VIAGGIANDO COMUNQUE 2° parte
Ecco
la seconda parte di questo meraviglioso vagabondare per il mondo di Nuccio e Margherita ( Pina)
___________________________________________________________
…entra
nella scena della mia vita l’immagine meravigliosa della mia Pina. Una presenza
essenziale, illuminante e rasserenante.
La
timida condivisione iniziale è andata amplificandosi e amalgamandosi negli
anni.
Insieme siamo cresciuti ed
insieme stiamo ancora camminando.
INTRODUZIONE
“Viaggiando…….comunque
(2)” ripercuote altre tappe della mia vita.
La prima
parte andava dal giugno ’71 al giugno ’72, queste altre pagine vanno dal luglio
’72 al dicembre ’75.
Altre
storie…..ma sempre di viaggi.
Altre
avventure……ma sempre in ascesa verso il risveglio di quella luce che ci vive
dentro.
Già dalle prime pagine entra nella scena della mia vita
l’immagine meravigliosa della mia Pina. Una presenza essenziale, illuminante e rasserenante.
La timida condivisione iniziale è andata amplificandosi e
amalgamandosi negli anni.
Insieme siamo cresciuti ed insieme stiamo ancora camminando.
Stavolta non mi sono valso dell’aiuto di nessuno per quanto
riguarda la correzione. Ho preferito fare tutto da me, consapevole che gli
errori di sintassi e le ripetizioni , a volte ossessive, sarebbero state tante.
Questo lungo viaggio ancora continua. Il Pianeta Terra non
mi ha ancora stancato. Sento il bisogno di assaporarLo nella Sua interezza,
così come è, ma soprattutto sento l’obbligo di proteggerL0 nella Sua Purezza.
………………..parlo di avventure intorno al mondo, di infinite corse
lungo le strade del mondo e di prodigiosi amori che, partendo dalle piccole
cose che mi vivono accanto, si sono riversati sull’intera comunità umana.
Buona lettura…………….e buon viaggio.
nuccio guarnera
27 maggio 2008
VIAGGIANDO……………COMUNQUE (2)
Rientro in paese
ai primi di luglio e ritrovo la stessa
situazione di prima. L’insormontabile ostacolo dal quale ero fuggito qualche
settimana prima, non si era per niente rimpicciolito. Rimaneva ad attendermi in
un angolo della mia mente per essere sempre pronto ad esplodere appena avrei
rimesso piede in paese.
In effetti, la mente stessa, quella mente che mi aveva
regalato qualche altro giorno di proroga, convincendomi ad andare a Mosca, lo riproponeva al mio cospetto con tutta la
serietà della situazione.
Era il momento di decidere cosa fare…………………e non potevo
assolutamente esimermi o decidere da solo……………………….. insieme!!!!!!!!!
Insieme dovevamo affrontare la realtà del momento ed
insieme, con grande maturità, decidere cosa fare del nostro futuro. Eravamo
molto immaturi ed entrambi, credo, non
eravamo convinti e felici di scegliere se portare sino in fondo la gravidanza……………..però!!!
PERO’!!!!!!!!!!!!!!!!!
Un però
enorme………………...grande quanto il mondo intero.
………………..rischiavamo di stravolgere la bella vita che vivevamo ognuno nella propria realtà abbandonando
i naturali sogni giovanili e cominciare
a mettere i piedi per terra, per capire che non saremmo stati più
da soli, che le decisioni da prendere da quel momento in poi le avremmo
dovuto prendere in due…………………e non era facile.
Allora sconoscevo le stupende opportunità che la vita in coppia dona a coloro che, in armonia e spinti dall’amore,
decidono di vivere insieme….anche se, nel nostro caso, la scelta è stata
forzata.
Un PERO’ pieno di responsabilità……………un “però” condizionato
dall’ambiente……. pesante………che non lasciava spazio…………..un “però” che ci
imponeva a non scuotere le regole sociali…………….per accettarle in sommesso
silenzio.
Un PERO’ che alla fine……………..ci fece scegliere di camminare insieme sulla stessa strada.
……………………e meno male!
E’ stata la scelta più giusta e più bella della mia vita.
Allora ero veramente impaurito.
Il futuro per entrambi non sembrava molto roseo. Io non
lavoravo e non sapevo fare nulla………….riuscivo solamente a viaggiare. Lei andava
ancora a scuola e l’unica cosa che sapeva fare era…………….sognare. Con tutto ciò
decidemmo di camminare insieme per affrontare l’ardua impresa della vita di
coppia.
I nostri incontri allora, anche se la situazione incalzava,
non avvenivano con frequenza, e non potevamo affrontare l’argomento con
serenità. Sapevamo di fare questo passo insieme, ma non sapevamo come
farlo…………..e quando farlo.
Lei in quel periodo era alle prese con gli esami di Stato.
Non riusciva a concentrarsi sullo studio e rischiava veramente di non
superarli.
La tensione era insostenibile e bisognava decidere presto………………………….
Cosa fare?!
Il solito dilemma di chi deve affrontare qualcosa di
importante non avendo niente di consistente tra le mani.
Chi eravamo noi per avere la certezza di non sbagliare?
Quali sicurezze materiali e quale forza interiore
possedevamo allora per poter decidere in serenità quale fosse la strada più
giusta e più felice da percorrere?!
Scegliere per noi era veramente un problema. Un grande
dilemma.
Io vagabondo………………..…Lei sognatrice.
L’unica cosa certa, che ci legava, credo, era l’Amore.
Io mi sentivo attratto verso di Lei………………ed ero pazzo.
Incoscientemente, ricordo, ero felice perché pensavo che
finalmente l’avrei potuta avere sempre accanto.
La svolta arrivò quando si presentarono Orazio e Maria invitandoci a partire con loro su un furgone
238 della Fiat, in giro per l’Europa.
Il viaggio, ancora una volta, mi aiutò nel trovare la soluzione migliore al problema.
Ne parlai con Pina e decidemmo di fare il grande passo
appena Lei avrebbe finito con gli esami.
La “fuitina” in un paese piccolo come il nostro, per giunta
in Sicilia, è servita da sempre a risolvere questioni spinose mettendo tutti di
fronte al fatto compiuto.
L’occasione era veramente da non perdere, difatti cogliemmo
l’attimo senza pensarci due volte. Questa nuova grande avventura, che avrebbe
cambiato la mia vita…………….oggi posso affermare con assoluta certezza in
meglio……………..
iniziava sotto l’auspicio meraviglioso dell’arrivo di una
creatura che sarebbe stata tutta nostra.
Bisognava andare via………………subito…………………..
Gli ultimi esami li sostenne il 21 di luglio e noi, quella stessa notte, partimmo insieme
per vivere la PIU’ GRANDE AVVENTURA DELLA NOSTRA VITA.
Racimolai qualche soldo, preparai il solito amato zaino e lo
portai da Orazio per caricarlo sul furgone.
Cosa stavo per fare!!!!!!!!!!!!!
Potevo benissimo partire da solo, abbandonare l’impresa ed
andare via………………….lontano. Un simile pensiero non mi balenò mai per la mente. Ero troppo
innamorato di quella ragazzina che in futuro si dimostrò una ragazza forte,
capace e amante dei viaggi più di me. Possedeva tutto ciò che desideravo
trovare nella donna della mia vita………………e non mi sbagliai.
Ci eravamo cercati, abbiamo camminato accanto a lungo e
finalmente le nostre strade stavano per
incrociarsi per diventare UNO realizzando insieme IL NOSTRO FUTURO.
Un presente che è frutto inconsapevole di scelte attuate in
un passato remoto. Il legame indissolubile che esiste tra
passato-presente-futuro non è una semplice dissertazione filosofica. Ogni cosa è così perché noi l’abbiamo
voluta così. Come progettiamo un viaggio tanto tempo prima e poi
miracolosamente si realizza, così dovremmo credere nella possibilità reale di
progettarci la nostra vita futura.
Qualunque cosa, dal male alla gioia, dalla tristezza al sorriso, deve essere vissuta
con la consapevolezza che noi, in prima
persona, abbiamo collaborato affinché si verificasse tutto così come è.
Quel giorno, io e Lei, dovevamo per forza scegliere di
vivere insieme…… perché, insieme, per anni, per secoli forse, abbiamo seminato
semi nello stesso campo.
Questi semi quel 3 giugno del ’72 si sono fusi in un
abbraccio vitale divenendo UNO, creando i presupposti per costringerci a
prendere la “giusta” decisione…..difatti
il 21 luglio dello stesso anno prendemmo l’affascinante decisone di andare a vivere insieme.
Fu proprio così.
Lei, quella sera, lasciò la Sua casa per venire a vivere con
me.
A vivere con me!!!!!!!!!!!!!!!!!
Chi ero io………………….in quel periodo!!!!!!!!!!!!!!!?
Vacillavo.
Dalla mia parte avevo solamente la mia fortuna.
Forse era quella “immaginetta” che portavo sempre con me a portarmi fortuna,
o forse erano tutte le preghiere che mia mamma rivolgeva a Santa Lucia Mangano
per illuminare la mia strada……….
In effetti fui io ad andare a vivere con Lei. La Sua precoce
maturità mi prese per mano e mi aprì la mente, dandomi quella sicurezza che mai avevo avuto. Grazie
a questa Sua forza, dall’aspetto ancora infantile repressa in un corpicino
meraviglioso, esplose in me un desiderio di stringerLa al petto per ritornarLe
quella sicurezza che Lei stessa mi infondeva continuamente.
In tante occasioni trasmettiamo Amore, Pace, Armonia, e in
tante occasioni sentiamo su di noi sensazioni di Pace, d’Amore e di Armonia. E’
il nostro stesso “dare con serenità” che ci ritorna indietro, influenzando la
nostra vita nel senso che noi stessi gli abbiamo dato.
Siamo noi a crearci determinati ostacoli perché noi stessi
li abbiamo immaginati e vissuti in momenti passati…….siamo noi ad aprire all’Amore
la nostra vita, perché siamo stati noi che abbiamo seminato in passato “Amore”.
Questo ritorno “condizionato” dal nostro “dare”…………”o
pensare”, è il segreto per vivere una vita serena e felice.
Erano le 10 di sera quando Lei uscì da casa per “fuggire”
con me. Aveva una piccola borsa e portava con sé la speranza in un
futuro………….grandioso.
In effetti questo futuro “grandioso” da subito lo abbiamo intessuto
momento dopo momento e vissuto insieme sin dal primo giorno. Abbiamo realizzato
tutti i nostri sogni, uno dopo l’altro, perché abbiamo dato la possibilità
reale al nostro futuro di manifestarsi in armonia con ciò che al momento
avevamo.
Un futuro felice, in continuo movimento, nella certezza che
dopo un passo ne veniva un altro, propedeutico al precedente.
In pochissimi secondi le nostre vite divennero UNO e non ci
preoccupavamo affatto di come avremmo
affrontato la vita futura.
Ero già pronto con una macchina ad aspettarLa dietro la
chiesa di S. Antonio. Nino ci accompagnò
in un hotel di S. Giovanni La Punta dove trascorremmo la nostra prima notte.
Dopo tanti anni di incontri fugaci, rubati al tempo, in strade secondarie o
dietro le colonne di S. Nicola, quella notte finalmente potevo tenerla tra le
braccia senza la paura di essere visti da qualcuno.
Eravamo soli, liberi e intimoriti.
Quella notte non era adatta per fare progetti.
Quella era la nostra notte……………….dovevamo viverla con
passione cercando di vivere solamente la gioia del momento presente.
Il ricordo di quella notte ancora oggi mi sfugge.
Pur avendo fatto l’amore con molta passione, non è stata una
notte da non dimenticare. La paura del futuro, le lacrime di Pina, gli sguardi
insicuri che si interrogavano senza sapersi dare una risposta…………..e poi il
giorno dopo…..e gli altri giorni……con un figlio in cammino……………..
Il giorno dopo venne Nino per accompagnarci all’Alhoa di
Acireale. Avevamo appuntamento con gli altri per partire insieme sul mitico
furgone che Orazio usava per lavorare. Loro già da due anni vivevano insieme, avevano un figlio, e quindi, dalla loro esperienza
prendemmo molto insegnamento.
Anche loro appartenevano alla schiera dei “fuggitivi”.
L’ora dell’appuntamento intanto era trascorsa da un po’ di
tempo e i compagni di viaggio non davano alcun segno di vita. Ormai il dado era
stato tratto, quindi potevamo benissimo ritornare in paese e mettere di fronte
al fatto compiuto i nostri genitori, ma noi volevamo dare alla “fuitina” un
aspetto avventuroso. Volevamo sin dall’inizio imprimere alla nostra vita in
comune l’essenza del viaggiare, del partire ad ogni costo senza preoccuparci
degli eventuali ostacoli. Non volevamo essere i semplici innamorati di paese
che fuggono per qualche giorno da una zia e poi rientrano nel silenzio scontato
della società. Volevamo scuotere l’immaginazione e la curiosità dei benpensanti
e dei conservatori, quindi per noi era molto importante che l’avventura non
finisse miseramente e, soprattutto, in pochi giorni.
Improvvisamente vedemmo scendere da un’auto Orazio il quale,
ci informava che, proprio all’uscita di Catania, ad Ognina, il furgone si era
guastato. Bisognava aspettare qualche ora perché lo si stava riparando.
L’attesa si protrasse a lungo scoraggiandoci…………e noi non
potevamo e non volevamo più tornare indietro. In paese si era sparsa la voce
delle nostra “fuga” e quindi dovevamo per forza non concludere in modo così repentino e normale
la nostra l’avventura.
Il paese spesse volte costringe chi vuole camminare per
conto proprio a non scegliere, nel senso
che impone le sue regole, lascia che si consolidano nel tempo e poi, sarà la
paura e l’insicurezza che ne deriva, a conferirle una forma di potere assoluto
sotto il quale l’intera comunità deve sottomettersi. La Sua forza conservatrice con autorità ne
determina lo sviluppo e la libertà di tutti i suoi componenti.
Difficilmente il paese, del sud specialmente, accetta chi osteggia singolarmente atteggiamenti che
cercano di sovvertire l’ordine costituito.
Il gruppo di “potenti” che gestiva e gestisce ancora oggi il
potere nel nostro paese, i presidenti dei vari circoli culturali e
professionisti, le varie sedi rionali con i loro presidenti, la potente commissione centrale dei
festeggiamenti di S. Anastasia, le sedi parrocchiali con le loro varie bizzoche
di turno, i preti assoggettati al potere costituito ed essi stessi espressione
di potere, le varie segreterie dei partiti di governo, in quegli anni
controllavano chiunque tentava di andare oltre certi determinati canoni.
Per costoro il “diverso” doveva essere richiamato al
rispetto di certe regole civili, e lo facevano usando tutti i mezzi. Su di me
agivano usando l’arma della mia famiglia. Pressavano su mio padre affinché mi
costringesse a vivere in un certo modo. Conoscevano le sue debolezze ed erano a
conoscenza del cieco e supino rispetto
che Lui aveva per le regole della società. Per Lui vigeva la supremazia dell’occhio sociale, e
ad esso tutti dovevamo ossequio, specialmente i suoi figli.
Erano dei vili, repressi dal tipo di vita che conducevano e
non permettevano a nessuno di……….andare avanti da solo.
Li chiamavo in quegli anni “i morti viventi”.
Li avversai moltissimo assieme a tanti altri compagni che
volevano uscire fuori
da quell’infamia paesana che opprimeva la nostra libera
espressione.
Vecchi ricordi di lotte fatte davanti al locale
“carnevalesco” organizzato dal CUP (circolo universitario professionisti) il
quale pretendeva una certa etichetta da borghese per poter accedere in sala a
danzare.
Erano tempi veramente duri per i “diversi”. Grazie a quelle
lotte e grazie anche a qualche ostinato
conservatore, amante delle “decenti apparenze”, al quale non ho mai ceduto
niente del mio modo di essere, oggi posso camminare a testa alta forte di una
dignità mai barattata. Il suo infame conformismo e il suo gretto
conservatorismo mi hanno abituato alla
lotta e nel contempo a soffrire nel buio della mia stanza. Quella falsa
saggezza, espressione di una società in decadenza, non è mai riuscita ad
elevarsi a simbolo da emulare nella mia mente……………e ne sono orgoglioso.
Il furgone arrivò di
pomeriggio in buone condizioni e, senza perdere altro tempo, ci mettemmo subito
in cammino.
Ero felicissimo.
Un’altra avventura stava per iniziare, stavolta però con
accanto la donna della mia vita. Mi trovavo nuovamente sulla strada………………..e
stavo correndo felice verso il mio futuro.
Conoscere il mondo tastandolo direttamente, passo dopo
passo, è una grande fortuna. Avere la forza e la volontà di non fermarsi di
fronte a niente pur di andare avanti verso la conoscenza di sé stessi usando
come veicolo la passione che si ha per il
viaggiare liberi lungo le strade del il mondo, è una grande combinazione.
Trovarsi poi accanto alla persona che si vuol bene, con la quale si decide
insieme di condividere la vita, che approva assolutamente questa scelta, è come………………essere
baciati da Dio e dalla fortuna.
Non ricordo di aver portato con me l’immaginetta presa in India, però mi
ricordo di aver avuto accanto la mia
fortuna.
E’ la compagna ideale in simili avventure. Io l’ho sempre
sentita vicino ed Essa mi ha sempre ripagato aprendomi tutte le strade. Le
ho sorriso in ogni situazione. Non l’ho mai ostacolata quando decideva di farsi
sentire, e non l’ho mai richiamata
quando non prendeva alcuna decisione. Ho sempre lasciato liberi gli
eventi di manifestarsi attorno alla mia vita accettandoli per come si
presentavano.
La Fortuna appartiene a chi si considera fortunato.
Basta un semplice atteggiamento mentale positivo, per
legarla indissolubilmente a noi……………………….perchè Essa è già in noi.
E’ il nostro “considerarci sfortunati” a tenerla lontana.
In quel viaggio non mancarono mai i sorrisi, la gioia e la
speranza in una nuova vita piena di cose belle.
Passammo le Calabrie e la Campania a setaccio, paese dopo
paese, per vendere statuette della Madonna delle Lacrime di Siracusa
incastonate in una piccola grotta in pietra lavica. Il furgone era strapieno di
queste grotte, ve ne erano centinaia, perciò la prima settimana è stato un vero
problema trovarci un angolo in cui dormire in serena intimità. Per me è stata
una grande sofferenza in quei giorni non poter fare l’amore liberamente con
Pina.
Dalla loro vendita dipendeva il nostro viaggio e…………………….ne
vendemmo veramente tante.
La gente ha sempre avuto un implicito desiderio di stringere
qualcosa di solido tra le mani, da toccare, al quale relegare poteri
straordinari e miracolosi che servissero ad esaudire gran parte dei propri
sogni.
Mi ricordo che nel salernitano le Madonnine andarono a ruba.
Dai miracoli che promettevamo si otteneva, per noi, un ottimo ritorno in denaro, quindi la certezza di svolgere l’ambizioso viaggio
che avevamo deciso di fare, aumentava di
giorno in giorno.
Da un altoparlante, messo ad alto volume, la voce di Orazio
attirava attorno al furgone molta gente………………e poi avevamo anche la voce
suadente di Filippo, detto “banna”, registrata su una cassetta la quale
decantava le lodi della madonnina……………..
……………….”Le mani incantate delle bambine dell’orfanotrofio
dell’Etna hanno costruito con le pietre nere dell’ultima lava queste grotte
dove hanno posto la statuetta miracolosa della Madonna di Siracusa…. compratele……..!!!!”………..le
potete mettere sul comodino, in cucina, sulla televisione, sull’armadio…………..il
miracolo è assicurato!!!!!!”.
In questo modo, pervasi da una grande gioia e rassicurati da
un ritorno economico, attraversammo tutta l’Italia, passando per la costiera
Amalfitana, Posillipo, Pompei………… per arrivare a Milano dove depositammo in un
garage le ultime Madonnine rimaste.
Pina era favolosa e lentamente emergeva la Sua passione per
i viaggi.
Insieme in futuro avremmo attraversato in lungo e in largo
il mondo intero, quindi, questo primo viaggio, doveva servire come trampolino
di lancio per le future avventure. In effetti fu molto pesante, svolto con pochi soldi e in
situazioni molto precarie.
Per andare a Parigi passammo da Lyone, e tenendo alto il
volume dell’altoparlante esterno irradiavamo musica rock in ogni angolo di
strada.
Quelle strade le sentivo amiche. Le avevo percorse qualche
anno prima da solo per andare a vivere un mese a Parigi, e poi con Pino in
autostop, nel ’70, reduci da un lungo
viaggio in Europa.
Mi sentivo a casa.
Parigi ci accolse in una magnificenza di colori, di musica e
di razze.
Il furgone ci permetteva di arrivare fino in centro senza
trovare alcun ostacolo.
Era diventato la nostra casa. Lo spazio ristretto di prima,
quando ancora avevamo le grotte di pietra lavica, si era allargato talmente da
farci trascorrere lunghe ore in dolce intimità. Pina era felice, sorrideva e si
meravigliava di fronte alle grandi opere parigine. Dai musei del Louvre a Montmatre,
dall’Arc du triomph a Notre Dame, da Pigalle alla Tour Eiffel…………..Parigi era
così piccola per noi che non riusciva a contenere la nostra gioia.
Il futuro lo stavamo vivendo nel momento presente e nessun
ostacolo ci sembrava insormontabile.
Con il furgone ogni sera cambiavamo luogo dove dormire. Non
avevamo limiti e potevamo benissimo fermarci per la notte in qualunque posto.
Parlavamo di politica, della rivoluzione mancata, dei figli
dei fiori che stavano invadendo il mondo con quel classico: “FACCIAMO L’AMORE,
NON FACCIAMO LA GUERRA”……………parlavamo anche del nostro paese, di come
organizzarci dentro il partito per ribaltare l’attuale realtà.
Pina era molto affascinata dai musei, dell’arte in genere, a
differenza di me che amo semplicemente viaggiare senza interessarmi di nulla
che non sia………………
……………la strada, il camminare in libertà per sentire dentro
di me la sensazione del movimento e dell’andare via……lontano…….
Guardavamo i tanti visi della gente di colore diverso l’una
dall’altra, a volte stavamo lunghe ore seduti sulle banchine della Senna ad
osservare il fiume scivolare verso il mare………a Montmatre passavamo giorni interi
ad ammirare l’estemporaneità di qualche pittore che in pochi minuti ritraeva i
visi della gente………..dalla scalinata del Sacro Cuore contemplavamo i tetti di
Parigi…………
Mi spinsi verso rue Turbigò per incontrare Turi e gli altri
amici, Massimo e Orlando. Si erano sposati e delle belle notti di qualche anno
prima, trascorse nelle discoteche di Montparnasse, rimaneva solo il profumo diluito con il
ricordo di qualche ragazza algerina.
