cerano anche ex garibaldini, sbandati, ex soldati borbonici e numerose donne, combattive e audaci come gli uomini. Cosa e per che cosa combattevano? Primo per la riforma Agraria che Garibaldi non aveva concesso, poi per impedire l’unità d’Italia e far ritornare i Borboni, propri quei re che li avevano trattati non proprio bene, e per tantissime altre ragioni come il pagamento delle tasse .Quindi i briganti non furono “criminali comuni” come pensò la maggior parte degli Italiani ma un esercito di ribelli che all’infuori della violenza privata, non conoscevano altra forma di lotta. Tenuti per secoli nell’ignoranza e nella miseria, i contadini meridionali non avevano ancora maturato  una coscienza politica dei loro diritti e non riuscivano a immaginare nessun cambiamento attraverso mezzi legali.
Lo stato Italiano rispose con una vera repressione a questa rivolta sociale o questo vero e proprio  “conflitto” che durò 5 anni e furono impegnati per combattere il brigantaggio ben 120.000 soldati. Questo sta a significare che non si trattava di combattere e d’eliminare quattro balordi ma un popolo. Il brigantaggio fu sconfitto ma non le cause che l’avevano creato, Dopo la legge marziale, il divario, la frattura tra il sud e il resto dell’Italia aumentò e oggi ancora ne paghiamo le conseguenze. Si può affermare che i briganti dopo essere stati massacrati si cercò anche  di liquidarne definitivamente la memoria storica .definendoli “Banditi da strada” Oggi finalmente la figura del brigante è stata riabilitata sia come persone che come movimento se tale si può definire.

 “I Ragazzi di San Lorenzo Bellizzi”, ripercorrendo i sentieri del Parco nazionale del Pollino,  percorsi dai briganti fra il 1860 e il 1865, non vuole mettere in discussione l’unità e l’esistenza dello Stato nazionale, ma piuttosto continuare una riflessione sul modo in cui quell’unità si è realizzata e sulle conseguenze che ne sono risultate e ne risultano per l’economia e la società del sud del nostro Paese. 

Per informazione a partecipare a questa iniziativa contattate questi n. cell. 3453429896 TIM, oppure 3936728827 VODAPHONE.   o andate  alla pagina  Facebook: https://www.facebook.com/#!/pages/Associazione-I-Ragazzi-Di-San-Lorenzo-Bellizzi-/107470462651560?fref=ts
http://www.iragazzidisanlorenzobellizzi.org


mercoledì 26 giugno 2013

PERU' - Cuzco L'ombelico Del Mondo - 2° Parte




 Cusco ovvero “l’ombelico del mondo”

Da Arequipa raggiungiamo cuzco in Aereo questo è l’unico volo non programmato, ma dope ore ore di bus dei giorni precedenti, ci prendiamo questo piccolo lusso di raggiungere Cuzco in Aereo.
Per raggiunger questa città l’aereo prima di atterrare inizia la discesa volando con ai due 

lati, alte montagne praticamente queste  sono più alte della quota di volo dell’aereo. Si dice che per pilotare l’aereo che porta a cuzco i piloti sono selezionati.. Atterriamo in questa magnifica e misteriosa città considerata l’ombelico del mondo. 

- Cuzco -

Questo appellativo gli deriva dal nome originale della città era Qosqo o Qusqu in quechua.  Per la tradizione significa centro, ombelico, cintura. Questo perché secondo la mitologia Inca in esso confluiva il mondo degli inferi (Uku Pacha), con il mondo visibile (Kay Pacha) ed il mondo superiore (Hanan Pacha). Per questo motivo la città fu ed è chiamata l'ombelico del mondo (inteso come universo). Molte leggende parlano di questa misteriosa e affascinante città,, una di queste racconta  che :
 "Se gli Spagnoli, entrando a Cuzco, non avessero agito con tanta crudeltà, trucidando Atahualpa, chissà quante navi sarebbero state necessarie per trasportare in Spagna tutti quei tesori che ora giacciono nelle viscere della Terra e che forse vi rimarranno per sempre, poichè coloro che li nascosero sono morti senza rivelarne il segreto".