Con Pina stavamo vivendo un’esperienza molto bella. Erano bei
momenti per sognare un mondo migliore e un futuro pieno di viaggi.
Ci tenevamo per mano, ci stringevamo e facevamo l’amore…..………..…
Il furgone era un campo di battaglia…………Orazio e Maria
sistemati di dietro e noi davanti,
separati da un leggero muro di compensato.
Con il nostro movimento davamo un senso alla staticità del furgone.
Eravamo sempre in cammino…….in movimento……….GRANDI MOMENTI.
Da Parigi ci
spostammo a Norimberga attraversando mezza Europa.
Mentre il furgone correva verso la meta, la gioia sprigionata
dai nostri cuori avvolgeva l’ambiente circostante. L’alto volume della musica,
la nostra felicità, i nostri sorrisi, gli abbracci e i lunghi discorsi politici
riempivano di vibrazioni positive il mondo intero…………….era un grande momento.
Ancora non pensavamo al futuro………e forse era meglio.
Norimberga in quei pochi mesi di lontananza la trovai
completamente cambiata. L’attività politica di prima, l’armonia folkloristica
attorno ad una bottiglia di birra e quell’ambiente profondamente paesano, erano
scomparsi. Mancavano in tanti e soprattutto vi era molta freddezza. Solamente
Antonietta ci accolse con gioia ed abbracciò Pina che finalmente poteva
conoscere.
Gli altri………….dove erano!!! Dov’era Argiolas, Giuseppe,
Morittu……dove erano tutti quei sardi con i quali trascorrevo lunghe notti a
discutere sulla vita, di politica…….dove erano quei fiumi di birra che
trascinavano con sé tante menti tristi verso una liberazione virtuale!!!!!!!!!!
In pochi mesi quel mondo era………………divenuto un altro.
L’azione irrefrenabile del fluire continuo di tutte le cose
aveva toccato anche quella realtà che sembrava ben consolidata. Pur essendo
sostenuta dalla sofferenza, ravvivata dall’odio verso il padrone tedesco e
animata dal desiderio di poter tornare un giorno a casa pieni di soldi……………..con
tutto ciò anche essa è stata colpita dall’onda del cambiamento. Forse è stata
la delusione del mancato sorpasso alle elezioni politiche, o forse qualche
altra cosa……chi può dirlo!!!!!!!!!
Entrai al bar di Platen strasse convinto di trovare una
calorosa accoglienza, invece notai tanto silenzio, principalmente da parte di
quei pochi rimasti.
La sera dopo si organizzò un’incontro con gli ultimi compagni per permettermi di salutarli, di
poterli abbracciare e di presentargli la mia Pina. E’ stato un semplice
incontro formale senza niente di eccezionale. Mancava Giuseppe, l’unico
compagno con il quale mantenevo rapporti oltre la politica. Anche Lui era un
sognatore, diverso da me, però sperava in un mondo migliore e in un suo prossimo
rientro a casa per ritrovare la Sua vecchia mamma.
Ci fermammo solo pochi giorni e poi, ripassando per la
solita Monaco, iniziammo a correre lungo la via del ritorno. Lentamente,
lasciando ovunque segni di gioia e d’Amore, cantando a squarciagola la nostra
libertà……….. Passammo per Strasburgo, poi per l’Austria, dalla Svizzera per
ritornare a Milano a riprendere le poche grotte di pietra lavica depositate in
un garage presso un parente di Maria.
Mi incontrai con mio
fratello Franco che in quel periodo stava prestando il servizio militare
nell’arma dei bersaglieri………….i soliti abbracci……e via…..
…………….via. Era trascorso un mese e l’ora del rientro inesorabilmente
cadenzava i suoi passi.
Era trascorso un mese e le acque mosse di prima non si erano
ancora calmate. Adesso era il momento di affrontare il paese con tutte le sue
“sottovoci” sature di pettegolezzi che distruggevano chiunque senza alcun
ritegno.
Il paese mormorava lievi
sussulti quando doveva criticare.
Nessuno sfuggiva al suo vigile occhio. Anche noi passammo sotto quelle
forche…….e chi lo sa quanto parlare su di noi, sulla povera Pina che era
capitata male, con un comunista che non aveva rispetto per le regole e per la
chiesa…………………..
In paese le voci correvano molto veloci e si insinuavano in
ogni angolo. La sua prepotente forza consisteva proprio in questo condizionante
chiacchiericcio dal quale nessuno poteva esimersi.
Il nostro rientro quindi non passò in silenzio.
Scendemmo dal furgone proprio di fronte casa mia.
L’avventura vissuta per le strade d’Europa, si trasferiva in
una piccola casa in un paesino siciliano.
Era il momento di fare i conti con la realtà.
Avremmo saputo affrontarla con dignità, cercando di non
scendere a compromessi pur di ottenere quello che desideravamo………………………..o
no???
In silenzio, ci siamo guardati negli occhi e inconsciamente
abbiamo deciso di mantenerci sempre liberi come lo siamo stati fino a quel
momento.
E’ facile scivolare
quando ci si trova in condizioni aleatorie di disagio e di bisogno. La
dignità, purtroppo, diventa un elemento secondario e facilmente viene non
considerata. L’esigenza primaria diventa il lavoro, la casa, la televisione e
un bel matrimonio per sancire ufficialmente e religiosamente l’avvenuta unione.
Cose che entrambi volevamo che non accadessero.
La casa dove vivevano i miei
genitori ci accolse apportando lievi stravolgimenti. Mia mamma era felice
perché pensava che finalmente avrei trovato un po’ di serenità, mio padre
riacquistava credibilità per l’occhio sociale perché poteva dimostrare
apertamente che suo figlio, in questo caso, si era dimostrato di essere un vero uomo. Mio fratello Maurizio accettò
l’evento come un nuovo giocattolo con il quale giocare, l’altro mio fratello stava prestando il
sevizio militare, quindi la situazione non lo riguardava, e mia nonna, buona
come era, abbracciò Pina e divennero da subito buone amiche.
La stanzetta dove preparammo il letto matrimoniale era molto
piccola. A stento riuscivamo ad entrarvi e a ritagliarci un po’ di intimità. La
situazione era molto precaria e bisognava trovare presto una soluzione.
L’instabilità oggettiva determinava problemi profondi ed esistenziali. La soluzione non
era a portata di mano. Dovevano passare ancora alcuni mesi prima di andare a
vivere in una casa in affitto da soli.
L’imbarazzo di Pina era molto evidente, non riusciva ad
essere sé stessa. Anche io cercavo di scuotermi dall’apatia nella quale ero
caduto, ma la mancanza di denaro, il peso delle reali responsabilità arrivate
tutte in una volta, mi costringevano in un angolo a non reagire. La politica
attiva lentamente si stava allontanando
dalle mie aspirazioni prioritarie. Leggevo pochissimo e speravo in un aiuto
esterno, difatti qualcuno mi aiutò cercandomi un lavoro in un rifornimento di
benzina sulla Catania Siracusa.
Partivo da Misterbianco ogni mattina alle sei con il
proprietario e ritornavo la sera molto tardi, tutto per una misera somma. Era
il mio primo lavoro da sposato ed ero pressato dalla responsabilità di
mantenere una famiglia. Gli obiettivi di qualche mese fa che mi spingevano a
lavorare per un semplice gioco o per una falsa esigenza, tipica tra quegli
intellettuali che vogliono sentire su di loro l’ebbrezza dell’emarginazione
sociale e proletaria, stavolta erano cambiati.
Dovevo tenere conto della mia famiglia. Non ero più solo.
Un periodo da dimenticare.
La tristezza di Pina.
La sua timidezza la costringeva in disparte dalle decisione
da prendere. Il dipendere economicamente dai miei genitori per qualunque
cosa………………..per andare al cinema, per uscire con gli amici……….comprare il
corredino per il bambino…………………..e non poter decidere cosa mangiare, quando
mangiare…………….era un vero dramma.
La nuova situazione ancora non entrava nella mia mente………………..del
resto oggi, dopo tantissimi anni, posso affermare con assoluta certezza che quell’infantile
posizione mentale e comportamentale di
allora, forse per paura o per mancanza di crescita, che non mi faceva entrare nell’idea di essere
un padre con una famiglia sulle spalle, ancora dentro di me non si è
“responsabilizzata” del tutto………………….continuo a sentirmi libero, padre di due
figli che camminano in questo mondo da soli, a volte sostenuti dalla mia
presenza, e soprattutto innamorato di mia moglie, con la quale mi considero,
veramente, un eterno fidanzato.
La mia famiglia!!!!!!!!!!!!La mia nuova famiglia.
Adesso era Pina la mia famiglia.
Nostro figlio sarebbe arrivato tra qualche mese ed avrebbe
senz’altro apportato al nostro nucleo una ventata di novità. Non pensavo ai
problemi futuri, alle difficoltà oggettive determinate dalla precarietà della
nostra situazione. Ero già sin d’allora ottimista e ogni momento per me
era sempre il momento buono per pensare
ad una nuova avventura per le strade del mondo.
Già sin dai primi giorni, durante le notti insonni in
quell’infima stanza da letto, parlavamo di futuri viaggi, di luoghi fantastici
da visitare per vivere con gioia anche in situazioni estreme. Riempivo la testa
di Pina parlandoLe continuamente dei miei viaggi in autostop lungo le strade
d’Europa.
Stavamo intere notti a sognare.
Il nostro presente in quel periodo non ci permetteva di
andare lontano con la fantasia, eppure, mi ricordo, di non avermi fatto
prendere dalla sindrome della sconfitta o dell’indifferenza. Non potevamo
viaggiare, però gli impegni nel sociale non mancavano. Avevo ripreso ad
impegnarmi nel partito svolgendo attività politica a tempo pieno.
Mimì era il nostro leader. Grazie a Lui tanti di noi
conobbero il giusto modo di fare politica che era quello di radicarci nella
realtà in cui vivevamo e di conseguenza progettare azioni politiche. La paura di qualche anno prima, determinata da
mio padre e da mio nonno Nino, che mi trattenevano lontano dalla sezione del
partito, aveva preso le ali. Adesso partecipavo alle riunioni, potevo assistere
in prima fila ai comizi e parlare a voce alta gridando i miei ideali.
Il lavoro di benzinaio, intanto, andava avanti con un certo
fastidio. Non vedevo l’ora di ritornare a casa e di stare accanto a Pina. La
Sua vicinanza mi tranquillizzava e mi proiettava in un futuro sereno e pieno di
avventurosi viaggi. In effetti sin dai primi anni abbiamo iniziato a girovagare
per il mondo sfidando enormi difficoltà
economiche e contrasti familiari che non ci sono mai mancati.
La Sua pancia
intanto, con il trascorrere dei mesi, aumentava e si avvicinava il tempo di prendere delle
decisioni importanti. Dovevamo regolarizzare la nostra unione davanti a Dio,
così dicono i benpensanti, e nei confronti della società. Due passi che già sin
d’allora non volevamo affatto fare perché non credevamo a queste false regole
impregnate di bigottismo e di ipocrisia volute da una società che contestavamo già da diversi anni…………………………….eppure
era un passo che dovevamo fare…………..e l’abbiamo
fatto…………..con tristezza, sicuramente,
però convinti di farlo.
Eravamo troppo piccoli per scontrarci con simili regole radicate
nelle menti, nel sangue e nella cultura del popolo siciliano. Potevamo
benissimo sfidarle, forse avremmo vinto…………….ma a quale prezzo.
Chi eravamo noi per andare contro tutte quelle prescrizioni
consolidate negli anni? Perché dovevamo creare altra sofferenza ai nostri
genitori che sono cresciuti nel timore e nel rispetto di queste regole?
In quel momento siamo stati veramente maturi.
Non ci siamo fatti condizionare da quell’infantilismo
politico ed ideologico che ci spingeva verso una intransigenza ottusa, che
avrebbe creato lancinanti divisioni in seno alle nostre famiglie.
Lunghe ore a discutere con Pina su quale sarebbe stata la
migliore decisione da prendere………………..alla fine abbiamo deciso di celebrare un
matrimonio ufficiale condito di tutti i crismi sociali voluti dalla società di
allora………………..e abbiamo fatto bene.
L’armonia è stata completa.
I preparativi si sono svolti con grande passione, gli inviti
sono stati decisi in completa sintonia…………le bomboniere, la scelta del colore
del vestito da sposa……..hanno deciso un giallo paglierino con un cappello alla
contadina tutto rigorosamente fatto dalla mamma di Pina……………..il mio
vestito………..l’unica trasgressione da parte mia è stata non mettere la cravatta
e non portare la fede, scelta presa in sintonia con Pina sin dal primo
momento……….la scelta del locale……….abbiamo preferito fare il ricevimento al
locale la “Tarantola”, accanto la
piazza, per risparmiare e, in parte perché i nostri genitori volevano
punirci per quello che avevamo fatto, “fuggitivi”……………un complessino musicale
di matrice paesana, la scelta della chiesa……………..quella di S. Antonio era in
costruzione quindi il rito si è celebrato in un garage proprio dietro la
chiesa……………….i testimoni……………..o quante cose……….il fotografo, il film per
ricordare………………..il viaggio di nozze non l’abbiamo fatto. Non era nei piani e
non pretendevamo di pesare così tanto su i nostri genitori.
In serbo però avevamo la conquista del mondo.
Trovammo una casetta dove vivere da soli proprio accanto a
quella dei miei familiari. Era piccolissima, a più piani, senza doccia, senza bidè………difatti
ne usavamo uno di plastica, le scale erano molto ripide e il cambiamento di
stagione veniva vissuto in modo molto violento dato che l’inverno era
estremamente freddo e l’estate paurosamente torrida. Era un “pipitone” di casa senza
nessuna copertura da tutti i quattro lati.
La vivemmo per quasi cinque anni nella più tetra oscurità.
Pochissime persone, mi ricordo, vi entrarono. Era piccolissima e
invivibile…………………….eppure!!!!! Nel silenzio cupo delle sue mura, funestata da
un vento prepotente, dove l’acqua vi entrava senza ritegno appena un piccolo
acquazzone cadeva dal cielo, dove l’odore rancido di muffa impregnava le sue
mura……………………..in tutto questo guazzabuglio di ostacoli che rendevano l’armonia
della vita molto aleatoria, l’Amore tra me e Pina emergeva sopra ogni cosa.
La scelta dei mobili avvenne in modo freddo senza alcuna
partecipazione da parte nostra perché allora non sentivamo l’esigenza di avere
una bella casa. L’importante avere un letto, un armadio, qualche sedia, un
tavolo e qualche mobile dove mettere i libri che già sin da allora avevo
iniziato a comprare con ingordigia.
Il libro è stato, e fortunatamente lo è ancora oggi, il mio
più grande Maestro.
Non si è mai limitato al semplice insegnamento culturale. E’
andato sempre oltre la Sua verità ufficiale. Mi ha mostrato la verità implicita
che nella Sua vera essenza conteneva. Mi si è presentato sempre al momento
opportuno. Mai è stato precoce o ritardatario nella conoscenza che voleva
donarmi. Se qualche volta è arrivato prima del tempo previsto, trovandomi ancora
culturalmente e psichicamente impreparato per viverlo nella Sua giusta verità,
mi si è reso talmente impenetrabile e difficile persino nella lettura, da
costringermi gentilmente a depositarlo in un angolo della mia libreria.
Nei momenti di confusione o di palese esaurimento è stato
sempre pronto nel presentarsi in una
giusta lettura per schiarirmi le ombre
dalla mente. Anche nella mia ricerca spirituale la Sua presenza è stata sempre
puntuale e illuminante……………….mi ricordo quando nel ’74 vidi per la prima volta
il viso beato di Paramahansa Yogananda emergere su tutti gli altri, proprio
dietro il vetro di una libreria in via Umberto a Catania: “Autobiografia di uno
Yogi”, l’affascinante epopea di una vita miracolosa alla ricerca dell’Assoluto,
accompagnata da misteriosi Sadhu e da prodigiosi maestri illuminati………………….lo
comprai subito e in breve tempo lo lessi….lo rilessi tante volte……..lo rileggo
ancora oggi e non smetto mai di sentirmi tra le mani qualcosa di miracoloso che
ha cambiato la mia vita e quella di milioni di altre vite……………………………………………………..
Tanti altri sono stati i libri che hanno determinato in me un
cambiamento ……………………..ricordo l’immagine di Sai Baba quando per la prima volta
mi si presentò, sempre da dietro il vetro di una libreria, e come sconvolse
tutta la mia vita……………..un’altra storia.
Dobbiamo ringraziare profondamente quelle grandi personalità
che nei secoli ci hanno lasciato insegnamenti sublimi, spianandoci la strada
verso la liberazione.
Grazie alle loro opere divine, in tanti abbiamo sorvolato, e
andato oltre con la mente, vette incantevoli deliziando della loro presenza i
nostri cuori.
Intanto, mentre la pancia di Pina aumentava di volume e
nella Sua serenità cercava di pensare al corredo di nostro figlio, io
abbandonavo il lavoro di benzinaio, perché economicamente mi sentivo sfruttato,
ed iniziavo a lavorare in una fabbrichetta di scarpe situata a Catania nella
zona San Cristoforo. Un altro di quei lavori retribuiti pochissimo dove lo
sfruttamento era prassi consolidata e
dove l’avvelenamento, dovuto alla
combinazione delle vernici che servivano a colorare le tomaie delle scarpe,
consumava in breve tempo i polmoni degli operai. Vi rimasi solo qualche mese e, prima di lasciare il lavoro, gli creai un
casino favoloso interessando il sindacato sull’inumana situazione che si viveva
in questa fabbrica.
Perché, mi chiedevo, sulla pelle degli uomini ci permettiamo
di tutto?
Ero giovane, pieno di buoni propositi con poca malizia
addosso. Sapevo di dover scendere a compromessi se volevo trovare un lavoro
decente, ne ero consapevole. Non riuscivo a capire però questa stupida
ingiustizia, senza logica, perché si accaniva sempre verso il più debole, il
bisognoso. Il fermento interiore che mi creavano queste tristi realtà mi spingeva verso una coatta rassegnazione.
Ero cosciente dei limiti oggettivi con i quali dovevo
confrontarmi ogni giorno, consapevole che la vita difficilmente sorride a chi
rimane nell’incapacità di reagire. Questa società è talmente furba da imporre
schemi di sviluppo settari e violenti da farli accettare persino alla povera
gente convincendoli che simili momenti sono espressioni di alta democrazia.
L’interesse collettivo, dicono loro, deve emergere
sull’interesse del singolo………….però, stranamente, è sempre la povera gente, chi
non riesce ad esprimere le proprie esigenze, a sottomettersi a questo
“democratico” principio. Gli altri, i potenti, il politico, sono sempre oltre
questi concetti.
La collettività sono loro. Il popolo sono IO, dicono. Quindi
prima noi e poi………..gli altri.
I rapporti di lavoro che riuscii ad avere in quel periodo
sono stati molto aleatori e deprimenti. Avevo bisogno di libertà, di autonomia,
principalmente sul lavoro. Ne parlavo spesso con Pina e, senza saperlo, quei
discorsi stavano spianando una gloriosa strada per il mio futuro. Sognavo un
lavoro autonomo, libero dai legami sociali ed etici, fantasioso, dove potermi
esprimere senza alcun limite. Con Pina ne parlavamo continuamente……..possibile,
pensavamo, che lavorare oggi vuol dire scendere a compromessi??!! Ci ostinavamo
a considerarci liberi e tali volevamo rimanere.
Aspiravo con tutto me stesso a qualcosa di simile, però non
avevo ancora le idee chiare su cosa fare. L’unica cosa che riuscivo a svolgere
con Amore, passione e determinazione era IL VIAGGIARE.
Non riuscivo a pensare ad altro……….libertà, lavoro, viaggi.
Mentre ne parlavo con Pina, inesorabilmente il mese di
febbraio stava per arrivare. Nostro figlio già scalpitava per venire fuori e
noi………a sognare lunghi viaggi in qualunque parte del mondo.
Quell’anno mi ricordo un freddo molto intenso. L’umidità
congenita della nostra casa in combutta con il freddo e con l’acqua che scendeva
dal cielo, permetteva la formazione di uno strato di vapore acqueo e l’aria che
si respirava dentro casa era così pungente e tagliente che l’unica salvezza era
quella di uscire fuori.
L’unica stufa elettrica ce la contendevamo da sotto il
tavolo, nella speranza di percepire un po’ di calore.
Come sempre la mia fortuna mi stava aspettando dietro l’angolo
per esplodermi intorno appena le condizioni fossero state mature.
Verso il mese di dicembre del ’72 ebbi l’occasione di
assistere, presso la facoltà di Agraria, al procedimento di una stampa in
bianco nero eseguita tramite un Dust.
Fu l’evento che cambiò la mia vita mettendomi nelle
condizioni reali di rendermi autonomo economicamente e nello stesso tempo di
liberarmi dalle grinfie oppressive di
un datore di lavoro.
Possedevo una Halina con la quale mi dilettavo a fare foto.
Ero un semplice dilettante della fotografia e non mi rendevo conto di avere tra
le mani il mio futuro. La passione per le foto era un semplice modo per
sfuggire alla noia proposta dalla realtà.
Già da qualche anno avevo preso l’abitudine di fotografare
qualunque cosa, quindi ero già, in un certo qual modo, un esperto. La stampa
era l’evento che più mi appassionava. Contemplavo le foto, i loro colori e con
molta attenzione le inserivo in
albumetti di plastica per mostrarle agli amici. Ero molto soddisfatto
del risultato e mi proponevo di farne sempre di più in diverse occasioni.
Dal momento che ebbi l’opportunità e la fortuna di assistere
in diretta alla stampa delle mie foto, la gioia è stata tanta da farmi comprare
un piccolo Dust 60 con il quale iniziai a stampare da me tutte le foto che in
quel periodo facevo in giro per il paese.
Spesi quei pochi soldi che avevo messo da parte per comprare
l’ingranditore e l’occorrente per poter stampare.
Mi ricordo di aver consumato pacchi interi di carta
fotografica, di sviluppo e di fissaggio. L’importante per me allora era vivere
intensamente quel momento e gioire della felicità che mi donava.
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Il nuovo anno iniziava, per
noi, con un fragore immenso.
Ormai erano trascorsi diversi mesi dall’ultimo viaggio, e al
momento non ero in condizioni tali da decidere la prossima data. Ero sposato e
dovevo programmare il futuro tenendo conto anche delle esigenze di mia moglie e
in futuro anche di quelle di mio figlio. Fortunatamente sin dal primo giorno
anche Lei si è dimostrata una grande amante dei viaggi liberi, e preferiva
girare per il mondo senza alcuna struttura pianificatrice.
Viaggiare liberi, senza orpelli “catalogati” che snaturano
l’attraente avventura tra i popoli che abitano la terra, è senz’altro il modo
più interessante per conoscere il mondo. Soli e a contatto diretto con
l’ambiente e la gente del luogo, senza alcun filtro dal quale passare prima di
assaporare il paese con il quale al momento si è in contatto. E’ un’esperienza
indimenticabile.