Così scrisse il sacerdote-soldato Cieza de Leon pochi anni dopo l'assassinio dell'ultimo imperatore inca ed i massacri compiuti da Pizarro e dalle sue orde.
E con piena ragione, poichè gli avventurieri iberici, accecati dalla loro brama di ricchezze, agirono proprio nel modo meno adatta a soddisfarla.
Pizarro fece prigioniero Atahualpa e dichiarò che gli avrebbe reso la libertà se solo gli fossero stati consegnati tutti i tesori inca.
Prima di prendere una decisione, la sposa del sovrano consultò l'oracolo solare e, saputo che il coniuge sarebbe comunque morto, si suicidò, dopo aver ordinato che le ricchezze fossero nascoste.
Dove?
"In gallerie più sicure che fortezze - ci dice l'archeologo Harold Wilkins - scavate nel cuore delle montagne e sigillate da misteriosi geroglifici che offrono l' "Apriti Sesamo!" e di cui solo un inca per ogni generazione conosce il significato; in sotterranei costruiti migliaia d'anni or sono da una civilissima razza scomparsa".
L'ipotesi è attendibile: sotterranei del genere sono numerosissimi, ma non solo nel territorio inca. Il più noto è tuttavia costituito da una rete di gallerie che congiungerebbero Lima a Cuzco, ( la distanza da lima a cuzco è di circa 1100km) l'antica capitale del Perù, per poi continuare, volgendo a sud-est, fino al confine boliviano.
Esistono realmente queste gallerie? Non si sa niente di preciso al riguardo. E' opinione diffusa che si tratti di una leggenda e nulla più.



Nelle vicinanze di cuzco si trova la fortezza  di Sacsayhuaman o Sacsaihuaman (in quechua:Saksaq Waman) è un sito archeologico inca nella regione di Cuzco. Il nome significa letteralmente "falco soddisfatto". Fu costruita dagli Inca tra il 1438 e il 1500 circa, 



Sacsayhuaman
sotto il dominio di Pachacutec e si erge in una posizione dominante della collina di Carmenca, che domina da nord la città di Cusco (antica capitale del Tahuantinsuyo, l'Impero incaico). Ad ogni solstizio d'estate vi si festeggia l'Inti Raimi, la festa di Inti, il dio del Sole. In tale circostanza vengono ancora effettuati rituali risalenti all'epoca incaica 



La costruzione di Sacsayhuaman, secondo le informazioni di cui disponiamo, iniziò durante il regno di Pachacutec, continuata successivamente da Tupac Yupanqui e conclusa con Huayna Capac.

Durante queste tre generazioni,secondo Garcilaso de La Vega, furono quattro gli architetti che diressero l'opera I lavori durarono circa 70 anni e furono utilizzati 20.000 lavoratori 
La costruzione è così peculiare per via della grandezza di alcune pietre. Le pietre furono incastrate con una precisione quasi inimmaginabile. Risulta quasi inesplicabile per noi capire come gli Incas poterono tagliare con tale maestria le pietre, per cui tra una e l'altra non passa la lamina di un coltello. Una tecnica che si è rivelata vincente anche contro i terremoti. Anche Sacsayhuaman dispone di un sistema di passaggi sotterranei noto come Chincanas che collegano la fortezza ad altre rovine inca in Cuzco.Diverse persone sono morte dopo essersi perdute cercando un presunto tesoro sepolto lungo i passaggi.Ciò ha portato la città di Cuzco a bloccare l'ingresso principale per le chicanas in Sacsayhuaman. Durante la mia visita questo passaggio era aperto ma naturalmente non si poteva entrare.

A Proposito di gallerie, Due turisti  raccontano che  a Machu Pichu entrarono in una galleria e si persero nessuno li ritrovò e li diedero per dispersi, ma dopo due giorni e mezzo uscirono in mezzo a una messa in una Chiesa di Cuzco, una chiesa costruita sopra un antico tempio inca.