Soli con le proprie paure, le proprie fobie, con le
insicurezze che derivano dal rapporto con il nuovo, è un grande momento di
crescita da non trascurare.
Siamo andati avanti in tutti questi anni con questa
convinzione ben salda nella mente e nello spirito. Sicuramente i rischi sono
maggiori, le spese forse aumentano, le fregature diventano più
frequenti……………….però si è liberi. Liberi da orari, di muoversi quando e come si
desidera, di fermarsi più a lungo in un luogo dove i rapporti con i popoli
locali sono più diretti e più sinceri.
E’ un’altra cosa viaggiare da soli e in libertà. Gli unici
limiti, al massimo possono derivare, ed è giusto che sia così, dal tipo di vita
che ci siamo scelti e dalle virtuali scale di valori che ci siamo confezionati.
Il fragore del nuovo anno era dettato dal grembo di Pina che
stava per esplodere. Antonio tra poco doveva venire al mondo. Già era irruente
ancor prima di nascere, difatti questa sua impetuosità lo costrinse ad uscire
fuori con 20 giorni in anticipo dalla data considerata. Nacque molto piccolo ed
ancora………………………….inesperiente.
La Sua permanenza nel grembo della mamma, al sicuro, al
buio, al caldo, immerso nel liquido amniotico, alimentato in modo sano e
continuo, coccolato da tutti, con il corredino già pronto, con una casetta, con
i nonni che non vedevano l’ora di stringerlo………………….e con un padre vagabondo, anarco-comunista,
senza lavoro, ad un certo punto……..divenne insostenibile.
Doveva per forza venire fuori.
La mattina del 9 febbraio Antonio vide la luce.
Il momento era arrivato improvvisamente la sera prima con
dei lievi dolori avvertiti da Pina. Non avendo la macchina, chiamai mio padre
per farci da autista. Una scelta sbagliata perché non era abituato a guidare al
buio e quella sera, mi ricordo, tanta era la tensione, si fermò diverse volte
ad orinare.
Pina venne prelevata da un’infermiere e scomparve dietro una
grande porta dell’ospedale “Bambino” di Catania .
Un’intera notte senza avere notizie.
Il silenzio che si innalzò attorno alla sorte di Pina fu
assoluto. Nessuno ci diceva qualcosa. Qualche infermiere ogni tanto usciva
avvertendoci che ancora Antonio non era nato.
Un mondo strano quello nostro. Si lascia una donna sola,
inesperta e ancora ragazzina, ad affrontare l’evento più importante della sua
vita senza la vicinanza di una persona
cara.
La prima sofferenza.
L’altra arriva durante il parto mentre la creatura cerca di
venire al mondo.
A parte il triste trauma che coglie il bambino appena nasce,
circondato da un ambiente freddo e asettico, vi è l’incontenibile dolore della
mamma che in quel momento la coglie impreparata e per giunta sola.
Un vero dramma.
In mattinata, dopo una notte insonne, uscendo dall’ospedale
per andare al bar fui attratto dalle luci del cinema “Esperia” che proprio a
quell’ora stava aprendo al pubblico. Ricordando i vecchi tempi quando da
ragazzo, anziché andare a scuola
preferivo rifugiarmi al cinema, senza riflettere entrai in sala e, tra il sonno
e il desiderio di stare un po’ da solo, trascorsi qualche ora davanti allo
schermo. Un modo come un altro per tirarmi fuori dalla “normalità sociale” la
quale presupponeva un genitore preoccupato per la moglie e speranzoso per il
sesso del nascituro.
Nemmeno in quella esaltante situazione riuscii ad essere
normale.
In effetti era contro me stesso che lottavo.
Sin dal primo momento, pur di mantenere l’identità “di
rivoluzionario e di contestatario” nella quale mi ero inserito e dove gli
altri, con i loro giudizi, mi tenevano rilegato, ho sempre cercato di
dimostrarmi freddo e distaccato di fronte a simili eventi.
Ero veramente impacciato.
Un’idea così nuova, sicuramente rivoluzionaria per
antonomasia, quella di crescere un proprio figlio, non l’avevo mai
contemplata.
Un figlio!!!!!!!!!!!....mi chiedevo con meraviglia. Per chi!
Per farne cosa!
Ero io il padre, certamente, ma chi doveva crescerlo, chi
doveva impartirgli la giusta educazione!!!!! Non mi sentivo pronto. L’unica
cosa che desideravo trasmettere a mio
figlio era l’Amore per i viaggi e per la libertà………………………..ma queste cose non
si trasmettono. Chiunque le possiede. Si risvegliano da sole appena le
condizioni sono mature.
A casa nostra le condizioni, per fortuna, non sono mai
mancate.
Il desiderio di viaggiare nel mondo per viverlo direttamente,
a contatto stretto con la gente che lo popola e con la natura che lo
colora, sono state da sempre esigenze
prioritarie nella nostra famiglia.
Appena misi piede nel vano della scala per salire al secondo
piano dove Pina stava per diventare
madre, la voce di mia mamma dall’alto mi gridò……….è maschio……..è maschio……ma
dove sei stato……….!
La sofferenza Le si leggeva negli occhi e dal volto Le
traspariva una pesante stanchezza. Era
distrutta, sciupata e piangeva a dirotto. Non riusciva a dimenticare il dolore
fisico e psichico vissuto durante il parto e non voleva vedere ancora il
bambino.
Non sapevo come comportarmi. Cosa fare. Giravo attorno a me
stesso senza alcun pensiero definito. Il fluttuare della mente mi rendeva tutto
così confuso. Le decisioni da prendere lasciavo che arrivassero da sole.
Pina in quel momento non era mia. Apparteneva a sua
mamma……….a mia mamma, che Le stavano addosso per esaudire ogni suo desiderio.
Tentavo di abbracciarLa per darLe un poco della mia serenità………………ma Lei era in
dormiveglia, farfugliava parole di sofferenza, si lamentava e inveiva verso i
medici…….assassini!!! Proprio così. Era stata molto maltrattata e l’unica sua
reazione era quella di offenderli.
Ero felice!!!!!!!!!!!! Credo di si.
La tipica felicità di
un ragazzo che ancora non si rende consapevole della nuova realtà. Ancora non
mi rendevo conto di cosa era avvenuto. Navigavo tra il vacuo e il razionale,
tra i sogni di ragazzo e le responsabilità di padre.
Non so sugli altri
quanto determinante possa essere l’arrivo di un figlio. Su di me l’arrivo di
Antonio non sconvolse assolutamente nulla. Rimasi, e lo sono ancora oggi,
innamorato dei miei sogni. La Sua presenza, da subito, divenne un elemento
naturale da inserire nella normalità della nostra vita.
Negli anni a venire lo lasciavamo spesso, e per lunghi
periodi, da mia suocera per continuare le nostre avventure.
In periodi diversi, per diversi anni, lo portammo con noi in
giro per il mondo………………e fu veramente meraviglioso.
L’insegnamento che da il contatto diretto con la strada è
quanto di più formativo possa esservi per un ragazzo.
Con noi a soffrire giorni interi sui bus guatemaltechi o su
i taxi brouss del Malì, o sdraiato al sole nelle spiaggia incantata di
Unawatuna nello Sri Lanka. Un vero addestramento alla vita, fatto di sofferenze
e di gioie allo stesso momento, di forti tensioni dovute alla precarietà dello
spostamento, di poco sonno in letti sudici e di pacifiche dormite cullate dal
rumore delle onde, di rischi reali di malattie, di colpi di sole o di freddo
intenso capace di provocare congelamenti.
Quel giorno segnava un grande cambiamento nella mia vita.
Con Pina lo vivemmo alla grande, nella consapevolezza che da quel momento in
poi accanto a quel camminare spensierato di prima vi sarebbe stata anche la
figura di Antonio.
L’arrivo
di Antonio a casa coincideva con l’entrata del carnevale. In quegli anni ancora
veniva vissuto in una baldoria di gioia
collettiva. L’intero paese trascorreva 15 giorni posseduto da questo clima
festoso e da profondi risvolti sensuali. Musica e sesso. Un binomio molto di
moda in quel periodo.
Chi ancora non aveva la ragazza, la spregiudicatezza della
piazza avrebbe senz’altro donato la possibilità reale e risvegliato un coraggio
interiore talmente disinvolto da poterla avere o almeno da poter toccare a
piene mani svariate forme di seni e di sederi.
Era il carnevale. Un momento di liberazione spontanea da
tutti i tabù che imponeva quella nostra società così bigotta.
I locali da ballo solo da qualche anno erano diventati di
dominio popolare, quindi, dopo aver lacerato le nostre risorse fisiche nella
fantasmagoria della piazza, si andava al locale per continuare l’orgia del
divertimento.
Non si prevedeva alcun momento di riposo. Solo poche ore
distesi sul letto e poi via……………un’altra notte di baldoria.
Mi ricordo che quell’anno, pur avendo tutti gli amici ancora
non sposati, non riuscii a divertirmi con la spensieratezza degli altri anni.
Avevo attraversato il Rubicone. Non avevo più niente da
conquistare e nessun corpo da toccare. Adesso avevo la mia Pina sempre con me.
Non dovevo più cercarLa dietro le maschere per immaginarmi un contatto con Lei.
Improvvisamente era diventato tutto così semplice, poterLa stringere durante un
ballo senza sentire addosso la paura di scontrarmi con i suoi genitori che mi
guardavano con occhi truci………………..era veramente un sogno!!
La ripresa di Pina avveniva molto celermente. Lei non era il
tipo da abbandonarsi sul letto ad aspettare le coccole.
La Sua dinamicità, per chi la conosce, è proverbiale.
Da subito si mise a lavorare, acquistò le forze e con molta
serenità iniziò ad allattare Antonio. Sembrava tutto così semplice e normale. A
differenza delle tante voci che definivano il matrimonio come la tomba
dell’Amore, per noi, questo eventuale rischio non si è mai presentato.
Tra le forti litigate che non sono mancate mai, tra le spaventose
crisi economiche lunghe e debilitanti, tra i sogni comuni da realizzare, tra le impennate frequenti di un Amore
appassionante e tra i continui viaggi avventurosi in giro per il mondo, non
siamo mai scivolati nella monotonia tipica degli sposati, semmai abbiamo avuto
problemi seri per il troppo movimento che ha caratterizzato la nostra vita.
Poche sere uscimmo con gli amici per festeggiare il
carnevale…………ma sentivo che non era più come prima. Mentre la piazza vibrava sotto
l’incalzante ritmo della musica e le
coppie si stringevano furtivamente cercando un contatto desiderato e i gruppi
in maschera sfilavano per le vie del paese riempiendolo di gioia e di colore,
io….noi…..eravamo assenti. Lontani, già alle prese con i prossimi impegni con
la vita.
Sentivo Pina distante. La sofferenza del parto ancora non
l’aveva del tutto dimenticata e poi correva col cuore verso nostro figlio rimasto
a casa con i nonni. Le stringevo la mano immaginandomi di essere ancora
fidanzati……ma i pensieri volavano lontano.
Stavamo cambiando. L’aria stessa stava profumandosi di nuovi
valori.
Sentivo quella tipica brezza rinfrescante che emana il
cambiamento. Stavamo transitando lentamente, insieme, verso un altro corpo,
un'altra coscienza. Non era un mondo nuovo, la tipica realtà sottomessa agli
obblighi familiari e sociali, quello che
stava per arrivare. Era il risveglio della coscienza che mi trascinava con
delicatezza nel mondo dello Spirito.
Era il momento di lasciare andare…………………….di lasciarmi
andare al silenzio che proviene dal mio intimo. Di ascoltare i sommessi
consigli della coscienza che, sottovoce, per non stravolgere la certezza del
conosciuto, mi sussurrava
all’orecchio……………………..Fermati!.........Ascolta!...............e cammina………un
passo dietro l’altro.
Adesso sei Tu a camminare………..rimanendo fermo.
Gira su Te stesso. Rimani immobile……..e osserva il mondo
mentre gira…………….L’eterno “motore immobile” aristotelico. Era la mia coscienza
che si stava risvegliando…………..e camminava.
Quello è stato l’ultimo anno che siamo andati in giro per
locali durante il carnevale. In futuro altre volte ci siamo sentiti attratti
dalla musica, ma non ci siamo più divertiti con la stessa intensità di quegli
anni.
Adesso era il momento di lavorare.
Guadagnare del denaro era l’esigenza primaria, e non potevo
più giocare.
In quel periodo mio padre, tramite i suoi agganci politici,
stava per inserirmi in un ufficio regionale. Qualcuno, purtroppo, dall’altra
parte politica, con molta malignità, riuscì a non farmi assumere perché
pretendevano che rinunciassi ufficialmente ai miei ideali politici. Non rinnegai
mai me stesso. Con orgoglio e con una passione rinnovata, continuai le mie
lotte tenendo alta la bandiera della
libertà.
Abbandonai il partito in futuro, nel ’77, dopo l’infausta
scelta del compromesso storico.
Intanto l’amore e la curiosità per la fotografia stavano
prendendo lentamente sempre più spazio nella mia vita. Quel carnevale, mi
ricordo, feci qualche foto tra amici ottenendo un ottimo consenso. Non ricavavo
alcuna somma, anzi vi rimettevo del denaro…….però ero felice. Felice!!!
Inconsciamente era come se in quell’azione presagissi il mio futuro, e, senza
rendermene conto, stavo lavorando alacremente per esso.
In paese ero molto conosciuto.
La mia vita già sin da allora era pubblica e, grazie
all’impegno politico e sociale, con grande facilità riuscii a farmi accettare
anche come fotografo.
Bisognava avere una macchina migliore, un flash e una relativa
spinta economica per iniziare l’avventura. Ne discussi con Tino e insieme
decidemmo di comprare un proiettore per stampare da noi almeno le foto in bianco e nero.
Decisi di non regalarne più, anzi decisi di chiedere in
cambio una piccola somma per coprirne le spese. Comprammo un proiettore per
stampare e approntammo una camera oscura all’ultimo piano della casa in cui
vivevo. L’unico inconveniente consisteva nel dover attraversare, anche di
notte, la stanza da letto dove dormivano Pina e Antonio.
Il miracolo in questo caso si era davvero manifestato. Da
niente e per pura curiosità in quell’infima e fredda stanzetta stava nascendo
il mio futuro. In seguito avrei avuto un mio studio fotografico iniziando
l’unica attività della mia vita: Il fotografo.
Fotografo di cerimonie, di ricorrenze, di inaugurazioni
varie, di feste di ogni tipo. Ero un fotografo giovane, innovativo, quindi con
molta naturalezza e soprattutto con grande onestà oscurai la figura dell’altro
fotografo richiamando su di me l’attenzione di tutti i mottesi.
Non è stato un inizio difficile.
Quel semplice gioco dal quale ero partito, con il quale
trascorrevo diverse ore in camera buia a sognare davanti l’apparire
“miracoloso” di scene paesane su un foglio di carta, si stava trasformando in un lavoro duraturo,
remunerativo e soprattutto LIBERO.
L’unica cosa che desideravo in quel periodo era non perdere
la libertà. La bandiera dei miei ideali non volevo affatto disperderla nel
vento dei compromessi. In quegli anni i miei primi veri maestri furono i grandi
Anarchici dell’800 e del 900. L’ideale dell’Uomo libero, che cammina a viso
scoperto, senza scendere a compromessi, insegnatomi dalla gloriosa figura di un Errico Malatesta o di un Bakunin in
perenne lotta contro il potere assoluto che regnava a quei tempi, mi hanno
fatto sognare. Non potevo ignorare i miei anni di contestazione vissuti con
Gramsci o Lenin sotto braccio………………….le sofferenze degli emigrati con i loro
sogni repressi, la loro emarginazione……………….le mie strade del mondo, i miei
sotto-ponti romani.
E tutti quei piccoli grandi Maestri che mi hanno dato tanto,
che hanno sagomato il mio corpo e risvegliato la mia coscienza……come non posso
ricordare il mio Franco Canfailla il
quale mi parlò per primo dell’ideale comunista mentre studiavamo (’67, ’68) nel
collegio di S. Agata di Militello………………e ancora prima il mio Dylan con le sue
armonie contestatarie, e il mio Kerouac con la sua “strada”.
Erano i miei miti ed io mi sentivo un loro erede. Dovevo
portare alta la bandiera della libertà
e continuare con orgoglio ad espandere nel mondo i loro insegnamenti.
In futuro, man mano che le condizioni cambiavano e le mie
richieste interiori divenivano sempre più esigenti e profonde, si presentarono
tanti altri Maestri. Entravano in silenzio, mi lasciavano qualcosa dentro, e
sempre in silenzio lasciavano spazio ad altri Maestri.
La cosa strana per me è stata avvertire la loro presenza in assoluta
simultaneità, come se fossero Uno. In effetti la Verità ha molteplici aspetti e
cammina per diverse vie, ma alla fine ci si rende conto che è UNA PER TUTTI.
Ogni rapporto contiene in sé un insegnamento, ed ogni Maestro è considerato
tale da chi al momento si trova nelle condizione interiore mature per
accettarLo.
Era questo il mondo dal quale provenivo, e non potevo
ignorarlo.
Aprii un piccolo studio
proprio qualche settimana dopo l’arrivo di Antonio. Con Tino continuammo
ancora qualche mese insieme e poi Lui decise, preso da un altro lavoro, di
abbandonare l’impresa lasciandomi da solo in questa avventura.
I primi lavoretti che feci mi permisero di comprarmi le
macchine per lavorare. Ero orgoglioso di
me stesso.
Mentre Pina si dedicava con Amore alla crescita di Antonio,
io riprendevo lentamente a sognare. Compravo libri di politica e di Buddismo.
Dai libri di Tucci, scoperti nella biblioteca comunale di
Motta, scoprivo il Tibet misterioso e l’incantevole città di Lhasa. Il palazzo
del Potala, sede spirituale e governativa del Dalai Lama. Già sin da quegli
anni era un mio mito e una tappa della mia vita………………..la raggiunsi nel
dicembre del 2003 insieme a Pina, a Turi e ad Antonella non prima di aver
assistito ad una iniziazione diretta del Dalai Lama a Gangtok, in Sikkim.
Adesso avevo uno studio di fotografo tutto mio.
Bisognava dargli un aspetto decente per renderlo accogliente
e lanciarlo in un futuro glorioso.
Fu veramente una gloria. Una vera apoteosi di successo e di
soldi.
Da subito cominciai a lavorare coprendo interamente l’intero
paese e allargandomi addirittura in altri comuni, grazie anche alle tante
amicizie che avevo.
Il primo lavoro importante che feci fu il matrimonio di Giovanna Limoli. Ebbi un
ottimo risultato, ma lo consegnai solamente 25 anni dopo………..e non agli sposi, loro nel frattempo si erano
lasciati, ma a suo fratello.
Sembra strano, ma anche quando fuggimmo da casa l’inizio
dell’avventura fu segnata da un guasto al furgone……………….eppure tutto è andato
bene.
E’ sempre andata bene la mia vita. Non posso lamentarmi. Dal
presente al futuro senza alcun ostacolo. Dal presente al passato senza alcuna
forma di nostalgia. Un camminare graduale, in ascesa continua, sempre verso la
luce con accanto la meravigliosa presenza del mio Maestro.
Non posso trascurarLO.
La Sua immanente presenza
ha contrassegnato la mia vita con il Suo messaggio: “Dio è Amore…………l’Uomo è Dio……….Tutto è uno”.
Il
trascorrere dei mesi permetteva alle mia capacità di esprimersi con più compiutezza
nell’estrinsecare più professionalità nell’arte fotografica. Sconoscevo
completamente l’arte della stampa in bianco e nero, eppure spinto dal bisogno
divenni un vero conoscitore dei segreti della camera buia. Le pareti dello
studio li riempii di immagini tipiche locali con scene paesane prettamente in
bianco nero. Appesi al muro primi piani di personaggi tipici del paese e con
timidezza iniziai ad esporre qualche piccola foto dei miei viaggi. Gli davo
lentamente un anima ed aprivo inconsciamente un dialogo con la gente, difatti
in tanti mi chiedevano informazioni sulle immagini esposte.
In futuro divenne una vera galleria “geografica”, dove
esponevo le bellezze del mondo, in particolare quelle dell’ultimo viaggio.
Entrare nel mio studio era come partire per una lunga
avventura.
Negli anni a venire, mentre il tempo inesorabilmente
segnava sui nostri visi e sul nostro
corpo il peso del suo trascorrere, le immagini del mondo che venivano esposte
nello studio ne riproducevano il lento divenire.
Da ragazzo con la barba lunga e nera, a persona matura, più
ingrassato, con i primi capelli bianchi, le prime rughe…….leggere…….poi più
marcate, capelli più corti, grigi, con molte chiazze bianche…………..anche Pina
osservandosi in quelle foto poteva decifrare, a volte con nostalgia, il procedere
incessante del Suo aspetto.
Cambiavamo fisicamente………..un anno dopo l’altro, un viaggio
dopo l’altro, però la passione, l’Amore, la consapevolezza di camminare in un
mondo stupendo, preordinato per essere conosciuto, vissuto e sofferto, non sono mai tramontati.
Passavo lunghe ore a contemplare quelle immagini.
Cercavo di immedesimarmi nell’attimo in cui avevo ripreso
quella scena…………………….e non smettevo mai di sognare………..andavo oltre quella
scena, transitavo naturalmente verso altre visioni………….e mi sentivo in perenne
Viaggio.
Con molta riluttanza, in quel periodo, dovetti prendere la
patente di guida. Non era nei miei desideri possedere un auto per spostarmi.
Conoscevo benissimo il valore educativo che aveva una buona camminata a piedi. Mi
spostavo ancora in autostop e poi vi erano gli autobus.
L’importante era non sentirsi perseguitati e spinti dal
tempo. Tempo che negli anni a venire divenne tiranno per i tanti impegni di
lavoro che prendevo. Fortunatamente non durò molto.
In quei mesi, apparentemente vuoti, cresceva il Nuccio di
oggi.
Riempivo il tempo conoscendo l’interno delle case dei miei
paesani.
Tra un compleanno e un
battesimo, tra un matrimonio e una semplice ricorrenza avevo la
possibilità di accedere nelle case della gente di Motta e lentamente andavo
confermando le mie idee che le case della
gente considerata semplice e di basso ceto sociale erano le più sincere e le più
calde, mentre le altre, quelle della gente con la puzza sotto il naso, quelle
delle elite piccolo borghesi erano fredde, sistemate bene ma prive di quel decoro
interiore che permette all’ospite di sentirsi comodamente a casa propria.
Case allegre, spontanee, piene di gioia e di dignità
contrastavano con quelle case tristi,
piene di false apparenze e prive di dignità.
Con me entrava sempre la gioia.
Sorridete, dicevo a voce alta……….occhi aperti e spontaneità.