Ho letto la cronaca di Akakor.  Akakor è un ipotetico  regno sotterraneo  descritto nel libro La cronaca di Akakor  del giornalista tedesco  Karl Brugger   dove si dice che il popolo dei viracochas (indiani europoidi bianchi) sopravvisse alla prima catastrofe che cambiò la faccia della terra, e poi a una seconda catastrofe 6000 anni dopo che inondò  d'acqua tutta la terra, sopravvissero dentro i tunnel sotterranei dove ancora usano città sotterrane per vivere e per non essere trovati, la città principale di tutte era Akakor, da dove derivano le altre civiltà 



 Tiahuanaco 
                                                 
sudamericane precolombine, in particolare Tiahuanaco che si dice su varie fonti e non ultima le ipotesi degli archeologi che avesse origine da una civiltà nell'amazzonia in quanto resti di una civiltà analoga a Tiahuanaco sono lungo un percorso che si addentra nell'amazzonia. (Tiahuanaco non è inca, ma è la città più antica conosciuta in sudamerica) si trova in Bolivia sulla riva del lago titicaca, e sono le rovine della civilizzazione degli uomini venuti dal pianeta blu. Di questo ne parlerò in un prossimo post.  Nel libro della cronaca si dice che viracocha fosse un akakoriano membro delle tribù alleate unite che fu espulso da akakor per aver commesso un crimine e non volersi pentire e si dice che poi fondò un altro impero alternativo al primo impero di akakor, nella città di Cuzco, cioè gli Inca. Viracocha si fece adorare come un dio e impose l'idolatria, mentre gli akakoriani non sono idolatri semplicemente venerano la memoria degli antenati che insegnarono loro a sopravvivere e i rudimenti della civiltà, inoltre si dice che possiedono la cronaca vera di Akakor scritta in quechua, una lingua usata tutt'oggi, ma della quale non si sapeva che avesse una scrittura, ma nel libro si spiega che solo quelli della città di Akakor potevano imparare la scrittura in quechua. Adesso proseguiamo a parlare di questa affascinante città. Il nostro obbiettivo è quello di visitare Machu Picchu la famosa città perdita degli Incas. Per 


                              Machu Picchu

andarci ci sono diverse alternative: la più affascinante e avventurosa è quella di noleggiare una tenda e  tutto ciò che occorre per campeggiare all’aperto e con un clima  che va dal caldo umido al freddo e piogge quando si sale di quota, seguendo i vari cammini tribali,  e si possono impiegare dai 3 ai 5 giorni. Noi optiamo di andarci con il  treno. So che oggi ci sono diverse classi di treno dalla più economica al più caro,  quando ci siamo stati noi cera solo ed esclusivamente un treno.
Si parte dalla stazione di Cuzco un po presto e cioè alle 6,00 della mattina  ma necessario se si vuole raggiungere Machu Picchu, visitarla e tornare a Cusco in una sola giornata. Infatti, anche se i chilometri da percorrere sono soltanto 94, il viaggio in treno dura quasi tre ore e mezzo. Questo accade per diversi motivi: in alcuni punti la strada, che percorre il Valle Sagrado costeggiando il Rio Urubamba, è parecchio accidentata (ci sono tratti in cui i binari distano pochi centimetri dall’argine del fiume), senza contare che la moderata velocità del treno permette di godersi il panorama dalle grandi finestre situata al lato dei sedili come anche sul soffitto del treno e scattare foto decenti, il che, visto il paesaggio, non è poco. Inoltre, c’ è da considerare il significativo dislivello tra le due città: mentre Poroy si trova a circa 3500 metri, la cittadina ai piedi della montagna, Aguascalientes, altrimenti conosciuta come Machu Picchu Pueblo, raggiunge “solo” i 2040. Ciò significa che nel limitato tratto di strada, il treno dovrà scendere di almeno 1000 metri, cosa non facilissima, ma risolta proprio grazie agli ingegnosi Inca.

martedì 18 giugno 2013

MEXICO - Meravigliosa Baya California


MEXICO - MERAVIGLIOSA BAYA CALIFORNIA





Come promesso eccomi qui a parlare di  questa meravigliosa  striscia di terra lunga 1700 dal nome. Baya California che va dalla città di Tijuana al confine con gli Usa, chiamata anche “la grande cicatrice”. Il luogo dove decine di migliaia di messicani cercano di catapultarsi dal terzo al primo mondo al prezzo di una notte di paura nel deserto. Cercano in 20.000 ogni anno di attraversare un confine, uno dei pochi al mondo, che mette faccia a faccia il ricco e il povero, con le loro lingue e filosofie diverse. Da Tijuana lungo questa striscia di terra  fino al  punto in cui il Mare di Cortes si unisce all’Atlantico con schiaffi, tuffi, maree e risacche da far tremare la terra. E quel punto è Cabo San Lucas, che sembra abbia subito più il fascino dei ricchi turisti statunitensi che quello delle forze della natura che lì si danno convegno generando giornate di sole con acque tranquille o giornate con fragori di tempesta e onde alte come torri. Per visitare La Baya  avevamo noleggiato un’auto, la prima raccomandazione del concessionario fu : fare sempre benzina perché si rischia di rimanere in pieno deserto senza. Infatti  ci hanno messo alla prova del sole, del calore, della pazienza i 320 infiniti km che c’erano tra una pompa di benzina e l’altra, arrivammo al rifornimento successivo quasi “soffiando dietro” per guadagnare strada con il serbatoio ormai secco, avvinghiandomi infine al maledetto bocchettone di gasolina come un naufrago alla scialuppa. 



Il Deserto che Vive”, così può essere identificata la Baja California, regione ai confini di un mondo che è riuscito a mantenere intatta una propria personalità imprevedibile e selvaggia come la natura che la ricopre e che la circonda. In grado di offrire offre a chi la visita uno spettacolo unico con la quiete dei suoi deserti di cactus, le spiagge senza fine, i colori unici del mare, le balene, i leoni marini, i delfini… e ancora, le incredibili formazioni rocciose, il cielo limpido ed azzurro, la grande varietà di uccelli. 


Leoni Marini


Le balene creature straordinarie che più di altre possono darci un’idea di quanto sia meravigliosa e sorprendente la natura. L’osservazione delle balene spinge ogni anno migliaia di persone a spostarsi da un capo all’altro della terra, per non rinunciare all’emozione di uno spettacolo unico.

Balene  nella Baya Magdalena 


E la Baja California offre alcuni dei posti più belli del mondo in cui vivere un’indimenticabile esperienza a diretto contatto con questi incredibili cetacei. Ogni anno, infatti, le balene grigie compiono una migrazione anche di 10.000 km per spostarsi dal Mare di Bering, dalle coste dell’Alaska e della provincia canadese della British Columbia, fino alle tiepide acque della Baja California. Possono essere avvistate pressoché ovunque lungo la costa pacifica, ma il vero spettacolo e di gran lunga il più emozionante è quello di poterle vedere da vicino, navigando nelle varie lagune, veri e propri laghi salati, dove le balene stesse decidono di soggiornare per partorire. Se si esce in mare in cerca delle balene, da gennaio a marzo, si può star certi che in Baja California non si avranno delusioni. E la stagione delle balene, se il clima è propizio, può prolungarsi anche fino a metà aprile. Il governo messicano è molto attento e impegnato nella salvaguardia di queste creature nonché nel monitoraggio dei flussi migratori, ricevendo per questo anche riconoscimenti a livello internazionale. I migliori luoghi d’avvistamento, da nord verso sud, sono la Laguna Ojo de Liebre, la Laguna di San Ignacio e la Laguna di Bahìa Magdalena (dove siamo stati noi), La Laguna Ojo de Liebre, immediatamente a sud di Guerrero Negro è il luogo in cui statisticamente si concentra il maggior numero di balene. La Laguna di San Ignacio, anch’essa molto frequentata, è probabilmente il posto più incantevole e suggestivo. Altrettanto suggestiva, nel sud, la laguna di Bahìa Magdalena.