Non guardate l’obbiettivo e il risultato sarà ottimo.
Stavo iniziando in quel periodo a personalizzare le mie foto
creandomi un mio proprio stile, e questo mi rendeva popolare ed unico. Il mio
spazio di azione si allargò moltissimo, addirittura mi chiamavano da diversi
paesi della provincia e da Catania stessa. Era una pacchia.
In quegli anni le riprese fotografiche si mantenevano sul “serio”
e su delle pose statiche e schematiche. La mia intraprendenza scosse quel mondo
di scene consolidate e artefatte.
Non è stato difficile farmi accettare così come ero.
Barba lunghissima, capelli lunghi, jeans scoloriti, ciabatte
anche nei matrimoni e comunista anarchico in tutte le situazione. Ero il
terrore dei bambini. I loro pianti avvertivano i passanti della mia presenza,
tanto erano forti i loro strilli. Dovevo nascondermi dietro qualcuno prima di
scattare la foto, a volte dovevo fingermi pagliaccio, diventare bambino anche
io per convincerli di rimanere per un attimo fermi………a ridere, a giocare.
Così, mentre trascorrevano i mesi, Antonio cresceva in
bellezza e la nostra sicurezza economica piano piano andava stabilizzandosi.
Arrivò intanto il momento del nostro primo viaggio da
sposati.
L’ottobre del 1973 partimmo per 20 giorni insieme, da soli,
con pochissimi soldi, da Palermo a Tunisi in aereo e poi in treno effettuando
diversi spostamenti anche in autostop, alla volta dell’Africa.
Un sogno maturato e costruito lira dopo lira già dal mese di
giugno.
Appena ravvisai la possibilità reale di rimettermi a
viaggiare lungo le strade del mondo, non persi tempo in sogni e, insieme a
Pina, iniziammo a mettere da parte qualche soldo, creando da subito le giuste
condizioni per riprendere lo zaino, il sacco a pelo e……………….andare via.
Il viaggio l’ho da sempre iniziato a vivere già molto tempo prima della data fissata per la
partenza. E’ come la creazione di un miracolo sul quale si lavora in piena
coscienza, anche nei piccoli dettagli, affinché esso si realizzi. In questo
modo puntualmente, tutti gli anni, siamo riusciti a far vivere il MIRACOLO.
Lo scegliamo tra i tanti itinerari desiderati e poi………….inizio
ad immaginarlo vedendomi già inserito nei luoghi che voglio conoscere………….compro
le carte geografiche…………..vado in libreria per trovare le guide……….le leggo………..e
da subito mi do un giorno e un’ora di riferimento in cui partire. Prenoto in
agenzia il volo e……………….si inizia a viaggiare.
Ciò avviene in genere molti mesi prima. In questo modo spalanco
le porte alla mia fortuna dandole tutto il tempo che vuole per agire e, al miracolo, gli creo le giuste condizioni, oggettive ed
energetiche, per avverarsi…………….proprio in quella data che con tanta gioia e
discernimento abbiamo insieme scelto.
I miei pensieri, il mio corpo, i miei discorsi, i miei
sogni, il mio agire stesso e la mia immaginazione, che non smette mai di riempire
il sogno, sono tutti protesi verso la realizzazione del viaggio che poi alla
fine, MIRACOLOSAMENTE, si concretizza nel modo migliore.
Avevo appena fatto il primo servizio matrimoniale “serio”
della mia vita, mi ricordo era il 10 ottobre, che già il giorno dopo, in
mattinata, ci trovavamo su un aereo diretto verso Palermo e da lì, su un
piccolissimo volo della Tunis air, saremmo partiti per Tunisi.
Il mio solito zaino con l’immancabile sacco a pelo,
acquistato per poche lire ad Istanbul nel ’69 mentre attraversavo parte
dell’Europa in autostop insieme a Pino, stava per riprendere a correre lungo le
strade del mondo.
Non era una novità per “Lui”. Erano nati per questo e per
questo volevano continuare ad esistere. Erano sempre pronti. Disponibili. L’uno
era di colore avana chiaro ed era impermeabile, l’altro era verde da un lato e
azzurro molto chiaro dall’altro. Conteneva piume di oca molto leggere e teneva
molto caldo. Si apriva completamente divenendo una larga coperta da poter usare comodamente
in due. Lo zaino lo usai per pochi anni perché il suo continuo sali e scendi da
autobus sgangherati o da camion impolverati, e sopratutto per i continui
strappi dovuti all’uso continuato in condizioni estreme, lo ridussero in
brandelli. Il sacco a pelo invece, sino a qualche anno addietro, era ancora in
funzione. Lo usammo per 25 anni, anche se ogni tanto lo rimpinzavamo di piume
nuove. Occupava poco spazio e pesava pochissimo. La sua presenza mi riportava,
del resto anche Pina e poi nostra figlia Alice ne fece largo uso, con la mente
e con il cuore alle grandi avventure vissute negli anni passati.
Gloriosi momenti e appassionanti intrecci amorosi Lo hanno
reso vivo.
In meno di due ore eravamo già sul suolo africano.
L’aeroporto a quei tempi non era molto grande. Gli zaini li
prendemmo noi stessi dall’aereo, pressati in un contenitore di rete che stava
proprio in cabina accanto a noi. Le guardie di frontiera si limitarono a
controllare i passaporti e con molto distacco ci indicarono la via per uscire.
Poche macchine, grande caldo, e molta confusione, nessuno riusciva a darci le
giuste informazioni. Fu un impresa arrivare in città. Non era servito da mezzi
di trasporto quindi cercammo un passaggio per arrivare a Tunisi.
Avevamo scelto la Tunisia perché Pina da anni intrecciava
una corrispondenza con un tunisino di Sfax. Bisognava andare al sud e non era
molto facile in quegli anni, specialmente in quel mese di ottobre che si stava
celebrando il Ramadan.
Trovammo un passaggio sino in città pagando qualche dinaro.
Le strade erano deserte e non si trovava niente da mangiare pur essendo turisti.
Il Ramadan svuotava
completamente le città dando la possibilità ai fedeli musulmani di rimanere
nelle moschee o in silenzio nelle proprie case per pregare il grande Allah.
Era tutto chiuso e tutto era fermo. Noi, con i nostri zaini,
in quella città enorme riuscimmo a trovare un hotel proprio accanto la Medina.
Non pagammo molto, i prezzi si mantenevano bassi perché ancora il turismo di
massa non era arrivato.
La grande Medina era un immenso bazar dai suk traboccanti e
frenetici. Le sue vie si perdevano in un intreccio di vicoli stretti e
movimentati. Era veramente la tipica città araba pullulante di vita, di colori,
di mercanti esperti nel vendere qualunque merce e a prezzi fluttuanti che levitavano
di volta in volta, a seconda del tipo di turisti che al momento stava per
acquistare. Suk profumatissimi pieni di spezie orientali e di oli ed essenze
profumate. L’arabo è un esperto mercante. E’ molto furbo e sa come trattare il
cliente.
Allora Tunisi era visitata da pochi turisti. Quindi i
rapporti con la gente erano genuini e molto semplici.
Con Pina ricordo di aver trascorso un giorno intero girando
a zonzo, senza alcuna meta. Non avevamo nessuna guida della città. Avevamo solo una cartina stradale
della Tunisia che ci permetteva di conoscere l’ubicazione delle città
principali.
Allora si che eravamo grandi viaggiatori. Ci interessava
solo conoscere le varie strade da percorrere per spostarci verso la prossima meta.
Hammamet era un semplice e piccolo villaggio di pescatori
con un mare stupendo e con una stupenda popolazione berbera disposta al sorriso
e al contatto umano. In treno ci spostammo verso Sfax, nel sud della Tunisia,
per andare a conoscere Mohamed Abdeledi, il corrispondente di Pina.
Arrivammo la sera sul tardi. Con noi vi era un austriaco
dall’aspetto un po’ strano. Aveva un pesante cappotto e si spostava con sulle
spalle una grande valigia tenuta legata da uno spago. Insieme, dopo aver
valutato la possibilità di dormire fuori, abbiamo trovato un piccolo hotel
proprio fuori la Medina dove trascorrere in sicurezza la prima notte.
Il corrispondente di Pina l’avremmo cercato il giorno dopo
nella speranza di trovare il luogo dove abitasse.
Eravamo da pochi giorni in Africa e con la mente spaziavamo
lungo gli aridi deserti attraversate da carovane di cammelli che trasportavano
il sale da un luogo all’altro, sognavo le intricate foreste dove vivevano gli
animali dei miei sogni e dove tribù feroci bollivano nelle loro pentole gli
incauti avventurieri.
La mattina dopo con in mano un paio di lettere e qualche
foto di Mohamed, attraversammo la
Medina per andare alla ricerca della via, o meglio della zona, dove viveva la
famiglia Abdeledi. A via di informazioni rintracciammo la casa in cui viveva,
entrammo suscitando grande curiosità e sopratutto grande ammirazione.
Pina da subito entrò nelle loro grazie. Tutta la casa si
muoveva intorno a Lei. La vestivano da berbera, la truccavano, la imboccavano e
le donne la trascinavano con molta grazia nel loro mondo inoltrandola nelle loro
stanze, svelandole il loro viso e confidandole i loro sogni repressi.
Vivono completamente al buio.
In 20 giorni di permanenza non sono mai riuscito a vederne
qualcuna in viso. Con Pina mangiavano in disparte e quando uscivano la portavano in visita ai loro parenti come se fosse un animale
da esibire. Io rimanevo da solo o con Mohamed a discutere sulla situazione
politica del momento. Il padre aveva un piccolo Suk alla medina dove tesseva e
vendeva tappeti. Era anziano e logorato dal peso degli anni.
Mohamed dall’aspetto sembrava un occidentale del nord.
Biondo, magro, di carnagione chiara, parlava benissimo il francese e studiava
dagli zii a Tunisi. Era molto timido e in parte innamorato di Pina e dei suoi
begli occhi.
Tutti si innamoravano di Pina in quegli anni.
La Sua bellezza orientale, i suoi occhi scuri e brillanti e
il suo meravigliarsi di fronte a qualunque cosa, attiravano gli sguardi e i
sentimenti di chiunque. Uno zio di Mohamed non riusciva a toglierle gli occhi
di dosso, Le ha offerto tanti cammelli pur di trattenerla con se.
E’ un modo come un altro per dimostrare affetto ed amicizia.
In questi casi non bisogna dare molto spazio ai pretendenti.
Si rischia l’incomprensione e le conseguenze potrebbero essere fastidiose.
I giorni trascorrevano con estrema normalità. Il Ramadan
imponeva delle regole ferree da rispettare. Principalmente non si poteva
mangiare durante il giorno, non si poteva fumare e in tanti decidevano anche di
non lavorare. Il rispetto alle leggi coraniche in questi luoghi è molto
sentito.
Per gli ospiti occidentale la deferenza a queste tradizioni non era obbligata, potevamo
mangiare o fare qualunque altra cosa. Le donne di casa potevano servirci
qualunque cibo se lo desideravamo.
Preferimmo rispettare le regole del Ramadan pur di non
forzare nessuna di quelle sane abitudini.
Aspettavamo la sera per mangiare tutti insieme e festeggiare
l’inizio di una notte di musica e di baldorie. All’imbrunire le strade si
riempivano di colori fastosi e di musiche religiose che inneggiavano le opere
del profeta Maometto.
Noi ci sentivamo felici di trovarci in questo mondo e di
sentirci perfettamente a casa.
Cercavamo di non sconvolgere nulla dell’esistente, anzi ci
sentivamo trascinati da quel mondo così magico, come quando la mattina venivamo
coccolati dall’armoniosa voce del Muezzin.
La nostra cultura è bene che ogni tanto si ridimensioni e la
smetta di considerarsi superiore o dominante. Qualunque popolo ha il diritto di
vivere liberamente nel rispetto delle proprie tradizioni culturali, sociali e
religiose.
Gli ospiti, in quel caso, eravamo noi e toccava a noi accettare
quel mondo “così come era”, senza togliervi o aggiungervi nulla.
Dopo qualche giorno ci organizzammo per andare via da Sfax e
vagabondare per l Tunisia del sud.
La grande moschea di Kairouan e la sua fitta medina dalle viuzze molto
strette, che traboccavano di mercanzie e di ragazzini a caccia di turisti,
ancora mantenevano quel tipico mistero orientale dagli odori forti e speziati.
Il turista era un ingenuo pollo da spennare, e lo sapevano
pelare alla grande. Noi, inesperti e ragazzi ancora non smaliziati, eravamo
facili prede. Prendemmo poche fregature, anche perché non avevamo soldi da
spendere e poi eravamo più presi dall’idea del viaggio che dal comprare merce esotica.
La sola sensazione di trovarci in quel luogo, terra affascinante ed immensa,
tutta da scoprire, ci riempiva completamente.
Ragazzi pieni dei nostri sogni, aperti a qualsiasi piccola
avventura.
Kairouan ci intrigava moltissimo. Attorno alla grande
Moschea girava l’economia della città. I suk contenevano l’essenza del mondo
arabo. I profumi inebrianti attiravano il turista e ammaliavano le poche donne
che vi erano in giro. Con il viso coperto da un fazzoletto riuscivano a
trattare con destrezza su qualunque merce. Forse era l’anonimato a farle essere
così brave nel contrattare il prezzo da pagare, fatto sta che riuscivano sempre
ad ottenere la merce al prezzo che imponevano loro.
Le gioiellerie scintillavano di oggetti in oro.
Passavamo ore intere a girovagare. A volte ci perdevamo
senza rendercene conto, però eravamo felici ugualmente. La folla ci trascinava
con sé e le grida, confuse con gli odori intensi, ci proiettavano in un mondo
da favola.
Era bello perdersi. Non sapere dove ci trovavamo, entrare ed
uscire dai piccoli suk spinti
semplicemente dalla curiosità e dal desiderio di vedere e toccare quante più
cose possibili.
Vi erano tappeti coloratissimi, vasi in ottone cesellati, monili in argento, e
tanti piccoli bugigattoli pieni di cianfrusaglie varie, piccoli salvadanai,
fischietti in terracotta, cuscini in pelle, bastoni scolpiti…….vi erano pire di
bottigliette in vetro che contenevano essenze di profumi inebrianti.
Profumi esilaranti e fetori nauseabondi si confondevano
perfettamente creando odori indefinibili.
Era tutto così complesso, inscindibile, inidentificabile,
che le diversità si confondevano l’uno nell’altro perdendo la loro identità.
Ci fermammo qualche giorno e poi partimmo alla volta del
deserto, verso l’oasi di Touzer passando per Gafsa. Il grande palmizio di
datteri con le sue fresche sorgenti creava un oasi di rilassatezza. Il turista
si spostava su cammelli affascinato dalla presenza di qualche villaggio berbero
che con difficoltà cercava di preservare le ultime tradizioni. Tra pochissimi
anni l’invasione del turista globalizzato ne avrebbe decretato la fine. Vi erano
pochissimi hotel e le strade ancora non erano asfaltate. I mercanti ci
chiamavano offrendoci il the e, insieme, ci gustavamo la gioia di stare vicini
scambiandoci emozioni e sorrisi.
Vi ritornai nell’80 in jeep assieme a Pina, a Nino ed a Vera
diretti in Algeria alla volta di Tamanrasset, il regno dei Tuareg, i famosi
uomini blu. Il piccolo paradiso che abbiamo lasciato solo pochi anni fa, non
esisteva più. Le strade erano asfaltate e numerosi gruppi di turisti scemavano
con tracotanza inquinando la genuinità di quel luogo.
Il sogno era finito, erano arrivati gli “assimilatori” che
volevano tutto disposto, anche se artificialmente, a proprio uso e consumo.
Un vero dramma.
Attraversammo il deserto di sale,lo Chott Cherid, sino a Matmata, Medenine, al confine libico,
Gabes e poi in una lunga corsa, in
autostop, su di una macchina guidata da francesi alla volta di Sfax.
In quegli anni in Africa era molto facile spostarci
chiedendo passaggi.
La paura l’ho percepita e vissuta direttamente qualche anno addietro
quando, durante l’estate del 1970, mentre mi spostavo in autostop da un punto
all’altro del vecchio continente. In quegli anni purtroppo l’Europa stava
rigurgitando il peggio di sé. Una ventata di nazionalismo stava appestando le
bellezze esistenti, e per le persone libere, senza frontiere e senza bandiera,
i pericoli erano veramente rilevanti. Ad Amsterdam addirittura molti di noi
vagabondi furono bruciati dentro i loro sacchi a pelo mentre dormivano. La
polizia con il suo silenzio sosteneva simili azioni e noi fummo costretti a
rifugiarci dentro gli ostelli per non cadere tra le maglie malefiche di questa
forma di pazzia.
I tunisini erano molto curiosi. Volevano parlare e
chiedevano continuamente notizie sul mondo occidentale. Comunicavamo in
francese cercando di esaudire le loro richieste. A volte non era facile, però
bastava raccontare qualunque cosa per meravigliarli e farli sorridere.
Per noi l’importante era camminare, percorrere quanta più
strada possibile anche se non visitavamo nulla. L’idea del turista che accumula
visioni e immagini fotografiche non ci apparteneva.
La strada ci riempiva ed era il nostro regno.
Camminandovi su e osservandola da dietro i finestrini di una
macchina si assiste ad uno scenario in continuo movimento e in perenne
cambiamento. Era piena di cammelli che
si scontravano l’un l’altro, vi erano un’infinità di ragazzini che correvano
dietro le macchine, i bordi delle strade traboccavano di venditori delle mitiche “rose del deserto”, ogni tanto qualche turista
accostava la macchina e si fermava a comprare qualche merce tradizionale.
Non si smetteva mai di contrattare. Anche se i prezzi erano
molto convenienti, per un viaggiatore è un obbligo mercanteggiare. La
sensazione di risparmiare qualcosa fa vivere meglio il viaggio.
Il turista è una fonte di guadagno da non farsi scappare,
pensano.
Vi è poi la strada che con le sue variopinte visioni rende
sempre nuova la passione del viaggiare.
Ristorantini ambulanti e mercanzie traboccanti si
mescolavano con improvvisati
riparatori di gomme che a causa delle pessimi condizioni
delle strade guadagnavano da vivere. Venditori di acqua e procacciatori di
camere da letto si intrecciavano confusamente come se al caos gli si volesse
dare un ordine.
La strada teneva in
sè tutte queste realtà. Un rapporto diretto, vivo, fraterno, pieno di pacche
sulle spalle e di sorrisi accattivanti. Solidarizzavamo con chiunque,
consapevoli che la nostra vita dipendeva dalla bravura dell’autista e che la
nostra serenità era legata agli umori della gente. Il contatto con la realtà
era talmente ravvicinato che non potevamo permetterci alcuna svista.
Rientrammo a Sfax al buio.
Per rintracciare i nostri amici perdemmo qualche ora, ma poi
alla fine tutto si concluse nel modo migliore. Portammo qualche regalino ai
bambini e raccontammo le avventure che ci erano capitate in quei giorni.
Il rientro in Sicilia era ormai vicino.
Eravamo convinti che questa breve esperienza tunisina
avrebbe segnato l’inizio di infinite avventure per le strade del mondo. Effettivamente
quello è stato solamente un fugace esordio…..tante altre visioni affascinanti
avrebbero riempito i nostri cuori e mai, posso confermarlo, ci saremmo stancati
nell’assorbire tutta quella conoscenza che la strada ci avrebbe regalato passo
dopo passo.
Durante il ritorno ci siamo fermati a Scusse per ammirare le
Sue enormi mura di cinta. Vi era la solita frenesia della gente e la stupenda Medina
che stavolta stranamente sembrava pulita.
Il mare ne mitigava l’aria rinfrescando quell’arsura che di solito imbottiglia
tutte le altre città tunisine. Brillava per la Sua nitidezza e per quei Suoi
bar che attiravano tanti di quei nuovi ragazzi che si stavano affacciando al
mito occidentale il quale, da li a poco, li avrebbe assimilati scalando la
genuinità delle loro menti.
Era già iniziato il dramma del declino!!!.
Mi ricordo che dormimmo in un hotel proprio in riva al mare,
e proprio in una di queste mattine, all’alba, ci sdraiammo sulla spiaggia
abbandonandoci l’uno dentro l’altro in un amplesso dolcissimo. I raggi del sole, in silenzio e
in solitudine, ci accarezzavano la pelle………ed eravamo veramente felici. La
gioia di trovarci lì, in quel luogo, soli, ragazzi sognatori, pieni di infinite
bellezze, ci faceva amare ancora di più il mondo.
Un dolce ricordo di quel momento lo conservo nel cuore e lo
rivivo continuamente ammirando la mia Pina in una grande foto appesa al muro
mentre scruta il risveglio del sole.
E’ stato molto bello. Ancora oggi penso a quei momenti e, ricollegandomi ad
essi con la mente, non posso fare altro che ringraziare la vita per come mi ha
sorriso in tutti questi anni.
In altre parti del mondo, distesi su spiagge bianche o infilati
dentro i nostri caldi sacco a pelo, abbiamo vissuto il rito dell’Amore…….e ci
siamo sentiti liberi, felici e innamorati.
Ritorniamo a Tunisi e proseguiamo alla volta di Cartagine
per ammirare gli ultimi resti di una civiltà ormai scomparsa. Vi erano solo
ruderi inconcludenti di colonne, qualche residuo di sculture cartaginese e
molta possibilità di far lavorare la fantasia per ricreare i fasti di una
civiltà che era riuscita a far tremare l’immenso potere romano.
Era tutto un campo di pietre caoticamente ammassato.
I ragazzini saltavano dal ritaglio di colonna sul pezzo di
una gamba marmorea giocando a
nascondiglio o disturbando gli incauti turisti. Noi siamo stati presi a sassate
e ci è toccato correre di gran lena per non essere colpiti.
Rientrammo in Sicilia con il solito piccolo aereo nel bel
mezzo di uno sciopero che ci bloccò a Palermo e poi, dopo diverse ore, decidere
di affittare un’auto per rientrare a Catania.
Il piccolo Antonio lo ritrovammo leggermente cresciuto e
molto sereno. Evidentemente i genitori di Pina, forse più di noi, lo hanno
accudito amorevolmente.
In genere non penso ai miei figli durante il viaggio, so che
sono in buone mani e so che pensarli potrebbe intristire la bellezza del
momento.
L’idea di rientrare a casa e trovare un figlio, ancora non
mi si era radicata dentro. Non sentivo il peso delle responsabilità….e non li
sento nemmeno adesso……ero ancora un ragazzo che amava i suoi sogni e che per
essi avrebbe fatto qualunque pazzia.
Guardavo sempre oltre. Non avvertivo il peso della realtà,
mi sentivo svuotato da impegni sociali e cercavo sempre di sorvolare sui
problemi trasformandoli in facili soluzioni. Forse ero un egoista, preso dalle
mie idee e dai miei viaggi, ma ho sentito sempre l’alito della Vita corrermi davanti…..forse
è stato per questo che non mi sono mai sentito una persona “matura”.
Lasciavo scivolare le cose e trasformavo gli ostacoli o gli
impedimenti in occasioni di crescita vivendo qualunque momento come una nuova
esperienza sentendomi eternamente “sulla strada”.
Al momento decisivo la risoluzione si è sempre presentata
naturalmente togliendomi come per miracolo dai guai.
E’ il sorriso che ritorna. E’ l’Amore che diventa un boomerang e
ritorna inesorabilmente nello stesso luogo dal quale è partito.
Piccoli passi, ma grandi conquiste. Impercettibili a volte,
ma incisivamente strutturali.
La nostra vita in quegli anni si svolgeva in modo molto
semplice, avevamo poche esigenze però le cose che ci arrivavano erano veramente
importanti.
Il lavoro per Pina si presentò qualche anno dopo
improvvisamente, in un momento in cui cominciavamo a sentirne l’esigenza. Costruimmo la casa senza alcun problema.
Crescemmo il figlio in salute e in modo naturale.
Grandi viaggi, grandi avventure, esperienze profonde e in
continua ascesa. Comprammo la prima macchina dopo qualche anno e presi la
patente con semplicità senza averla mai desiderata…………………….
Quell’anno se ne andò via nel modo migliore.
Grazie.
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1974
La nostra piccola casetta si era presentata al nuovo anno
infreddolita, piena di umidità e sommersa dall’acqua che quell’anno, ricordo,
non diede alcuna tregua. Lo studio di fotografo lentamente stava acquistando
clienti e la sua fama aveva già oltrepassato i confini paesani. Un mio grande
amico, maestro di politica, compagno di partito e di prodigiose lotte politiche
durante l’anno scolastico (69-70) trascorso a S. Agata di Militello, venne a
sapere del mio nuovo lavoro e con molta sollecitudine mi rintracciò invitandomi
a fargli qualche servizio fotografico. Era di Ramacca, Ciccio Canfailla, quindi
dovetti provvedere subito a comprare la macchina e a prendere la patente. Non
potevo assolutamente vivere da recluso in un paese che si stava dimostrando
molto stretto per il mio lavoro.
Intanto Antonio stava per compiere il suo primo anno di vita
ed era usanza riunire la famiglia, il padrino, Pino Pesce, e qualche amico. Si
svolse tutto nella massima ristrettezza. Lo spazio era ridotto e di soldi non
ne avevamo tanti. Un momento per incontrarci, sorridere, guardarci e
immaginarci un futuro migliore.
Ero il primo tra tutti gli amici ad aver fatto il grande
passo.
Chissà se per qualcuno sono servito da esempio da emulare?!
Gli altri, negli anni a venire, si sono sposati tutti. Hanno
avuto dei figli e quell’amicizia, spensierata e libera da obbiettivi da
raggiungere, con qualcuno rimase, con altri, negli anni, andò diluendosi per i
soliti motivi dovuti al tempo e alla diversità di strade da seguire.
La mia nuova situazione naturalmente tendeva a selezionare
gli amici. Ognuno, rispettivamente, sceglieva
percorsi diversi in sintoni con le realtà e con le esigenze che momento dopo
momento maturavano attorno a noi. Mi
allontanai sia dalla politica attiva sia dal frequentare il partito. I nuovi
impegni da sposato, con una famiglia sulle spalle, in quel periodo stavano cambiando il mio modo
di vivere. Ero ormai una persona seria!!! matura, con le scontate
responsabilità!!! tipiche in chi si adegua tacitamente senza tentare alcun
accenno di ribellione.
Con Pina spesse volte abbiamo cercato di assumere questo
ruolo, ma puntualmente tutte le volte, a prevalere, era la nostra
diversità……….il nostro anticonformismo. Insistevamo nel voler rimanere ragazzi
a tutti i costi, anche se era molto difficile. Questo nostro comportamento ci
costringeva a scontrarci con l’etica sociale che in quegli anni costringeva
inesorabilmente il “diverso” ad omologarsi rimanendo in silenzio.
Era il bisogno incalzante di lavoro e le tante esigenze
materiali ad imporre con autorità il rispetto alle regole. Difficilmente si
rimane puliti e liberi quando ad imporre il cambiamento non è il naturale
procedere della vita, ma bensì la persistente necessità di un lavoro che serve
per mantenere la famiglia.
Non fu facile in quegli anni camminare a testa alta.
Uscivamo tutte le sere lasciando Antonio dai miei suoceri.
Si girava per cinema o per i tanti centri
politico-culturali che andavano sorgendo in ogni angolo della città. Continuavo
a sostenere quella mia sana abitudine di comprare libri, che sceglievo usando
quel tipico discernimento di chi sta vivendo momenti indescrivibili di fermento
interiore e si abbandona a qualsiasi tipo di lettura purchè ne raffiguri e ne
interpreti l’ansia del momento. Frequentavo con assiduità le biblioteche
dell’Università Centrale e del Magistero di Catania per ampliare la mia
conoscenza in un ambiente dove si respirava cultura e libertà.
Un libro dopo l’altro, prima di politica, di viaggi, di
avventure per il mondo, per finire alla fine, e rimanervi orgogliosamente sino
ad oggi, ai libri di Spiritualità. La ricerca di Dio, di me stesso,
dell’oriente, dei misteri della psiche, Jung, Maslow……Fromm. I primi libri di Buddhismo li lessi nella
biblioteca universitaria di Catania. Ore luminose ed intense li trascorsi inchinato su volumi che
parlavano di oriente, di India e di prodigiosi mistici che ammaliavano le menti
occidentali.
La piccola immaginetta del mio Maestro ancora si ostinava a
non distinguersi tra i tanti Maestri che andavo conoscendo……dovevano
trascorrere ancora altri 14 anni prima che mi si rivelasse nella Sua
grandiosità.
Quell’anno, mi ricordo, fu l’anno della fulminazione.
In una libreria di via Umberto a Catania, vidi l’immagine di
Paramahansa Yogananda raffigurata su uno dei libri più belli e affascinanti che
abbia letto in vita mia: “Autobiografia di uno yogi”.
L’avventura di un ragazzo che lascia tutto perché innamorato
di Dio e non desidera altro che trovarLO. Un mondo incantevole, pieno di storie
meravigliose dove l’immanente presenza di Dio è così seducente, ed accessibile
nello stesso tempo, che da quel momento in poi ne rimasi sedotto per sempre.
Lo comprai senza guardare il prezzo. Lo portai orgoglioso a
casa e mi misi da subito a leggerlo.
Le Sue avventure tra mistici e Sadhu colpirono profondamente
la mia mente. La mia immaginazione prese a volare condizionata dalle letture
fantastiche che andavo facendo in quel periodo. Luoghi santi e fiumi sacri,
dove la ricerca del Divino esaltava la figura di quei personaggi misteriosi di cui parlava Yogananda,
percorrevano le anse della mia mente riempiendomi di energia positiva e indirizzandomi
alla visione di un Divino che, da quel momento in poi, ha smesso di vivere
fuori dal mio corpo e lontano dai miei pensieri. Un Divino che smise di impaurirmi,
che mi richiamava per le inconsapevoli azioni “da peccatore”, divenne un entità
che mi entrava dentro, che viveva già dall’eternità dentro di me, che non era
più uno straniero potente e giudicatore………………ero me stesso che, dietro quella
lettura incantevole, lentamente, acquistavo coraggio, consapevolezza e
conoscenza.
Grazie a quel personaggio, che per diversi anni lo portai
nel cuore, sentendoLo come il mio Maestro, quella paura congenita di un aldilà
ignoto, tetro, la sentivo sparire mentre transitava nella luce della
liberazione.
Trascorsi anni pervaso da questo nuovo bagliore e da questo
Maestro di vita. Comprai altri Suoi
libri e, mentre leggevo i Suoi Discorsi, spesse volte mi sentii rapito dalla
descrizione che dava della figura di Dio.
I libri di politica andavano sparendo gradatamente mentre
venivano sostituiti da altri libri che rispecchiavano questa nuova riscoperta di un Divino che, nel silenzio del Suo messaggio, ci
vive dentro e ci si incarna assolutamente con la nostra Essenza.
Il carnevale di quell’anno fu il primo di tanti altri in cui
lavorai moltissimo. Erano gli anni delle maschere di Zorro, di Sandokan, dei
puffi, delle principessine e dei pierrot. Lo studio si riempiva già dal primo
pomeriggio fino a notte fonda. Mamme che portavano i propri figli e gruppi in
maschera che cercavano un ricordo
facendosi fotografare nelle pose più curiose. Conoscevo benissimo il gioco
delle luci e sapevo come stimolare il cliente a fare più foto. La novità, a
parte la mia bravura, veniva dalle ultime novità in campo fotografico, e cioè
che finalmente le immagini a colore entravano correntemente nel nostro mondo e
si potevano stampare in un formato più grande del normale.
Quell’anno dovetti prendere la patente per forza di cose. Non
riuscivo più a muovermi liberamente, aumentavano gli impegni e possedere una
macchina diventava sempre più indispensabile.
Comprammo una R5 di colore bianco e subito iniziammo a
progettare favolosi viaggi in giro per il mondo. In poco tempo consumammo
migliaia di chilometri, specialmente da quando decidemmo di iniziare a
viaggiare per il mondo spostandoci, non più in autostop, ma su quattro ruote.
Negli anni futuri andammo in Iran in macchina e poi in Portogallo passando per
la Spagna e poi ancora percorrendo parte dell’Europa…..un nuovo modo di
viaggiare che ci diede infinite soddisfazioni mettendoci a contatto diretto con
un mondo che vive ai bordi della Strada.
La nostra casetta non permetteva alcun incontro con gli
amici. Era troppo angusta e piccola, quindi stavamo quasi sempre da soli e
quasi ogni sera, appena chiudevo lo studio, andavamo in giro per la città
vivendo felicemente la nostra avventura. Accumulavo libri in librerie
inesistenti. Li tenevo per terra o sopra le sedie….l’importante averli sempre a
portata di occhi in modo da consultarli continuamente. In quel periodo iniziai
a mantenere una specie di diario dove annotavo sensazioni ed emozioni
quotidiane che mi coinvolgevano.
Iniziavo nel frattempo a guadagnare qualche soldo.
Pur vivendo in una situazione molto precaria, mi ricordo,
avevo un salvadanaio dove avevo scritto “Africa”, nel quale, ogni sera, una
piccola parte del ricavo giornaliero lo buttavo dentro sperando di ripartire
molto presto in giro per il mondo.
Il prossimo viaggio, difatti, nel mese di novembre di
quell’anno, lo facemmo proprio in Africa ritornando in Tunisia, attraversando
in autostop e in autobus l’Algeria per entrare in Marocco dalla parte sud.
Il solito piccolo aereo da Catania per Palermo e poi Tunisi.
La solita visita ai nostri amici a Sfax per correre subito verso Tozeur, Nefta
per entrare in Algeria sotto un caldo asfissiante alla volta di El Oued, la
città dalle mille cupole.
Alla dogana algerina ancora non era richiesto alcun visto,
quindi attraversammo il confine con molta facilità. L’autobus che ci condusse
al paese era sgangherato e, dai finestrini, regolarmente senza vetri, entrava
la sabbia del deserto accompagnata da un afa
bruciante. Mi ricordo le bruciature di un francese che viaggiava con il
braccio appoggiato al finestrino senza pensare alle conseguenze che ciò avrebbe
comportato.
La città sembrava vuota e fuori dal tempo. Era tanto il
caldo e il vento che ci veniva addosso da crearci l’illusione di trovarci in un
mondo irreale. Le strade erano deserte, la sabbia creava uno strato di nebbia
impenetrabile, l’ululare del vento svuotava la nostra mente di quel poco di
coraggio rimasto e la poca gente che si vedeva si spostava camminando
all’indietro per non essere colpita agli occhi dalla sabbia che a quella
velocità poteva veramente creare gravi fastidi.
Ci fermammo un solo giorno.
Un hotel fatiscente, con poche stanze, non entusiasmava
assolutamente l’incauto turista che vi capitava, anche se gli unici avventori
quel giorno sembravamo essere proprio noi due. Ci sdraiammo sul letto bagnati
da un sudore che ci congelava addosso sotto il vertiginoso girare delle pale di
un grande ventilatore. Eravamo molto debilitati dal sonno e dal caldo, quindi
accettammo con grande felicità quello spiraglio di comodità e di frescura che
ci donava l’hotel.
Un the alla menta ci dissetò e subito passammo alla ricerca
di un mezzo che ci portasse il giorno dopo, in mattinata, alla prossima meta: Tougghurt,
Ouargla e poi verso la mitica Ghardaia.
Dopo aver provato l’autostop per andare alla volta di
Ghardaia, ci convincemmo che sarebbe stato meglio cercare un autobus se
volevamo continuare il viaggio.
L’autobus ci lasciò proprio nella piazza principale.
Trovammo un hotel economico e subito fuori a godere la bellezza del mercato
sotto un sole cocente. In un angolo della piazza vi era un terrazzo adibito
alla preghiera dove ad ore prestabilite diversi fedeli si inchinavano rivolti
verso la Mecca.
La vita si svolgeva regolarmente. Mercato, sole, bambini e
preghiere. Non è come da noi in occidente dove la fede viene recitata solo in
luoghi chiusi e silenziosi. Nei paesi musulmani tutto si svolge in piena
armonia, all’aria aperta, l’uno accanto all’altro, anche se spesse volte,
apparentemente, le azioni del momento sembrano contraddirsi.
Pina aveva un foulard nero legato in testa per coprirsi
dalla sabbia che in quel momento veniva spazzata via dal vento, portava un paio
di zoccoli con le zeppe alte e un paio di jeans arrotolati sino al ginocchio.
Ad ogni fontana ci bagnavamo la testa e i piedi per sopportare meglio il grande
caldo. Eravamo già nel grande deserto sahariano e l’afa bruciava
impietosamente. Prima di uscire allo scoperto bisognava coprirsi ben bene per
non farsi colpire direttamente dai raggi del sole.
Ghardaia, dalle sue
case bianche, disposte su un terreno collinoso, adatte per sopportare il caldo
del deserto e attraversata da viuzze strettissime, cercava di mostrarsi fresca
all’incauto viandante che si trovava in giro per le sue strade. Donava
l’illusione di essere lambiti da una leggera brezza, bastava insinuarsi tra le
strette viuzze, comunicanti tra di loro, per godere di un arietta rigenerante.
Eravamo gli unici occidentali a curiosare tra quelle mura…..i bambini
rimanevano impietriti al nostro passaggio, fuggivano ma volevano tastarci,
sapere cosa portavamo dentro i nostri zaini….cercavano qualunque cosa avesse
l’aspetto di nuovo, volevano penne e bon bon.
Un bel mondo, ancora genuino e libero da sofferenze indotte.
Anni dopo, era il 1980, mentre andavano con la jeep verso
Tamanrasset, tra i Tuareg, vi ripassammo….ma era già tutta un’altra cosa. Stava
iniziando a correre verso i falsi miti proposti da un occidente già, esso
stesso, in decadenza.
Col tempo tutto cambia.
Come ci poniamo noi di fronte a questo cambiamento!?
Cambiamo anche noi o assistiamo immoti, senza lasciarci
avvolgere da questo continuo divenire, al fluire perenne della vita?
Non ci vuole forse qualcosa di “stabile” per definire un
cambiamento?
Chi rimane “fermo”, mentre tutto “cambia”?
Nessuno cambia…………………..mentre, solo apparentemente, tutto è
in movimento.
Quale sensazione è più rilevante……………il divenire?.......o
l’inalterato?
Non saprei rispondere. A volte mi sento avvolto da questo
eterno fluire percependo persino la gioia…………che vorrei bloccare…………come
qualcosa di sfuggevole, che mi lambisce appena e subito va via………..che non mi
appartiene.
Altre volte mi sento “immoto”, distaccato, un testimone che
osserva semplicemente e che non viene toccato da nulla. Mi sento come un “punto
d’incontro” che, dall’alto della Sua Assolutezza, smista e separa le infinite
realtà che interagiscono in questo mondo.
Da Ghardaia ci spostammo al confine sud con il Marocco
mettendoci all’uscita della città a chiedere un passaggio. Un grosso camion ci
caricò su, passando per Aflou, Ain Sefra sino a Beni Ounif (440 km). Camminava
molto lentamente quindi arrivammo alla frontiera al buio, e a quell’ora il
confine era chiuso. Bisognava attendere la luce del giorno se volevamo
attraversarlo. Soli, al buio e in compagnia di grossi scorpioni che uscivano da
sotto le pietre. I doganieri si erano rinserrati dentro la piccola caserma e
noi non sapevamo proprio come difenderci dal buio, dal freddo e dal forte vento
che a quell’ora si alzava avvolgendo il deserto con i suoi ululati paurosi.
In altre situazioni ho vissuto simili esperienze, ed ogni
volta, puntualmente, come se qualcuno mi proteggesse, dopo momenti di panico,
le difficoltà si sono sciolte come neve al sole. Stavolta però con me vi era
Pina e non potevo mostrare alcuna indecisione. Dovevo infonderLe coraggio, suscitarLe
la sensazione che da lì a poco tutto si sarebbe risolto in meglio.
Non sapendo al momento come fare, automaticamente, senza
riflettervi su, spinti da un istinto
pressante ci avviammo verso la
caserma sicuri che ci avrebbero fatti
entrare.
Fu proprio così.
Ci invitarono a dormire in un angolo del cortile.
Mancava fortunatamente il vento, ma il freddo e il rischio
degli scorpioni rimaneva. Per noi fu una grande fortuna poterci rintanare in
quel luogo. Avevano i mitici sacchi a
pelo ed in parte il freddo veniva attutito, e poi bastò stringerci, guardarci negli occhi,
ringraziarci……guardare la luminosa stella del sud, la croix du sud, e
improvvisamente tutta l’ansia e la paura di pochi minuti prima sparirono.
Mi rimane nelle orecchie l’ululato del vento e sulle ossa
l’ingrato freddo….e poi vi erano tutte quelle stelle che riempivano di sè quel
vuoto così scuro che era l’infinito. Solo il sorgere del sole ci portò un po’
di tranquillità. Eravamo ancora dei bambini, eppure quell’avventura, per noi
estrema, iniziava a segnare nel nostro futuro solchi profondi cambiandoci nello
spirito e stravolgendo la nostra vita.
La frontiera aprì in mattinata. Noi eravamo già svegli e
pronti a mostrare i passaporti appena ce li avrebbero richiesti.
Per me era il secondo passaporto che possedevo, il primo me
lo aveva sequestrato la questura perché non contemplava il mio nuovo stato
sociale. Negli anni successivi ne chiesi la restituzione diverse volte ma non
sono mai riuscito ad averlo. Conteneva timbri e visti di un Europa che avevo
attraversato in lungo e in largo spostandomi esclusivamente in autostop.
Ancora oggi mi incupisco nel pensare come si può cercare di
legittimare la differenza tra uno Stato all’altro ponendo un semplice timbro
sul passaporto. Segnare i confini e dividere popoli ed etnie solo perché vivono
stanziati in luoghi distanti tra di loro di pochi chilometri…..è una pura
follia.
In quegli anni un timbro sul passaporto rappresentava la
vittoria sull’inattività della vita. Possederne uno e riempirlo di impronte
colorate quali i visti di frontiera, era un atto eroico da non dormirci
su…..difatti li osservavo continuamente e ne ero fortemente orgoglioso. Negli
anni futuri giocavo con Pina a ripercorrere nella mente il momento in cui avevamo
preso quel timbro cercando di riviverne anche le sensazioni provate allora.
Li controllarono in fretta e subito attraversammo il
confine.
Per arrivare al posto di blocco marocchino dovevamo percorrere
a piedi sette chilometri di terra di
nessuno. La strada era ben tracciata e si snodava sotto enormi figure di palme
da dattero. Ogni tanto la pista che dovevamo seguire si confondeva con altre
piste, ma alla fine riuscivamo sempre a incanalarci su quella giusta.
Da soli, sostenuti dal desiderio di conoscere questa altra
parte del mondo, sotto i raggi di quel sole cocente, felici fino ad arrivare
alle stelle, ci incamminammo lungo quel sentiero alla scoperta di questa terra
meravigliosa. Una jeep piena di militari ci bloccò qualche chilometro dopo, ci
perquisì e ci indicò la strada da seguire.
E’ sempre il desiderio di conoscere che in queste situazioni
ci spinge ad andare avanti. Allora, se non ci fosse stato quell’anelito
interiore che ci ordinava a spingerci oltre, ad affrontare qualunque rischio
pur di raggiungere la meta, in tante situazioni non ci saremmo nemmeno trovati.
L’aldilà del conosciuto è la prerogativa del viaggiatore,
che poi diventa conosciuto e che dopo poco tempo desidera nuovamente di
ri-andare oltre…….compone l’essenza del vagabondo.
Confrontarci continuamente con ambienti nuovi, ostili e pieni
di insidie……….E’ IL VIAGGIO STESSO. La parvenza di sicurezza che ci avvolge nel
nostro mondo è quanto mai castrante e difficilmente ci sprona a vivere
avventure oltre il “già consolidato”.
Perché farlo, ci chiediamo! Perché interrompere questa
nostra quotidianità fatta di cose belle e sicure?
E’ proprio così che pensiamo, e non ci rendiamo conto che
questo modo di pensare è il grande nemico che vive dentro di noi. Le migliori
occasioni per un uomo sono quelle che si prendono al volo, quelle che ci fanno
travalicare la realtà perbenista e limitante dentro la quale sciacquiamo. E’
l’attimo…………è il momento presente che contiene in sé passato-presente-futuro a
darci la forza e il coraggio di andare avanti.
Trascurare questa Unità è come perdersi nel mezzo di tante
cose belle e continuare a cercare quel Paradiso che, grazie alla nostra
insensibilità, non intravediamo.
Dalla frontiera percorremmo qualche altro chilometro a piedi
per arrivare a Figuig da dove, con un autobus scassato, proseguimmo per Bou
Arfa.
Un villaggio sovrastato da un’assolata montagna di basalto
dalla quale, ai suoi piedi, partivano due strade: Una diretta al nord, verso il
Mediterraneo, asfaltata che conduceva a Ouida, l’altra verso l’interno del
Marocco, che entrava nel deserto, attraversava l’alto Atlante per finire
direttamente sull’oceano Atlantico passando per Marrakesh.
I primi 300 km di quest’ultima non erano asfaltati, quindi
decidere di spostarsi su di essa implicava una scelta difficile e avventurosa.
Decidemmo, ovviamente, per la peggiore.
Bou Arfa non offriva assolutamente nulla al turista. Vi era
molto caldo, tanta polvere e diversi asini. Uno di questi, dopo averlo ammirato
nelle sue acrobazie su un costone della montagna, esposto per l’intera giornata al sole, verso
l’imbrunire lo vedemmo stramazzare a terra colpito da un colpo di sole. I
ragazzini lo circondarono incuriositi assistendo alla sua lenta morte.