 

La Baja California è considerata il “giardino dei cactus” del Messico. Cactus di tutte le forme e dimensioni domina la vegetazione della Penisola, creando un fantastico contrasto con il blu del mare. I cactus sono comuni in tutto il Nuovo Mondo e si trovano dal Canada alla Patagonia, dal Pacifico all’Atlantico, dal livello del mare fino 4500 m, nella giungla e nel deserto ma la più grande diversità di specie si trova nel zona sud ovest del Nord America. Solo nel Messico del Nord ci sono 1.000 specie e in Baja California almeno 120, di cui almeno la metà sono endemici. La maggioranza dei cactus fiorisce solo per alcuni giorni e i fiori hanno bellissimi colori che variano dal bianco al giallo o dal rosso al viola. Alcuni tipi di cactus fioriscono solo di notte e, a differenza di quelli diurni che attraggono uccelli e farfalle, quelli notturni sono impollinati da pipistrelli o insetti. In Baja California i cactus sono molto importanti per l’ecosistema e provvedono al cibo e alle necessità di molti animali. Il “cardon”, il più grande cactus del mondo, può raggiungere i 20 metri di altezza e circa 5 metri di larghezza. Può pesare fino a 12 tonnellate e raddoppia le piogge sono copiose può raggiungere l’età di 200 anni. Questi tipi di cactus sono molto importanti per gli uccelli, che lo usano per costruire i loro nidi e per crescere i loro piccoli. I picchi aprono dei buchi nella sua corteccia ogni primavera e oltre a questi uccelli, molti altri usano i buchi come riparo. Persino le iguana!! I frutti del cactus sono un’importante sorgente di cibo quando nel deserto l’acqua è scarsa. La polpa contiene semi molto nutrienti che sono molto apprezzati da coyote, volpi, roditori e insetti. Anche l’uomo non li disdegna: infatti gli Indiani li hanno usati per lungo tempo per preparare sciroppi, conserve e vino. Il frutto del cactus “canne d’organo” raggiunge anche le dimensioni di una pallina da tennis. Ma il cactus è molto altro: i primi colonizzatori lo utilizzavano come materiale da costruzione o carburante e le spine erano degli attrezzi o ami per pescare. Ai giorni d’oggi viene piantato vicino alle abitazioni come protezione contro animali indesiderati, utilizzato nell’industria cosmetica per le sue sostanze rinfrescanti che hanno un effetto rinvigorente per la pelle e nella medicina in quanto, dal peyote, si ricava la “mescaline”, sostanza usata per alzare la pressione sanguigna. Nella pianura di Magdalena si può trovare il “cactus del diavolo”, una specie di cactus che rotola nel deserto e che riesce anche a sormontare degli ostacoli. Cresce durante il suo percorso, mette le radici ed infine si secca ma i suoi germogli continuano a vivere separatamente. Purtroppo a causa delle irrigazioni, dell’agricoltura e la raccolta da parte di collezionisti hanno reso il “cactus del diavolo” e numerose altre specie molto rare. Per questo motivo è stata fatta??? una legge che determina che nessun cactus possa essere rimosso dal posto in cui cresce, neppure in Messico. Adesso parliamo delle spiaggie, la penisola messicana della Baja California offre 1.500 chilometri di splendidi paesaggi, racchiusi tra due mari, il pacifico ed il golfo del Messico. Con spiagge tra le più belle del mondo e località incantevoli e languide, nel tipico stile messicano. 




Un territorio unico, caratterizzato da differenti situazioni climatiche che ne mutano continuamente l'aspetto, dalle spiagge mitiche dei surfisti al deserto dell'interno. Una destinazione ancora poco nota ai turisti italiani, per un viaggio dedicato a chi vuole un contatto diretto con una natura ancora incontaminata. Migliaia di chilometri di costa, per lo più costituiti da spiagge di sabbia fina intercalate da calette rocciose, si estendono sia su un lato che sull'altro. 






Chiusa a nord dalla presenza del deserto di Altar, la penisola è tagliata in due all'altezza del 28° parallelo, con la regione del settentrionale, che va dal confine con gli Stati Uniti giù per 700 chilometri sino a Guerrero Negro, e quella del sud che porta sino a Cabo San Luca ed ha un fuso orario differente. Parlare e raccontare delle spiagge della Baya California più che descriverle lasciero il compito alle immagine. Iniziamo con la spiaggia che si trova a mezz'ora di barca da Loreto a  Isla Coronado, una delle più belle della Baja California, paradiso dello snorkeling e del kayaking. Recentemente dichiarata parco marino protetto insieme ad altre sei isole limitrofe di cui comunque resta la più bella, Coronado ha due caratteristiche principali che ne fanno un vero paradiso. 


Anzitutto, delle spiagge favolose, con sabbia bianchissima ed un mare trasparentissimo. In secondo luogo, i suoi unici abitanti: una colonia di simpatici leoni marini che vivono nella parte rocciosa dell'isola. Più a sud troviamo La Paz che è considerata una delle città più autenticamente messicane della penisola. Bello soprattutto il Malecón, affascinante passeggiata sul lungomare fiancheggiata da palme e da edifici dalle sfumature color pastello. Anche se la principale attrattiva resta la pesca sportiva, ma molto belle sono anche le spiagge a pochi km di distanza  quella di Balandra e Tecolote dalla sabbia bianca e dalle acque cristalline. Siamo ormai alla punta estrema della penisola,
















Cabo San Lucas. Fino a qualche anno fa qui si trovava solo un piccolo villaggio di pescatori, San José del Cabo, ma l'incremento del turismo l'ha trasformato nel centro dell'attività turistica nella zona, con lussuosissimi e un po' inquietanti alberghi a cinque stelle, ristoranti di tutti i tipi e locali notturni. A San José restano da ammirare solo la vecchia Plaza Mijares con la chiesa di San José, costruita nel 1940 sulle rovine della vecchia missione settecentesca, ed il Paseo Mijares. 

San Jose - Los Arcos


Caratteristico di questa località è Los Arcos, un arco di roccia nel punto più estremo della penisola, dove il mar De Cortéz si unisce alle fredde acque dell'Oceano Pacifico creando correnti fortissime e lo spettacolo di alte onde che si infrangono sulla costa e dando luogo ad una delle zone più pescose del mondo. 


La fascia di terra che collega San Jos&ea cute; del Cabo a Cabo San Lucas, il "Corredor", offre luoghi meravigliosi, dove rocce a strapiombo sul mare si alternano ad alcune tra le più belle spiagge come Playa Cileno, Santa Maria, Barco Varado e Palmilla. Mi ero promesso che un giorno sarei ritornato forse non escludo che presto lo farò. “IL MEXICO NON SI DISCUTE SI AMA” J

sabato 15 giugno 2013

I MIEI VIAGGI IN MEXICO



I MIEI VIAGGI IN MEXICO


 



- 1^ Volta 1990 -
Mexico City - D.F - Puebla - Guerrero - Aoxaca - Chiapas - Campece - Yucatan 




- 2^ Volta 2000 -
Mexico Citi D.F - Sinaloa - Chihuahua - Baya California Sur
























3^ volta 2019 - 
Yucatan - Campeche - Quintana Roo

Ho visitato tre volte questo meraviglioso paese: la prima volta nel 1990 quando, avendo a disposizione 35 giorni, mi sono addentrato nella parte sud da Città del Messico all’Ycatan, la seconda nel 2000 quando in 40 giorni mi sono mosso alla scoperta del  nord: dalla capitale Mexico City sono passato a Durango, poi a Chihuahua e da qui con il ferrocarril  a Crel,  a Divisadero  fino a Los Mocis.  La terza volta, dopo anni siamo ritornati nel sud per 20 giorni circa per rivedere e scoprire nuovi luoghi come lo stato del Quintana Roo.  Nel 2000 durante il nostro secondo   viaggio  abbiamo avuto  modo di 