Vi era un autobus ogni quattro giorni, quindi ci toccò rimanere in questo villaggio nella
speranza di trovare una locanda in cui mangiare e dormire. Per tre mattine
consecutive andammo, insieme ad una coppia di francesi, che nel frattempo si
era unita a noi, fuori dal villaggio disponendoci ai bordi della strada per
fare l’autostop.
Impegnavamo così le prime ore del mattino, dato che nessun
mezzo dopo una certa ora, appena il sole avrebbe arroventato l’aria circostante,
si sarebbe rischiato ad attraversare quella parte del deserto.
Assieme agli zaini colorati e distesi sui sacchi a pelo trascorrevamo diverse ora ad immaginare l’arrivo di qualche
camion che miracolosamente ci avrebbe presi su facendoci uscire da quella situazione che diventava
sempre più insostenibile.
Nessuno si fermava……….perchè in effetti da quel luogo non
transitava nessuno.
Ritornavamo alla locanda esausti e amareggiati e ci
preparavamo a trascorrere un altro giorno all’insegna della disperazione e
della noia.
In uno di questi giorni, insieme ai francesi, disperati
anche loro, scalammo la grande montagna per avere una visione complessiva del
luogo in cui ci eravamo impantanati. Muniti di tanta acqua, per non fare la
fine del povero asinello, salimmo su e la visione che ci apparve dalla cima fu
veramente stupenda: l’Infinito. Sotto di noi, arroventato dal forte calore
solare, vi era il villaggio composto di qualche casa dalle
mura impastate di fango e paglia e proprio ai margini vi erano diverse tende
berbere dal tipico colore marrone a strisce bianche…………………….oltre vi era il
nulla.
Il deserto appariva nascosto da un manto di nebbia dovuta
all’arsura che si condensava fino ad un certa ora. Eravamo circondati da un
mare infinito di sabbia e, mentre seguivamo con gli occhi la striscia di asfalto che si spingeva
all’infinito, segnando vistosamente la linearità della strada verso Ouida, quando
spostavamo lo sguardo dalla parte opposta per sondare la consistenza dell’altra strada, quella che dovevamo
percorrere noi, venivamo colti da un attimo di panico. L’altra strada era
inesistente. Era una striscia gialla, confusa col deserto, senza alcun segnale,
piena di buche e soprattutto sommersa dalla sabbia……tanta sabbia. Si perdeva
tra le dune e per certi tratti si confondeva con i solchi di tante altre piste
lasciate dai camion che, per non insabbiarsi in quelle profonde fenditure, di volta in volta ne segnavano una nuova.
Un tuffo al cuore.
Un’altra mattina, spinti dalla curiosità e dalla noia,
visitammo senza alcun invito, con il tipico comportamento occidentale da
“spaccone”, l’interno di un recinto, alto un metro e composto da semplice
argilla, dove vi erano sistemate diverse tende berbere. Fummo accolti con
grande rispetto e con molta meraviglia, specialmente dai bambini. Cercavano di
toccarci e di mettersi accanto a noi.
In quegli anni sicuramente i viaggiatori che transitavano da
quei luoghi erano veramente qualcosa di raro.
Le mamme, dal viso tatuato con i tipici segni berberi, senza
mai alzare gli occhi, indossavano lunghe
vesti e, con molta dignità, cercavano di rendersi misteriose dietro quei visi
scuri e bruciati dal sole.
Ogni ora scoprivamo qualcosa di interessante.
Il the alla menta ci teneva in fibrillazione continua. I
pasti non erano sontuosi, però non mancava mai il riso con il suo bel pezzo di
carne di montone. Rimanemmo a Bou Arfa tre giorni e, a parte il gran caldo, quella
permanenza forzata non fu per niente noiosa.
Il primo impatto con il Marocco ci diede un piccolo anticipo
di cosa avremmo trovato in futuro.
L’autobus finalmente arrivò da Ouida la sera e il giorno
dopo, qualche ora prima che spuntasse il sole, avrebbe imboccato la pista che
conduceva a Thinerir.
Il solito autobus con i finestrini rotti, strapieno di gente
e di mercanzie, dal colore indefinito, con le ruote lisce e piene di toppe,
alle prime luci dell’alba, traballando e rumoreggiando, si preparava per
partire verso un’altra delle sue avventure sperando di raggiungere la meta.
In Salah!!!!
Vi era molto freddo, quindi ci siamo infilati dentro i
sacchi a pelo. Il viaggio durò un intero
giorno. Lentamente, con lo spuntare del sole arrivò il caldo, ci liberammo di
qualche indumento e ci lasciammo affascinare dalla visione di quelle montagne
gialle prive di qualsiasi forma di vegetazione. I villaggi che attraversavamo
erano molto poveri e sembravano disabitati. Era tanto il silenzio dovuto al
caldo e alla miseria che, quei pochi abitanti rimasti, stavano rintanati nelle
loro case osservando quel silenzio opprimente nella speranza che arrivasse la soluzione
tanto desiderata.
Forse nemmeno loro sapevano cosa stavano aspettando, però
nell’aria stessa aleggiava qualcosa di triste, di dimenticato, che da un
momento all’altro sarebbe esploso.
Visioni di bambini che tenevano legati alle spalle altri
bambini di poco più piccoli di loro, scalzi, sporchi e spenti, punteggiarono
con la loro presenza quel lungo viaggio.
Le poche case, dai muri scrostati, bucherellati e consumati dal tempo, si
confondevano spesse volte con il colore della sabbia. Mancavano i pali della
luce, ancora la televisione non era arrivata, solo qualche bicicletta sgangherata,
dalle ruote inesistenti timidamente tentava di riportarci all’occidente.
Il resto era tutto un altro mondo. Fermo. Mi sembrava
pesante anche l’aria che respiravamo, tanta era la miseria confusa con il forte
caldo.
Di tanto in tanto qualche cupola di moschea, sovrastata dal
solito alto minareto, con evidente
disarmonia si imponeva, sulla miseria circostante, per rammentare alla gente
che il potere religioso, anche lì, era presente.
A Thinerir si concentrano diverse meraviglie naturali degne
di essere visitate.
Il deserto finiva ed iniziava una tortuosa strada asfaltata
che saliva sull’Alto Atlante per scendere poi, dopo centinaia di chilometri, a
Marrakesh.
Era una vera oasi di pace e di bellezze naturali. I dintorni
erano rinfrescati da limpidi torrenti dove le lavandaie lavavano i pochi
indumenti sbattendoli e strattonandoli con i piedi. Donne berbere dal viso
olivastro, qualcuna di carnagione nera e vestita di nero, spezzava la scena
emergendo per il suo intenso colore e per la sua bellezza prorompente. Pina
intanto era scesa in mezzo al ruscello e, con i piedi immersi nell’acqua, le
ammirava affascinata. Io, mi ricordo, ero coperto da un lungo caffettano bianco
per proteggermi dal caldo, ma principalmente speravo di vivere l’illusione di appartenere
a quel mondo. Mi sono sempre sentito completamente rilassato in mezzo a questa
gente. Non ho mai provato paura e mai mi sono sentito a disagio. il loro
habitat è sempre stato il mio.
Le case molto alte, di colore giallo ocra, a più piani,
sostenute da travi che sgranocchiate
dalle termiti e logorate dal tempo, davano un senso di instabilità perenne.
Erano i luoghi delle mille e una notte,
molto simili alle case “grattacielo” di Shibam nello Yemen orientale.
Castelli enormi, composti di argilla e paglia, svettavano in
cielo prodigiosamente. Entravamo nei cortili di queste case fortezza non
considerando la riservatezza e la sacralità di quel luogo. Era come deflorare la
dignità di una persona, difatti, con la tipica sfacciataggine dell’occidentale
colonialista, vi curiosavamo sin dentro le mura sperando di scoprire qualcosa
di esotico. Vi era solo miseria supportata da una grande dignità. Pochi
suppellettili, qualche tappeto che serviva come luogo per dormire e qualche
brocca di acqua. Niente fili elettrici, niente rubinetti, niente fornelli da
dove miracolosamente esce il gas. In un angolo vi era ammonticchiata della
legna per accendere il braciere in argilla incassato nel pavimento e le
pareti della stanza erano coperte da
strati di fuliggine.
Pochi elementi……….ma essenziali.
In futuro questo nostro comportamento così indecente lo
abbiamo riveduto completamente.
Rispettare la gente del luogo è divenuta la prerogativa dei
nostri viaggi. Considerarci semplici ospiti che in punta di piedi cercano di
comprendere gli usi e i costumi della gente locale, senza pensare e nemmeno
tentare di cambiare lo stato delle cose.
La conoscenza deve avvenire in modo naturale, attraverso il
cuore, rimanendo semplici spettatori che si affascinano di fronte a qualunque
visione, emozionandosi nel riconoscere negli Altri sé stessi mentre si trovano
alle prese con situazioni simili a quelle che abbiamo, in altri periodi,
vissute anche noi. Non vi è niente da apprendere…………e niente da dare.
Vi è solamente da osservare, ascoltare e………………stare in
silenzio.
A 14 km dalla città vi erano le Gole di Thodra, una meta da
raggiungere a dorso di asini attraversando le lussureggianti oasi straripanti di
colori e di acqua. Ne affittammo due con relativa guida.
L’impresa sin dai primi passi si dimostrò molto avvincente,
ma molto, molto pericolosa. Il rischio di cadere era davvero rilevante, e
l’attenzione che dovevamo prestare alle delizie del paesaggio veniva in gran
parte rivolta all’instabilità del nostro corpo sul dorso dell’asino. Troppo
rischioso. Decidemmo di abbandonarli appena un chilometro dopo e di continuare
a piedi. La solidità delle nostre gambe ci ridiede la giusta visione del luogo.
Era una meravigliosa oasi con tanto verde, tanta acqua,
palme, uccelli coloratissimi tra i quali emergeva l’armonia dei mitici Ibis
bianchi……………..vi erano, nascosti tra le palme, villaggi stupendi dalle mura
gialle dove vivevano in un silenzio
rasserenante migliaia di gente.
L’armonia della natura cadenzava il trascorrere del tempo.
Pochi bambini, molti contadini chinati sulla terra a
coltivare ortaggi o verdure che poi vendevano nei mercati.
La pista che seguivamo si snodava proprio in mezzo a tutto
questo paradiso. Non eravamo stanchi, affatto, anzi, a volte spingevamo la
guida ad uscire fuori dal tracciato per visitare i villaggi che si intravedevano
in lontananza.
La visione delle gole, che sovrastavano questo mondo di
pace, si impose con armoniosa irruenza ai nostri occhi. L’ immensa altezza dei
due blocchi di montagne di granito che comprimevano la piccola valle ci ha
scaraventati nella nostra piccolezza riducendoci a semplici piccoli esseri
quali siamo dinnanzi a simili visioni…..e poi vi era il solito fiumiciattolo
che scorreva in fondo alla valle ammantato da un grande silenzio che rendeva il
luogo misterioso ed attraente.
Entrammo nella gola camminando scalzi con i piedi immersi
nella fredda acqua.
Da noi in Sicilia, per chi le conosce, vi sono le gole
dell’Alcantara, ebbene le “Gorge du Thodra” erano per venti volte più alte.
Gridammo a squarciagola per sentire il rimbombo dell’eco.
Meraviglioso!!
Con Pina ci stringemmo molto forte. Volevamo suggellare quel momento. Ci guardammo negli
occhi, emozionati per la bella avventura che stavamo vivendo. La palla di
cristallo erano le nostre pupille dove già si intravedevano gli immensi scenari
della nostra vita futura attorno al mondo, fatta di spostamenti precari,
all’insegna del rispetto della natura, caratterizzata dal desiderio e dalla
passione di andare sempre avanti e aldilà dal conosciuto.
Qualche giorno dopo
partimmo per la mitica ed affascinante Marrakesh. Attraversammo l’Alto Atlante
su di un autobus che correva all’impazzata. L’autista sicuramente era un
incosciente. Non riusciva a mantenere la guida sul lato destro, difatti anche
nelle curve si collocava sul lato sinistro, e a velocità impressionante, senza
pensare minimamente alle tante vite umane che dipendevano da Lui, schiacciava
l’acceleratore come fosse stato un ossesso. L’adrenalina ci sgorgava a flutti
da tutti i pori del nostro corpo.
In altre parti del mondo ci siamo trovati a penare su vecchi
autobus per l’incoscienza dei guidatori, e tutte le volte ci siamo rivolti al
nostro Dio affidandoci a Lui affinché ci preservasse da una fine terribile.
Fa sempre comodo avere fede in qualcuno durante questi
momenti. Almeno non ci sentiamo soli ed in balia delle manie di un pazzo.
Quella volta siamo stati veramente fortunati, a differenza dei
tanti viaggiatori che erano stati scaraventati,
assieme ai loro autobus, nei profondi burroni che costellavano quella strada.
Infine la meta arrivò. Era la prima vera città marocchina
che incontravamo. Tutto sembrava muoversi ed esistere per affascinare il
turista.
La grande piazza conteneva buona parte delle stranezze
magrebine. Incantatori di serpenti, giocolieri, truffatori, estrattori di
denti, mangiatori di fuoco, ladri,
venditori di acqua, cantanti e ballerini, venditori di oggetti in rame e di cianfrusaglie
vari, approfittatori, mendicanti…………..tutto era concentrato in quella piazza. I
ristoranti che vi si affacciavano erano pieni di turisti e le loro terrazze
servivano al turista stesso come punto di osservazione per ammirare e
fotografare le scene sottostanti senza pagare alcun dhiram.
La droga a quei tempi richiamava i soliti fricchettoni da
tutta l’Europa. Non costava nulla e poteva trovarsi con grande facilità. Era un
mondo da sballo.
Il Marocco distava solamente una spanna di mare dal mondo
occidentale, eppure conteneva in sé tanto fascino. In tanti vi si fermavano per
lunghi periodi. Si poteva avere così il tempo
di conoscere la città, di sentire i suoi odori e di gustare le sue
delizie culinarie.
L’ospitalità era esemplare. Ancora il turista non
rappresentava l’unica fonte di economia, veniva considerato e rispettato per
quello che era. Non ho mai sentito parlare di rapine o di altri pericoli, a
differenza di oggi che tutto è così instabile.
Rimanemmo qualche giorno tra l’incanto dei vecchi suk e le meraviglie
della piazza. Portammo un bel ricordo con noi, ed ancora oggi, dopo tanti anni,
quel sogno è rimasto tale perché volutamente abbiamo deciso di non ritornarvi
più.
A Casablanca ci fermammo solo una notte, il suo grande caos
pieno di rumori e di pericoli ci costrinse a partire subito.
Partimmo per Rabat, la capitale amministrativa, poi per
Meknes ed infine, dopo svariati giorni trascorsi a girovagare da una città
all’altra salendo e scendendo da vecchi autobus, decidemmo di riprendere a fare
l’autostop per andare nella mitica Fes.
Una città antichissima, con una medina intricatissima, molto
buia, con sottopassaggi grondanti di acqua e dai suk ancora identici alla struttura
originale che risaliva a centinaia di anni addietro.
L’autostop in Marocco
per noi è stato molto facile. Bastava essere in compagnia di una donna per ottenere
passaggi lunghi e a qualunque ora.
A parte la solita piccola disavventura con un conducente di
una BMW nuova di zecca che tentava di fare delle avance a Pina fissandola negli
occhi o giocando con l’alza cristallo elettrico mentre Lei vi appoggiava il
braccio, non successe niente di strano. Solo gente allegra, timida e dignitosa.
A Fes trovammo un piccolo hotel proprio nel centro storico, e
da lì assistevamo ai vari spettacoli approntati per il turista.
Due giovanissimi pugili si picchiavano a sangue nella
pubblica piazza pur di racimolare
qualche soldo. Una esibizione triste e crudele, condita appositamente per
l’incauto turista. Forse a qualcuno queste scene stimolano interesse e
divertimento, ma per noi erano molto tristi.
Pur di stupire o di attirare l’attenzione, l’Uomo è disposto
ad inscenare la propria morte. La disperazione Lo costringe ad interpretare
ruoli autodistruttivi, nella speranza di suscitare pietà così da poter
raggranellare qualche soldo…….e il turista rimane impietrito lì, a guardare
simili scene.
Quanti di questi tristi spettacoli abbiamo visto con Pina nelle varie zone del
mondo! In nessuno, purtroppo, veniva considerato il rispetto per la dignità umana. Assistere ad una scena così
cruda, pietosa, in cui per guadagnare qualche soldo si decade così in basso
infierendo sul proprio corpo e ferendolo
anche nello spirito, fa provare un’amarezza profonda. Il degrado mentale di quel turista che pur di
“vedere quante più stranezze possibili” durante i suoi viaggi, per poi
raccontarle ai suoi amici, amplifica l’ego. Siamo noi, con il nostro spasmodico
interesse, a stimolare e sostenere l’esistenza di simili spettacoli. Il vuoto
che abbiamo dentro cerchiamo di riempirlo con scene raccapriccianti, cerchiamo
stimoli estremi, fantasiose avventure pur di meravigliare chi ci ascolta.
A volte è la religione estremizzata ad incitare simili esibizioni,
ma il più delle volte è il bisogno di denaro a costringere l’Uomo a trasformare
il proprio corpo in un veicolo per produrre denaro. In India, in diverse
situazioni, specialmente nelle adiacenze dei luoghi sacri, abbiamo assistito a
scene allucinanti.
A Benares vi sono variegate figure di devoti, tra i quali
emerge per spettacolarità, il falso devoto…….ebbene, costui, pur di dare
spettacolo, con molta facilità, qualcuno trascende in forme di trance estatiche
e flagellare pubblicamente a sangue il proprio corpo. Carne maciullata che
cammina, seguita da una musica assordante mentre forti fendenti di pugnali ne
torturano il corpo…..e le mogli, e i figli in corteo stanno lì a glorificarne
le doti…..queste, purtroppo, sono una delle tante scene che predilige qualche
turista. Scene prive di spiritualità senza alcun aggancio con la storia
millenaria di un India mistica, che ha insegnato l’arte dell’Amore a centinaia
di generazioni.
I cunicoli bui e untuosi della vecchia medina pullulavano di
gente. Si spostavano tutti senza un senso apparente. Noi guardavamo
meravigliati questo mondo così diverso e lontano da quello
nostro…………………eppure!! ci sentivamo a casa.
Non ho mai provato la sensazione di essere un intruso,
anzi……….cercavo di vibrare in armonia con tutto quel frenetico andirivieni di
vite umane. Pina, come sempre, sembrava esservi nata e cresciuta in questo
mondo. Era incantata, stregata da tutto quel movimento di vite umane che per
sopravvivere affrontava pericoli e umiliazioni enormi.
Non vi era niente di definito, nessun punto di riferimento al
quale appigliarsi. Solo vite umane, la maggior parte sporche, sofferenti,
misere……..solo speranze, non in un mondo migliore……sarebbe già tanto………ma in un
pezzo di pane per continuare a svegliarsi l’indomani e poi ancora, e sempre
così, in eterno……………sino alla fine.
Fes rientrava in questo concetto di mondo.
Partimmo qualche giorno dopo incalzati dal tempo che ci
spingeva a rientrare a Tunisi per riprendere l’aereo. Dovevamo ancora attraversare
parte del Marocco, l’intera Algeria e parte della Tunisia.
Partimmo in autostop sino al confine algerino. Attraversammo
Oujda per arrivare a Tlemcem dove prendemmo un treno che ci condusse via Orano,
ad Algeri.
Un solo giorno per visitare la città e sbrigare qualche
formalità alla Tunis air e poi via, sempre in treno, Costantine e Tunisi.
A parte la solita disavventura notturna sul treno dove
qualche povero sprovveduto si beccò calci furenti da Pina mentre cercava di
tastarLe il sedere, tutto filò liscio. L’aereo fu puntuale e, stavolta,
potremmo atterrare all’aeroporto di Catania senza alcun problema.
Antonio mi è sembrato più cresciuto.
Effetto della lunga lontananza, però, subito dopo qualche
giorno tutto ritorna normale, nella gradualità delle cose.
Si ripresentano i soliti problemi irrisolti. Ritorno ad aprire
lo studio sperando sempre in qualche lavoro e a malincuore riprendo a mettermi
in camera oscura per stampare qualche tessera e qualche foto in bianco e nero.
In effetti non sono mai stato innamorato del lavoro in camera
oscura. Preferivo leggere anziché mettermi al buio.
L’inverno, mi ricordo, quell’anno fu molto freddo e
inzuppato di forti scrosci di acqua. Stava per arrivare il Natale e le case si
animavamo di luci colorate e di felici propositi per l’anno nuovo.
Con Pino intanto in quell’ultimo mese dell’anno avevamo ripreso l’abitudine di frequentare la
casa di un anziano signore dal quale, speravamo, con il suo aiuto e con i suoi
consigli, di avvicinarci alla conoscenza del mondo del paranormale.
“ U zu Luciano” era un vecchio compagno di partito,
contadino, di tempra molto forte, con una personalità notoriamente attraente,
dal fare tipico del siciliano di poche parole e dalle idee molto chiare. Viveva
la propria vita nel silenzio dei suoi misteriosi poteri. Lo conosceva Pino
perché era un suo vicino di casa, quindi non ci è stato difficile entrare tra
le sue grazie.
Con un certo timore, durante quelle sere fredde, in un certo
senso impauriti dall’oscuro personaggio
che in paese manteneva attorno a sé un alone di mistero, ci recavamo a casa sua
convinti di sondare l’aldilà sostenuti dal nostro fare da intellettuali capaci
di spiegarsi qualunque manifestazione. Fiduciosi nella nostra razionalità e
certi che nulla avrebbe scosso la nostra fiducia in un mondo fatto di sola
materia e di lotta politica, mentre Lui chiudeva gli occhi e sembrava
trasferirsi in un’altra dimensione, Gli ponevamo delle domande sperando di
ottenere risposte palesemente criticabili……………..ma non fu così.
In quelle sere lentamente emergeva la nostra paura e si
palesava da parte mia una grande adesione psichica ed interiore per tutto ciò
che riguardava l’altra dimensione.
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Le uniche azioni diverse dalla normalità, a parte il lavoro
che andava a gonfie vele e i progetti per un nuovo viaggio da effettuare nel
prossimo mese di novembre, furono le infinite sedute spiritiche che riempirono
buona parte delle nottate di quell’anno. L’interesse per il paranormale mi
prendeva completamente e tutte le cose che mi capitavano, mi ero convinto,
avevano qualcosa da fare con lo spiritismo.
Improvvisamente scoprii a Motta un grosso numero di persone
che si interessavano di queste cose e che avevano contatti diretti con medium
quindi con sedute spiritiche, o conoscevano personaggi che venivano posseduti
(o che si incarnavano in……..) da entità particolari.