Barranca Del Cobre

conoscere la meravigliosa Barranca Del Cobre, di ammirare rari intrecci di gole aggettanti nelle viscere della terra fra pini e abeti, grotte e rocce. Ho visto cieli di color cobalto, aspre cime rocciose, conifere secolari, laghi incantati, un dedalo di canyon avvolto da vegetazione tropicale esteso per 2000 kmq e formato da oltre 200 valli che danno vita a un sistema orografico costituito da cinque barrancas comunicanti tra loro molto profondi e con una estensione di quattro volte quella del Gran Canyon dell’Arizona, abitate dagli indios 



Tarahumara, popolo timido e silenzioso le cui donne sono dediti alla  costruzione e vendita di bamboline di pezza e fili multicolori di lana e minuscole sedie nella stazioncina azzurra  e bianca di Divisadero.



Da qui si possono scoprire luoghi incantevoli come grotte adibite ad abitazione dove vivono gli indios dai piedi leggeri, cascate e canyon più nascosti
Da Divisadero ha inizio la grande e pazza  discesa verso il mare, una discesa da ottovolante tra foreste cascate e piccole stazioni  prese d’assalto dai venditori ambulanti che offrono pannocchie di mais cotte al vapore e il dolcissimo quesa de tuna biscotto a base  di noci, pinoli, mandorle e arachidi.


La vegetazione cambia man mano che si scende di quota: dalle aghifoglie si passa agli enormi cactus a candelabro, agli ibischi, alle coloratissime bungavillee, alle palme, ai banani.


L’aria si fa sempre più calda e umida fino ad arrivare alla città di Los Mochis, il Luogo delle Tartarughe. A 20 km si apre la baia di Topolobamb, la terza insenatura più grande del mondo, da qui partono i traghetti per la Baya  California Sur.

Il Mexico! Un paese unico, terra di profumi, di sapori, di colori e di ricchezze minerarie strappate alla popolazione da secoli di colonizzazione e sfruttamento che però non sono riuscite a togliere al popolo messicano una identità forte, sicura, orgogliosa e mai sottomessa al grande vicino: gli Stati Uniti d’America, miraggio purtroppo spesso mortale di tante persone in fuga dal proprio destino di campesinos con salario minimo di pochi pesos al giorno.
Il Messico è un paese che mi ha sempre affascinato per i suoi colori, la sua storia, la sua cultura, la sua gente, per essere senza tempo, una terra di violenti contrasti, di storia millenaria dagli Olmechi e Zapoteca agli antichi Aztechi e Maya fino ai moderni yuppies che si aggirano a Città del Messico.
Gli Olmechi possono essere considerati i padri di ogni cultura messicana esercitando una forte influenza sulle civiltà posteriori. A loro si deve l’introduzione della scrittura geroglifica, del calendario rituale, la costruzione dei primi centri cerimoniali come ad esempio il sito archeologico di La Venta nella moderna città di Veracruz.

MONTE ALBAN

Il Messico è pieno di testimonianze eccezionali: la città antica di Monte Alban è sicuramente il simbolo di quello che fu il centro più importante della civiltà post-olmeca. 



Capitale della civiltà zapoteca, nella odierna città di Oaxaca, costruita sulla sommità di una montagna che venne livellata per 610 metri di lunghezza e per 245 di larghezza: fu un impresa monumentale a testimonianza di quello che fu la grandezza della civiltà zapoteca.