Un intero paese quindi, per quello che mi capitava sapere,
nel silenzio della notte si trasformava, abbandonando la luce del giorno, in
provetti medium capaci di far saltare tavoli per aria o trasformarsi in medium
dai poteri misteriosi.
U zu’ Luciano era “il punto di riferimento”. Tutti i gruppi
di aspiranti spiritisti paesani avevano trascorso qualche periodo attorno a Lui.
Lo osservavano in silenzio e con un certo rispetto, e Lui, mentre da una trance
“attenta” passava a giaculare incomprensibili preghiere che oggi definirei
“mantra”, passava a scrutarli con quei
suoi occhi a fessura incutendo una certa paura.
Nel frattempo le mie conoscenze aumentavano. Personaggi
locali dai poteri strani e paranormali andavano affacciandosi al mio mondo. Non
passava giorno senza sapere di qualcuno che stupefaceva con i suoi poteri.
Ci tengo a dire che Motta in quel periodo pullulava di
personaggi che operavano in questo campo, mantenendo attorno a loro un certo
mistero per dare la giusta dignità al ruolo che detenevano.
Oggi, 2007, per quello che sento dire, quei mitici
personaggi sono del tutto scomparsi per lasciare spazio ai nuovi “guaritori”
che con semplici corsi a pagamento si convincono di possedere poteri pranoterapeutici
che gli derivano da energie divine captate attorno a noi. In paese esistono
diversi gruppi di “carismatici” che,
dopo aver praticato in seno alla chiesa, ingenuamente e pericolosamente,
tentano la strada privata convinti che basta una semplice invocazione allo
Spirito Santo per costringerLo a manifestarsi.
Molta ingenuità ed impreparazione gira intorno a queste
pratiche. I rischi verso i quali si va incontro sono enormi e possono intaccare
perennemente la psiche di chi vi si abbandona senza la dovuta conoscenza. In
tanti in questi ultimi anni sono ricorsi alle cure di neurologi e psicanalisti.
L’era della new age.
Le menti e i sogni di molta gente si stanno riempiendo di
false illusioni. Basta frequentare un semplice corso, si pensa, per sensibilizzare
dei centri nervosi a livello sottile, chakra, per divenire dei silenziosi “tramiti” che captano
dall’etere correnti od energie per poi trasferirle su persone che hanno bisogno
di cure. Un discorso molto semplicistico che sta coinvolgendo un infinità di
persone, col rischio di attirare su di se mali fisici e angosce psichiche
distruttive.
Assieme a Pino entrammo in questo mondo misterioso
sponsorizzati indirettamente dalla frequenza costante che avevamo con il capo
dei capi. Diverse volte al giorno venivano a prelevarlo persone non di Motta
per risolvere casi misteriosi. Non abbiamo mai saputo cosa andasse a fare, però
dalla Sua spossatezza fisica era naturale dedurre il grande stress a cui si era
sottoposto. Scompariva a volte per
giorni e al Suo ritorno riprendeva come
prima a ricevere persone, curando qualcuno con l’imposizione delle mani e
donando qualche preghiera da recitare nei momenti di pericolo.
Oggi definirei queste invocazioni MANTRA, brevi frasi dove
vengono evocate delle Divinità, nella speranza di sintonizzarsi alle loro
vibrazioni che riempiono d’Amore e di positività l’intero cosmo.
Le nostre visite divennero sempre più frequenti.
L’ammirazione per la Sua persona frenava la mia voglia di
curiosità. Ero preso da questo anziano personaggio, che, pur lavorando in
campagna, senza la minima cultura, riusciva ad affascinare così tanta gente.
Qualche volta mi informavo sul mio futuro. Specialmente
chiedevo notizie sui miei viaggi e se, eventualmente, in futuro avrei
realizzato quell’altro mio sogno che era quello di scrivere e scrivere tanto.
Mi rispose sempre con ferma schiettezza che entrambi le cose, viaggiare e
scrivere, avrebbero caratterizzato tutta la mia vita. In effetti oggi, a parte
l’Amore che sento per Pina, sono le due uniche
vere passioni che mi rendono vivo e felice.
In quel periodo, spinto dalla curiosità e dal desiderio di
conoscere, mi avvicinai con grande interesse ad un gruppo di persone che
praticavano sedute spiritiche.
La presenza di un bravo Maestro di seduta e di un Medium,
apparentemente esperto, sollecitarono la mia brama di sapere spingendomi a
partecipare a tutti gli incontri che il gruppo proponeva. Eravamo tutti ragazzi
con poca esperienza, però vi era la figura del Maestro che colmava questa
inefficienza. Era Lui a porre le domande al Medium, era Lui a mandarLo in
trance e a decidere quando e dove riunirci per sfruttare nel giusto modo le
energie al momento presenti.
La mia presenza nel gruppo inizialmente è stata molto
silenziosa e in parte impaurita.
In punta di piedi ascoltavo e tentavo di capire quali energie
misteriose si scatenano in simili
situazioni e quanta verità vi fosse durante le manifestazioni insolite che
immancabilmente e continuamente andavano presentandosi.
Non volevo essere molto risolutivo giudicando a priori senza
conoscere. Potevano benissimo essere manifestazioni naturali indotte da paure
psichiche o dovute veramente a presenze
di entità oltre il conosciuto…….però, ero lì, e cercavo di sapere.
Attorno al solito tavolo a tre piedi, sul quale tutti
mettevamo le mani, si concentrava la nostra attenzione riempiendo la stanza di
una tensione assordante. La voce autoritaria del Maestro, non dopo averci
tranquillizzati, cercava di imprimere ordini e visioni al medium il quale, con
molta apparente disinvoltura, chiacchierava con i vari Spiriti, o entità, che,
secondo Lui, in quel momento popolavano la stanza.
Questo mondo affascinante, nuovo e stimolante, mi costringeva a stare ore ed
ore, a volte tralasciando il lavoro, lontano dalla mia Pina. In quegli anni Lei
ancora non lavorava, quindi dedicava tutto il suo tempo alle crescita di
Antonio e alla lettura dei vari libri che componevano la nostra libreria.
Lentamente, giorno dopo giorno, il mondo dello spiritismo
coinvolse anche Lei. Non potevo nasconderLe questo mio nuovo interesse. Da solo
non sarei andato da nessun parte, figuriamoci in questo campo così misterioso,
addentrarmi da solo……senza di Lei. Sarebbe stato impossibile.
Dopo qualche mese Le parlai delle sedute convincendoLa a partecipare,
anche solo per semplice curiosità.
Passando i mesi, le esperienze aumentavano e assumevano
aspetti per certi versi molto travolgenti. Il piccolo gruppo si era ingrandito
e qualche volta espatriava dal suo piccolo ambito per andare a confrontarci con
altri gruppi. Andavamo anche fuori a fare sedute spiritiche, e nel tempo si
aggregavano elementi sempre nuovi e quasi tutti coinvolti, anche
indirettamente, in esperimenti con tavoli che si spostavano da soli.
Il Maestro continuamente ci proponeva nuove esperienze in
luoghi nuovi, frequentati, per come Lui sapeva, da anime erranti che avevano
bisogno di comunicare qualcosa.
Una notte l’intero gruppo, con l’aggiunta di un oscuro Maestro
misterbianchese, si spostò sull’Etna, a gironzolare in un bosco di querce sopra
Milo. Costui sapeva di un luogo dove si era consumato un omicidio, quindi si
presupponeva che vi fosse ancora l’anima o lo spirito rimasti lì ad errare
freneticamente cercando un po’ di pace.
Eravamo in tanti. Vi era anche Pina che rimase in macchina
con altri ad attendere.
Arrivati sul luogo, non dopo aver percorso diverse centinaia
di metri, il Maestro ci consigliò di non perdere il contatto con il suo corpo
fisico perché era l’unico schermo di protezione sicura in simili situazioni. L’alta
voce del Maestro iniziò ad evocare lo spirito chiamandolo per nome e ordinandogli
di farsi sentire.
Paura enorme. Tensione. Impossibile rimanere distaccati da
ciò che stava avvenendo.
Presi la macchina fotografica, accesi il flash e mi tenni
pronto a fare degli scatti appena il Maestro me lo avrebbe detto.
Fatti sentire. Siamo qui per aiutarti………..gridava.
Improvvisamente dei “presunti” passi calpestarono delle
foglie e si avvicinarono paurosamente a noi. Mentre il Maestro cercava di
trattenerci rincuorandoci, e mentre il calpestio dei passi si avvicinava sempre
di più, io presi ad illuminare con colpi di flash il luogo dal quale provenivano
i rumori.
Fermati!! Gridò il Maestro a voce alta. Fermati!!
Il panico ci avvolse, e tutti, in una fuga disordinata,
ritornammo in macchina. Le donne erano impaurite perché in simultanea alle
nostre voci vedevano i lampi esplosi dal mio flash. Non riuscivano a stare calme.
Una notte da brivido. Indimenticabile.
Solo oggi, fermandomi un momento a pensare a quel periodo, capisco i rischi che abbiamo
corso e con quanta superficialità ci siamo incanalati in una strada che
veramente ci avrebbe spinti in un baratro. Le energie che si sprigionano
durante le sedute spiritiche contengono in sé le nostre credenze e le nostre
paure. Una mente suggestionabile, come eravamo noi in quegli anni, se non è
sostenuta dalla giusta conoscenza e da una fede forte nel Divino, può essere
facilmente presa da forme pensiero negative che la possono far scivolare in
forme depressive o di allucinazioni
paurose. Si rischia di venire posseduti dai mostri generati dalle nostre stesse
paure con conseguenze terribili.
Ringrazio la mia fortuna e il Dio che vive in me per avermi
protetto da quelle energie.
Qualcosa è rimasto.
L’esperienza ci segnò tutti. Da quella notte in poi le
sedute presero un’altra via.
Le foto scattate furono analizzate da persone esperte i
quali, secondo loro, si intravedevano delle ombre bianche. Nessuno seppe spiegarne cosa significassero.
Nel frattempo si avvicinava il momento del prossimo viaggio.
Avevamo comprato una R5 e la volevamo portare in Iran
attraverso la Grecia e la Turchia. Un’impresa da veri pionieri, difatti tutti
ci consideravano pazzi ed incoscienti, però ormai quel viaggio ci era entrato
dentro e dovevamo solamente risparmiare qualche soldo, comprare qualche ruota
di scorta, capire un po’ di motore………………..e via.
La frenesia si era impossessati di noi.
Quel viaggio doveva essere
la nostra rinascita.
La vita che conducevamo a quei tempi non era rigenerante. La
casa opprimente, il lavoro ormai decollato e ripetitivo, i pochi contatti con
il partito e l’oscuro periodo dello spiritismo, ci stava facendo scivolare
nella depressione.
L’occasione era da non perdere.
Il viaggio stesso, così avventuroso, era da non rinviare. Si
doveva fare subito, quello stesso anno, e l’unico periodo libero che avevo era
novembre.
Il nostro novembre.
Per 25 anni novembre è stato per noi il mese della libertà.
Il mese in cui prendevamo gli zaini e scorazzavamo per il mondo. Il mese dei
morti, per noi è stato consacrato alla vita. Ogni anno, puntualmente, il
miracolo si avverava, ed ogni volta, rubando qualche giorno di ferie, il mese
di novembre transitava nel dicembre successivo fino ad occuparne una buona
metà.
Insieme, Lei prendendo tutte le ferie (dal ’77 in poi Pina
inizia a lavorare) ed io chiudendo lo studio, ci immergevamo nelle delizie di
un mondo meraviglioso. Nessun ostacolo si mise mai di fronte per sbarrarci la
strada, anche se in futuro con l’arrivo di Alice, le cose sembrarono
complicarsi, non rinunciammo mai al viaggio. Ancora oggi, 2008, questa fortuna
non ci ha mai abbandonati.
Il desiderio sfrenato per il viaggiare liberi e l’Amore che
vi riversiamo su, servono, ancora oggi, a spianarci la strada.
Tutti gli anni, questo miracolo, non ha mancato mai di
stupirci.
Pochi giorni prima di partire, improvvisamente, scompaiono tutti
gli impedimenti oggettivi e psichici e grazie alla nostra determinazione nel
non voler rinunciare alla gioia del viaggiare, quell’Assoluto, al quale tutti
dedichiamo dolci ed infiniti pensieri,
ci è sempre venuto incontro. Il nostro Grande Maestro che ci è stato, e lo è
tutt’oggi, sempre vicino, intervenendo in silenzio, ha fatto in modo che questo
prodigio avvenisse puntualmente tutti gli anni. Quell’immaginetta presa in
India in quel bugigattolo di Bombay non si è mai allontanata dalla nostra vita.
Ci è stata sempre vicina, consigliandoci in silenzio quale fosse la strada più
giusta da imboccare.
Nel 1983 a Singapore, mentre rientravamo in Italia da un
lungo viaggio in sud est asiatico, nel quartiere indiano, ci trovammo proprio
il 23 novembre a festeggiare il Suo compleanno senza apparentemente saperne
nulla. Solo nel 1988 ebbi la fortuna di realizzare, dietro coincidenze e
sincronicità misteriose, quanto importante per noi è stato quell’incontro.
Un’altra storia da raccontare.
Nel frattempo, mentre continuavano le sedute spiritiche, e
gli incontri con i componenti del gruppo assumevano aspetti sempre più
coinvolgenti, aumentava la nostra dipendenza mentale nei confronti del Maestro
e delle ipotetiche entità che presenziavano le sedute spiritiche.
Allora ero talmente condizionato da non riuscire a prendere
nessuna iniziativa autonomamente. Chiedevo per ogni cosa consigli agli spiriti
guida e, per farlo, dovevo interpellare il Maestro il quale, tramite il medium,
li contattavamo e potevo esporgli i miei problemi.
Una vita non tanto bella.
La mia libertà lentamente stava decadendo in una subordinazione
assoluta.
Dovevo intervenire.
L’occasione, come sempre, scaturì appena i presunti “spiriti”
cercarono di impedirmi di affrontare il viaggio in Iran perché, secondo loro,
per noi sarebbe stato molto rischioso. Il medium insisteva nel trasmettere
questo messaggio ricevuto dal mio spirito guida.
“Bisogna rimandare il viaggio, partire a novembre sarebbe
stato molto pericoloso”.
Questo messaggio, per noi catastrofico, mi spinse con
fermezza alla ribellione.
Andai subito in libreria alla ricerca di libri che
riguardavano i fenomeni paranormali. Ne trovai diversi, specialmente conobbi
Allan Kardec il quale, da grande esperto spiritista, con i suoi libri, mi aiutò
moltissimo.
La Conoscenza iniziò a fluirmi dentro permeandomi corpo e mente.
Il Suo potere rigenera. Apre la mente e scioglie i grumi di
sangue che la ottundono.
Conoscenza è coscienza.
La differenza è solo nella nostra mente, ma realmente
entrambi sono i veicoli che conducono all’Assoluto.
Il risveglio della Coscienza avviene appena la Conoscenza
inizia a fluire in noi.
Così avvenne allora dentro di me.
Quei libri benedetti furono la mia salvezza.
Un grande coraggio interiore mi spinse a ribellarmi alle mie
stesse paure. La paura del paranormale, dello spirito guida che mi avrebbe
punito, paura del Maestro e del Medium che con i loro poteri avrebbero influito
sulla normalità della mia vita. Questo non potevo sopportarlo. Mi sarei
sottomesso a qualsiasi rinuncia, ma rinunciare al viaggio solo perché qualche
entità virtuale mi preconizzava pericoli disastrosi, qualora fossi partito…….questo
era troppo.
Da quel momento in poi le sedute spiritiche smisero di
svolgersi in un clima di tensione e di paura.
Entrò la conoscenza.
Entrarono i libri con tutta la loro carica rivoluzionaria.
Io e Pino prendemmo coraggio. Gli altri ci seguivano con
sgomento. Erano curiosi di conoscere gli eventi, dato che da quel momento in
poi ci permettemmo di criticare i messaggi del medium.
Contestavo qualunque messaggio. Chiedevo spiegazioni del
perché il mio spirito guida sta tentando di vietarmi quel viaggio, quando Lui
sa che per me e Pina è più importante di qualunque cosa. Mi sono sentito
tradito da quell’entità che ci consigliava “perentoriamente” di non partire
perché saremmo incappati in qualche pericolo devastante.
La paura a volte produce del bene perché fa tintinnare le
antenne, ma quando, tramite essa, si tenta di cambiare la storia, o il
carattere personale dell’individuo, allora bisogna ribellarsi.
Mi ponevo domande di ogni tipo, la più ricorrente consisteva nel chiedermi come mai, Lui sa quali
sono le mie passioni e che pur di difenderle rinuncerei a qualsiasi cosa, e
continua a ribadirmi di rinunciarvi?
Il futuro, per me che non ho mai creduto al destino, è
qualcosa che ci costruiamo momento dopo momento, ma soprattutto, ai nostri
livelli, specialmente quello umano, dove tutto non è ancora stabilito e tutto è
in fase di elaborazione, agire sul futuro e condizionarlo in funzione alla
gioia e all’Amore che ogni singolo individuo emana, diventa molto facile. Quel
futuro prevedibile scaturisce di volta
in volta dalle possibilità reali che abbiamo di scegliere liberamente ciò che è
più giusto fare. L’accadere di certe cose a discapito di altre dipende da noi, dall’intensità e dalla passione con la quale stabiliamo
e creiamo il nostro futuro.
La contestazione ormai occupava gran parte del tempo.
Stranamente in quel periodo la situazione stava entrando in
una fase del tutto nuova. Tutti sembravamo essere posseduti da piccole entità
che si divertivano a giocare con noi. Diverse volte mi sentii travolto da un
movimento interiore ed automatico, molto lento, che mi costringeva a mimare
atteggiamenti senza nessuna logica. Forse ero io stesso a spingermi,
compiaciuto, a mimare quelle movenze in modo così lento . Non posso confermarlo
con sicurezza. L’unica cosa che mi ricordo era l’intensità con la quale,
proprio in quel periodo, improvvisamente, succedevano quelle strane
manifestazioni.
La paura era scomparsa anche quando uno di noi, Ciccio,
sembrava essere posseduto da un’entità che lo rendeva violento e stranamente
diverso dalla persona tranquilla che era. Cambiava persino il tono della voce,
sembrava allungarsi e per il pauroso rantolare sembrava che stesse scoppiando.
Gonfiava e ansimava. Niente di definito, però si percepiva nell’aria qualcosa
di misterioso e di tetro. Stranamente non avvertivamo alcuna paura, a differenza di qualche settimana prima che sentivamo
il bisogno di stringerci attorno al Maestro per trattenere il terrore.
Ero uscito dal tunnel. Volevo solamente conoscere la Verità.
Più di una volta bloccai il tavolo a tre piedi mentre si muoveva reclamando la
Verità. Erano spiriti burloni o eravamo noi, istintivamente, con un riflesso
condizionato forse, a far muovere quel tavolo?
Mentre mi addentravo nella lettura dei libri, andavo assumendo
sempre più coraggio. Aumentava la fiducia in me stesso. Mi sentivo forte e
rinato. Libero. Tanto forte da scuotere l’esistenza del gruppo, difatti con
l’aumentare delle contestazioni, diminuiva l’influenza che queste entità
avevano assunto su di noi.
Coraggio. Liberazione. Felicità.
Intanto stava per arrivare novembre e il viaggio incriminato
era ormai prossimo. Il golfo Persico ci stava aspettando, e con un po’ di
fortuna saremmo entrati proprio in Irak.
Verso la fine di ottobre con Pina, accompagnato da Carmelo e
Barbara, in macchina andammo a Roma per prendere il visto. Un’altra pazza mini
avventura vissuta in due giorni sulle strade dell’Italia del sud tra rischi e
inni alla libertà. Il visto non ci venne concesso, però ci consigliarono di provare
al confine tra Iran ed Irak, ad Awhos, possibilmente lo avremmo ottenuto.
Il momento della partenza arrivò.
In macchina, a differenza di quel lontano ’69 quando con
Pino la percorremmo in autostop, attraversammo la Calabria alla volta di
Brindisi dove la sera dopo ci imbarcammo sulla nave per Patrasso.
Un bel viaggio, sereno e pieno di ricordi. La stessa nave
l’avevo presa tanti anni addietro……………era il 1969, mentre infuriava la
contestazione globale.
Era stracolma di tanti giovani con il sacco a pelo che
partivano a piedi in giro per il mondo.
Ci sdraiammo al sole, sul ponte, cercando di immaginarci le
meravigliose avventure che tra qualche ora avrebbero occupato la nostra mente.
Di corsa, appena sbarcati, verso Atene con la nostra mitica
R5 dove viviamo qualche giorno da
turisti appresso alle schiere di visitatori che scarpinavano verso l’Acropoli…………Salonicco
e poi Kabala, e poi verso il confine.
Il confine greco-turco lo attraversiamo di giorno, a
differenza di qualche anno addietro quando vi siamo arrivati al buio, in
autostop e stremati, e siamo stati costretti a dormire per terra, proprio alla
dogana, sommersi da nugoli di insetti.
Viaggiare in questi luoghi, specialmente in macchina, non è
solo una semplice passeggiata tranquilla e rilassante. Vi sono, oltre questa
pace, immensi pericoli, soprattutto su queste strade percorse da lunghissimi
camion che trasportano merce dall’occidente verso l’Iran.
Entriamo in Turchia e ne percorriamo in un saliscendi
continuo le sue strade sino ad arrivare
a Tekirdag…………..ed infine ad Istanbul.
Costantinopoli, la porta d’oriente.
Era affascinante. Un po’ rimessa a nuovo, ma sempre piena di
esotismo e di profumi intensi. Le varie moschee, Topkapi e il grande bazar,
rimanevamo mete indiscusse.
Quell’odore di oriente ancora, a malapena, perdurava
nell’aria.
Purtroppo un certo tipo di cambiamento La stava trascinando
tra i suoi vortici. La vecchia città di una volta stava transitando dalla
distruzione per incuria, ad una rinascita a vita nuova per placare le richieste
del turista occidentale.
Si stava vestendo di occidente, di apparenze e di nuove
aspettative.
Ne appurammo la triste transizione tanti anni dopo, nel
marzo del 2003, quando Vi ritornammo per una settimana. Era tutta un’altra
Istanbul. Non sembrava più la mia Istanbul. Si era vestita di nuovo, di colori
innaturali e di luci artificiali. Peccato.
Partimmo dopo pochi giorni, in parte delusi, imboccando la
strada verso oriente. Era meglio andare via, subito, per non farmi prendere
dalla nostalgia.
Meglio mettersi in macchina…………………e andare via.
Quando la nostalgia sta per arrivare bisogna subito cambiare
aria.
Aria nuova, e non c’è di meglio che sedersi in macchina e
spostarsi………anche di poco.
Improvvisamente tutto cambia. Cambiamo di umore anche noi e
la gioia riprende a fluirci dentro in
modo naturale.