La civiltà che però ha sempre affascinato il mondo intero è sicuramente quella MAYA. Si sviluppò in un periodo che va dal 250 d.C. al 900 d.C. (detto classico) sugli altopiani del Chiapas, del Guatemala e nelle pianure dello Yucatan. I Maya furono senza dubbio artisti ed architetti tra i più grandi del continente americano e ne sono testimonianza le grandi piramidi-tempio immerse nella giungla giunte fino a nostri tempi. Un’aura di mistero avvolge le rovine maestose di questo popolo, ma purtroppo poco si è salvato dei loro codici, alimentando così teorie extraterresti o catastrofiche come la tanto annunciata fine del mondo nel 2012… anche se siamo ancora qua.

La scomparsa dei Maya è uno dei misteri più antichi e probabilmente affascinanti del mondo. Cosa provocò la scomparsa  del misterioso popolo? A tal proposito sono state fatte congetture ed ipotesi e si sono sviluppate tesi più o meno scientifiche. La materia è particolarmente dibattuta, ma per la prima volta, un team internazionale di ricercatori, ha saputo ricostruire una nuova verità, confrontando  dati sull’ambiente e sulle condizioni climatiche, con quelli sulla situazione sociale e politica dei Maya. I risultati  sono stati pubblicati sulla  rivista Science
Come mai i Maya che erano: abili agricoltori, statisti,  guerrieri, che hanno creato calendari, realizzato magnifiche opere d’arte e d’architettura, nel giro di circa 80 anni sono  caduti completamente a pezzi?
Dopo vari studi fatti sull’ambiente sui monumenti e su tutto ciò che potesse aiutare a risolvere questo enigma, la risposta forse ci viene dallo studio di una stalagmite, in una grotta in Belize a meno di 1 km dal sito Maya di Uxbenka e circa a 18 miglia da tre altri centri importanti, ha invece permesso al team di ricerca di ottenere informazioni della massima importanza.

Palenque è un sito archeologico maya situato nello stato messicano del Chiapas,

Attraverso gli isotopi di ossigeno, gli scienziati hanno potuto stabilire i livelli di pioggia  nel corso degli ultimi 2.000 anni:  durante il primo periodo della civiltà classica Maya, nella regione si sarebbero verificate precipitazioni decisamente abbondanti, fattore che avrebbe contribuito all’espansione della civiltà.      I periodi di elevata piovosità hanno coinciso con un aumento della popolazione e dei centri politici tra il 300 e il 660 dC. Un’inversione di tendenza del clima (più secco) generò, nel complesso, una maggiore instabilità socio-politica e il periodo di siccità forte e prolungata registrato tra il 1020 e il 1100 dC, si tradusse in cattivi raccolti, morte, carestie, migrazioni e, in ultima analisi, nel tramonto della popolazione Maya.


A lungo si è ipotizzato che gli eventi atmosferici avessero giocato un ruolo fondamentale in seno alla società Maya, causando notevoli fermenti politici ed esponendo la popolazione a carestie e malattie. Per questo i Maya cercarono di spingersi sempre più a sud alla ricerca di un  clima più favorevole ma pare che non siano riusciti ad andare oltre il Salvador.  Ora sembra certo che il clima abbia giocato un ruolo da protagonista nell’arco di tutta la storia dei Maya, dagli albori al declino.
Vi sono prove concrete e tangibili di tale correlazione. 
Il destino dei Maya, deve farci riflettere  ed essere un monito su quanto anche le nostre strutture politiche e economiche possano essere fragili e su quanto il destino delle civiltà possa essere connesso ad eventi climatici non dipendenti dalla nostra volontà. Questa la tesi postulata da studiosi quali:  Douglas Kennett della Pennsylvania State University e Sebastian Breitenbach di Eidgenössische Technische Hochschule in Svizzera.
Ovviamente per chi come me non condivide questa tesi la scomparsa del popolo Maya appare ancora misterioso  ed affascinante.
Nei prossimi post scriverò di più delle bellezze naturali di questo  fantastico paese con un salto nella meravigliosa Baya California visitata nel mio secondo viaggio in questo paese.  


RODI

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