Uscire da Istanbul non è stato tanto facile.
Le macchine erano già tante e le segnalazioni stradali erano
inesistenti. Bisognava darsi all’intuito ed avere una buona dose di fortuna.
Questi due ingredienti, in questo viaggio, li abbiamo quasi sempre avuti
accanto. Se non fosse stato per l’impianto di riscaldamento che senza alcun
motivo, già sin da Brindisi, si inceppò, tutto sarebbe andato liscio sino alla
fine.
Era già buio da un bel po’ quando arrivammo ad Ankara.
Preferimmo non entrare in città e rimanere a dormire in macchina così all’alba
saremmo partiti alla volta della Cappadocia attraversando l’Anatolia centrale per visitare la
meravigliosa valle di Goreme con le sue sorprendenti chiese rupestri piene di
affreschi dell’XI e XII secolo ricavate nel tufo vulcanico.
Era una notte molto fredda e, in macchina, il freddo, pur
essendo imbacuccati con tutto ciò che avevamo, coperte e sacco a pelo sulle
gambe, sciarpe al collo, berretto in testa e guanti di lana alle mani, era
molto intenso. Ci stringemmo il più possibile per riscaldarci e via……..cercando
di chiudere gli occhi.
Una notte di inferno.
Il gelo aveva avviluppato l’intera macchina. Dormire con
quella temperatura bassissima era da pazzi, si decise quindi, dopo qualche ora,
di ripartire.
Assurdo!!
Un lieve strato di ghiaccio, dovuto al nostro respirare, si
era condensato sul vetro. Sembravamo dentro un iglò. I tergicristalli erano bloccati dal ghiaccio, gli sportelli
non si aprivano e i finestrini erano bloccati dal forte freddo che condensava
la minima forma di acqua. Fortunatamente la macchina si mise in moto, ma
guidare in quelle condizioni era impossibile.
Buio completo. Bisognava scrostare il ghiaccio dal vetro.
Come fare!!!
Mancava una fonte di calore per scioglierlo, dato che la
stufa era fuori uso. Pensammo di bruciare un po’ di carta sperando che con il
calore si aprisse uno spiraglio per poter riuscire almeno a vedere qualcosa.
L’impresa riuscì a malapena.
Poggiai gli occhi sul vetro e lentamente mi spostai.
La salvezza arrivò dopo qualche ora con l’arrivo della luce
e con l’avvento di un Sole rigenerante. Assieme al ghiaccio si sciolse anche quel
gelo di paura che ci era calato addosso. Eravamo salvi grazie al calore di un
Sole che non ci aveva dimenticati.
Lo ringraziammo profondamente……e via.
Musica, allegria e fiducia.
Ancora oggi, quando
ricordo quei momenti, mi viene il brivido.
Eravamo inesperti e presi dalla voglia di andare avanti. Non
contemplavamo assolutamente la possibilità di fermarci un po’ per fare il punto
della situazione, volevamo solamente andare avanti….avanti, correre sulla
Strada perché il desiderio di scoprire cosa vi fosse aldilà era incontenibile.
La valle del Goreme era un miracolo Divino in cui si
sublimavano insieme la bellezza della natura e la prodigiosità dell’Uomo. Si
integravano perfettamente. Colline svuotate e bucherellate per ricavare rifugi e luoghi di preghiera. Tutto
un sistema di cunicoli comunicanti dove vi si raccoglievano gli uomini di
allora per proteggersi da altri uomini e dal clima.
Il freddo della notte precedente lo avevamo dimenticato,
tanta era l’ammirazione con la quale ci guardavamo intorno.
Mentre ci stupivamo, spostandoci con la macchina da una
collina all’altra per ammirare queste guglie naturali, improvvisamente ci
insabbiamo. Smettiamo di sognare con
prepotenza e subito rientriamo nella realtà.
Cerchiamo di spingere la macchina, ma nulla fare. Pina,
allarmata, si allontana di corsa per raggiungere la strada principale cercando
di chiamare qualcuno. Passa del tempo e poi arriva con i rinforzi su di una
moto. Ci mettiamo a spingere con grande lena e poi……………si riparte.
Si prosegue verso Kaisery, Sivas, Erzincan alla volta di Erzurum, verso il confine
iraniano.
La Turchia ci rimane alle spalle con tutte le sue meraviglie
e i suoi infiniti pericoli. La Strada era il vero pericolo. Su di essa si
spostava qualunque mezzo di locomozione, a partire dai carri trainati dagli
asini ai bimbi che scorazzavano su quella scia di asfalto spingendo con i piedi
i loro piccoli carrettini. Biciclette e moto sgangherate, autobus fatiscenti e greggi
di pecore vi camminavano su facendo aumentare i pericoli. Poi vi erano questi
famosi TIR, lunghissimi e snodabili, che riempivano entrambi le corsie,
lasciando dietro di sè scie di polvere altissime perché gran parte di quelle
strade non erano asfaltate.
Ingaggiavano tra di loro furenti corse e spesse volte lasciavano
per strada qualche corpo umano sfracellato. Carcasse maciullate di capre e di
mucche erano sparpagliate lungo tutta la strada assieme ai tanti scheletri
arrugginiti di camion precipitati lungo le scarpate. L’unica salvezza era fermarsi, lasciarli
andare avanti per evitare la polvere e poi ripartire.
Vi era tanto freddo, anche di giorno, quindi ci fermavamo
continuamente per riscaldarci con un the in una delle tante spelonche che si
trovavano ai bordi della strada. In mezzo la stanza vi era sempre una stufa a
legna mantenuta accesa con pezzi di copertoni di ruote. Il calore era soffocante,
figuriamoci la puzza e il fumo nero che uscivano all’esterno dalla ridotta
canna fumaria a quali livelli di inquinamento erano.
Mangiammo molto riso, tanto the, e grosse caciotte di
formaggio di capra accompagnate da piccole focacce con cipolle, tanto
rassomiglianti al ciapati indiano.
Arrivammo al confine all’imbrunire.
La frontiera si contraddistingueva da un vecchio portone in
legno che veniva chiuso appena si faceva buio lasciando dall’altra parte, nel
nulla, lo sfortunato viaggiatore. Era lo stesso che attraversai qualche anno
prima mentre ero diretto in India.
Le formalità doganali furono semplici e subito ci spostammo
al vicino villaggio di Maku per cercare
da dormire.
Le zone di frontiera sono sempre stati posti infelici. Assieme
alla droga e al contrabbando circolano avventurieri, tagliaborse, ladruncoli da
quattro soldi e tanti cambia valuta. Bisogna stare molto attenti perché ogni
volta si prende una fregatura sempre diversa, quindi le possibilità di
proteggersi dipendono esclusivamente dal tuo intuito e dal non dare fiducia a
nessuno.
Suscitare pietà è il metodo più usato da chi vuol vendere
qualcosa.
La polizia ci consigliò di andare a dormire in una casa di
un loro conoscente. Non l’avessimo mai fatto. Stette tutta la notte con il viso
spiaccicato sul vetro opaco della porta a guardare Pina. Era molto curioso. Per
loro, la donna occidentale suscita un
interesse morboso dovuto al modo di vestire diverso dalle loro donne.
Addirittura sulla guida si leggeva di stare attenti ai maschi iraniani perché
cercavano di tastare il di dietro delle donne.
Di quella notte mi rimane impresso nella mente un rumore
assordante di acqua che precipitava da un alta montagna. L’abitazione era
sistemata ai bordi di un precipizio dove in basso scorreva impetuosamente un fiume.
Partimmo di buon mattino alla volta di Tabriz e subito le
prime tende kurde ci apparirono in un incanto sconvolgente. Entrammo in tante
di queste tende per ammirare l’arte del tappeto persiano costruito a mano e ci
siamo sopratutto meravigliati per come da simili tuguri, sporchi e fumosi, potessero
nascere opere di così alta raffinatezza.
La strada per Teheran era affascinante per la sua
desolazione. Mi ricordo di aver visto
pochi alberi, nessuna vegetazione e pochissimi villaggi lungo i 1200 km che ci separavano dal confine.
La piccola R5 procedeva con determinazione senza mai
accennare ad un guasto. Era ancora in ottime condizioni e l’unica cosa che
dovevamo fare era cambiare l’olio e controllare il livello dell’acqua, per il
resto tutto andava da se.
Questa stessa strada l’avevo percorsa nel ’71, quindi era
come se fossi di casa. Niente mi creava fastidio. Accettavo qualunque cosa con
serenità. La fatica, il sonno ed il freddo facevano parte del viaggio.
Bisognava accettare tutto e condividere con gioia
l’immensità di quella natura. Nei millenni queste stesse strade sono state
percorse da orde di guerrieri, da mercanti e da avventurieri, ed ognuno ha
lasciato qualcosa di sé.
Mentre la macchina scivolava silenziosa verso la meta, ai
bordi della strada apparivano e scomparivano visioni da sogno. Fiumi gelati,
montagne di rocce consumate dalle forze della natura, gallerie scavate nella
viva pietra trasudanti di acqua e al
buio, ponti in legno logoro sostenuti da cavi di acciaio, miseri villaggi di
creta protetti da orde di cani famelici, nuvole di polvere e TIR
internazionali, lunghi, coloratissimi e rumorosissimi, gruppi di avvoltoi che
scarnivano i resti di animali maciullati dai camion.
Era normalissimo assistere a queste scene.
Teheran arrivò dopo qualche giorno.
Una città enorme, non molto interessante. Tra pochi anni
sarebbero arrivati gli Ayatollah e molte cose sarebbero cambiate. Il regime
dello scià aveva scelto la via occidentale e, allora, mi ricordo, erano pochi i
richiami alla grande religione islamica. Vi erano molti occidentali,
soprattutto americani, che studiavano nelle sue università. Si stava tentando
di agganciare quel mondo, ancora molto legato alle sue tradizioni culturali e
religiose, al nostro mondo.
Fu un grande errore.
La civiltà di altri popoli non si può esportare dall’oggi al
domani senza passare prima per un lungo processo di crescita e di cambiamento.
Da questa forzatura sono nati molti dei movimenti
integralisti che negli anni a venire hanno riempito di sé e di stragi la storia
contemporanea.
Partimmo qualche giorno dopo per Isfahan, la perla della
Persia, passando da Qom, la città sacra.
Dall’alba al tramonto abbiamo percorso i 500 km che ci
separavano dalla città. Le strade da quelle parti erano in ottime condizioni,
quindi spingemmo un po’ sull’acceleratore per arrivare prima che facesse buio.
Non ricordo dove abbiamo dormito ad Isfahan, però la
bellezza orientale da mille e una notte
delle sue moschee mi è rimasta impressa nella mente. Il nuovo bazar stava
proprio sotto gli androni di una di queste moschee dalle cupole intarsiate. I
minuscoli suk che popolavano il bazar esponevano le proprie mercanzie disposte
in un ordine insolito in questi luoghi. Nessuno mai, mi ricordo, ci chiamò per
convincerci a comprare qualcosa. Vi era molta alterigia e superbia, dovuta
forse alla grande storia che avevano dietro le spalle. Accanto vi era la scuola teologica immersa in
un vero paradiso, lontana dal caos. Si studiava la lingua sacra araba e si
interpretava il Corano.
Un luogo fuori dal tempo.
Pina era affascinata. Ci sentivamo grandi per l’impresa che
stavamo vivendo, ma nello stesso tempo risaltava la nostra piccolezza di fronte
a simili meraviglie. Sarebbe stupendo vivere in simbiosi con gli splendori
della natura. Sentirsi ogni tanto non parte della natura, ma natura stessa.
Vivere senza aspettarsi nulla, senza pensare ad un mondo migliore dove vivere
perché quello in cui ci troviamo è già perfetto così come è.
Partiamo per Shiraz in mattinata.
Ci separavano altri 500 km e non volevamo perdere la visione
della meravigliosa Persepolis che stava proprio vicino Shiraz.
Durante la strada ci siamo fermati diverse volte ad
ammirare colorati mercati in cui si
vendevano animali. Si scambiavano soprattutto pecore, capre ed asini, gli unici
animali che si incontravano da queste parti.
Nei nostri viaggi il mercato locale è stato sempre un luogo
in cui incontrare popoli e tradizioni molto colorati. Spesse volte abbiamo
deciso gli itinerari dei viaggi tenendo conto di questi mercati. Negli anni,
aumentando le richieste del turista, da semplici scambi paesani in cui ci si
incontrava per trattare acquisti di animali o barattare qualche merce inutile
con sementi particolari, sono diventati grandi ricorrenze settimanali,
addirittura da inserire nelle guide turistiche come il mercato indigeno di
Sasquisili in Ecuador il giovedì, o quello di Tarabuco in Bolivia la domenica, o
a kasghar sulla via della seta in Cina la domenica, o a Antananarive quello di Zoma
in Madagascar, nello Yemen dove tutti paesi sono piccoli mercati pieni di folklore
e di colori, il mercato galleggiante di Bankog o quello di Chichicastenango in
Guatemala…..o in Birmania sul lago Inle.
Persepolis era distesa in una valle circondata da alte
montagne di roccia dove vi erano scavate le tombe dei famosi Ciro, Serse e
Ataserse.
Entriamo trionfalmente con la nostra renault 5 percorrendo
la striscia di asfalto che attraversava gli ultimi ruderi dell’impero persiano.
Rimanevano solo poche colonne in piedi perché, a parte l’uomo che nei millenni
l’ha depredata, era stata distrutta da forti scosse telluriche.
Un archeologo restauratore pisano, che lavorava sul luogo,
ci istruì sulla storia e ci mostrò in lontananza le varie tombe dei grandi eroi.
Una meravigliosa opera umana in perfetta armonia con la natura circostante.
Bisognava in parte arrampicarsi sulla montagna per poter accedere alle tombe.
Dall’alto Persepolis si dispiegava nella sua grandiosità.
Era circondata dal deserto e da enormi statue che la proteggevano.
Gironzolammo estasiati tra quelle rovine millenarie che
avevano segnato in parte anche lo sviluppo della nostra storia.
A quel tempo, era il 1975, la città era calpestata da pecore
e da asini in competizione con enormi lucertole che scorazzavano liberamente
facendoci sobbalzare dalla paura.
Da poche ore era ritornato il caldo. Ci trovavamo nel sud
verso il deserto del Belucistan e nei pressi del Golfo Persico. Già i fumi
inquinanti dei pozzi petroliferi infettavano l’aria di un odore di guerra.
Erano gli ultimi anni di pace, perché da li a qualche anno il terrore
occidentale per appropriarsi delle risorse energetiche avrebbe creato le
condizioni oggettive per scatenare una delle guerre più sanguinose della
storia.
Negli anni futuri siamo stati tanto capaci da creare fondamentalismi
e terrorismi vari per poi poterli condannare ed ergerci a salvatori che portano
la civiltà e la libertà. I paladini di questa grande impresa sterminatrice sono
i vari governi americani che negli anni si sono succeduti.
Sangue in cambio di petrolio. Questo è stato l’emblema che
ha caratterizzato il nostro amato mondo occidentale………………
La stupenda Shiraz stava proprio li, a proteggere questo
mondo apparentemente tranquillo. Le sue fantastiche moschee dalle cupole blu ricolmavano
l’aria circostante. Anche noi ci siamo sentiti presi, ammaliati da queste
grandi opere dove la pace e la ricerca per la verità sono stati nei secoli gli
unici obbiettivi da perseguire.
Solo qualche giorno e poi via, altre mete da raggiungere e
da incamerare. Si sarebbero confuse con tutte le altre mete raggiunte negli
anni passati creando concentrati di “meraviglie” dentro di noi.
Riempiendoci di belle immagini si può dare un senso alla
propria vita. Esplode proprio dalle cose che inseriamo dentro di noi l’anelito
verso la luce. Bisogna creargli le condizioni interiori per esplodere.
Assimilare Amore per proiettare Amore.
Non per forza debbono essere azioni positive, possono
benissimo essere una serie di visioni “meravigliose” a suscitare e a
risvegliare in noi il desiderio della conoscenza e l’aspirazione verso Dio.
Costeggiamo il Golfo Persico sino ad Awoz, la mitica Susa,
cerchiamo di procedere verso Abadan, in Irak, ma la strada ci viene proibita
perché non eravamo in possesso del visto di ingresso, consentito solo a chi andava
per lavoro.
Niente da fare. Il vagabondo non è accettato da queste
parti.
Sfuggita quest’occasione in futuro non mi è stato più
possibile avvicinarmi in questi luoghi. Solamente tanti anni dopo, mentre
viaggiavo da Damasco ad Amman si è ripresentata l’occasione, ma, anche
quest’altra volta, per i motivi che tutti conosciamo, non è stato possibile
entrare in Irak.
Dovevamo attraversare il Kurdistan iraniano, una zona disabitata, con pochissime strade asfaltate,
con il continuo pericolo di essere sommersi da qualche frana dovuta allo sfaldamento delle montagne
circostanti.
Dezful, Khorramabad, Hamadan e via sino a Tabriz e poi in
Turchia cercando di spostarci fino al confine Armeno per vedere il biblico
monte Ararat.
Diverse volte siamo stati costretti a fermarci per riparare
le gomme e in diverse occasioni siamo rimasti fermi per ore ad ammirare la
transumanza delle carovane Kurde mentre scendevano dalle montagne innevate alla
ricerca di pascoli verdi in pianura.
Pina era ipnotizzata da questo spettacolo così diverso, così
inusuale, specialmente per noi occidentali che di queste scene ne avevamo solo il
sentore tramandatoci da qualche libro di
avventure fine 900.
Le interminabili carovane erano sempre delle apparizioni.
Scendevano dai monti, impolverati e infreddoliti, trasportando con sé tutti i
loro averi. Bambini avvolti in indumenti di lana coloratissimi, mercanzie varie
che traboccavano dalle gerle disposte ai fianchi degli asini, infinite mandrie
di capre, di pecore e di montoni guardati a vista da grossi cani e da pastori
kurdi.
Le montagne kurde contrassegnavano un mondo a parte. Già i
mitici nomi delle varie regioni che attraversavamo esaltavano la nostra
fantasia………bakhtaran, Kurdistan, Zanian, Lorestan e poi, dopo aver attraversato
Tabriz…..Nagorno Karabak, Azerbaijan, Armenia e poi ancora, dopo
Erzurum……….monte Ararat, lago Van e via di corsa, nuovamente ad Ankara dove
stavolta ci fermiamo qualche giorno per visitarla.
La strada del ritorno era
coperta di neve.
In poche settimane era sceso il grande freddo. Le mandrie si
spostavano continuamente alla ricerca di cibo e i mandriani, scalzi e
infreddoliti, con lunghi bastoni tra le mani, cercavano di raggruppare tutti
gli armenti in modo che il loro stesso calore potesse proteggerli dalla morsa
del freddo. Le strade erano piene di neve sciolta che, mischiandosi con la
terra, creava una poltiglia di fango dove slittare era molto facile.
Dovevamo prestare tanta attenzione.
Tra i grossi camion che arrancavano a fatica in quelle ripide strade
di montagna, emettendo fumi puzzolenti, cercava di farsi spazio la nostra
piccola macchina nella speranza di effettuare il fatidico sorpasso liberatorio ………………ma
era impossibile e decisamente pericoloso. I camionisti dal finestrino ci
indicavano il momento giusto per sorpassare, ma, veramente, non mi fidavo
molto.
Forse quello era il momento di abbandonarsi ai loro segnali,
di avere fiducia, ma non riuscivo ad averne…..erano stati tanti gli incidenti
mortali che avevamo visto lungo quelle strade. Quelle poche volte che mi sono
fidato, buttandomi a capofitto in un sorpasso al buio, ne sono uscito con il
cuore in gola e con una scarica di adrenalina altissima.
Guidare in questi luoghi è come camminare su un filo di lama.
La minima disattenzione comporta una sicura morte. Anche se si preme sul
clacson con ostinazione o si lampeggia
con prepotenza, il rischio di finire in un burrone rimane molto alto. Il
sorpasso per loro è un gioco, si inseriscono all’impazzata nei più piccoli
spazi tra un camion e l’altro tenendosi sempre pronti, col piede
sull’acceleratore, a buttarsi in un nuovo sorpasso. Tutto il giorno così.
Massima attenzione e assoluta decisione nel superare il mezzo che al momento rallenta l’avanzata verso casa.
La vita, vista dalla loro parte, non sembra essere molto
importante.
Il gioco della vittoria è molto stimolante, fa diventare
eroi anche gli incoscienti………..anche un autista di un camion o di un autobus può
vivere momenti di gloria. Piccoli personaggi che nel loro piccolo mondo
diventano grandi miti da rispettare e, quanto prima, da emulare.
Un eroe dopo l’altro, una vittoria, una piccola conquista
vissuta in prima persona sulla strada. In questo modo la stessa vita si
compiace e crea le condizioni per uscire da quella scoraggiante solitudine dovuta
al grande silenzio che ci vive intorno.
Ripassiamo il confine con la Turchia e ci dirigiamo verso
l’Armenia per cercare di intravedere il mitico monte Ararat. La strada ci viene
vietata perché rientra in quelle tristi zone militari invalicabili.
Ad Ankara passammo qualche ora da incubo.
Dopo aver lasciato Pina in un hotel ed io da solo parto alla
ricerca di un parcheggio, che trovo solo dopo diverse centinaia di metri, al
ritorno non riesco più ad orientarmi. Giro per ore a piedi disperato, alla fine
prendo un taxi e lo costringo a girare l’intera città alla ricerca dell’hotel
perduto. Solo dopo tante ore riesco a trovarlo, nel mentre Pina si era
consumata dal pianto e dalla disperazione.
Ripassiamo da Istanbul fermandoci qualche altro giorno e
poi, attraverso la Bulgaria innevata partiamo alla volta di Dubrovinic.
Al confine tra la Turchia e la Bulgaria caricammo sulla
macchina un austriaco mezzo assiderato. Sperava di trovare un po’ di tepore,
invece trova una macchina congelata
simile ad un freezer ambulante.
Era con un paio di sandali senza calze, con pochi indumenti
pesanti, quindi lo coprimmo dandogli una coperta. Spinto dal grande freddo
comprò un barattolo di miele
trangugiandolo a grandi sorsate. Gli si infiammò la gola e lo costrinse a
rimanere con la bocca spalancata per un giorno intero.
La solita polizia bulgara ci bloccò tre volte per la strada
e ogni volta ci ritirava i passaporti adducendo motivi inesistenti, quali alta
velocità, guida a fari spenti e sorpasso in curva, per multarci. La rabbia era
alle stelle. Nessuno si poteva permettere di rubarci in questo modo i soldi.
Era talmente indecente il comportamento di questi poliziotti che alla fine
aspettammo il buio per avviarci verso la frontiera Jugoslava.
Un'altra volta, era novembre del 1987, in Gambia, quella
striscia di terra che si insinua dentro la terra senegalese, avevamo preso in
affitto una renault 12, ebbene, anche allora, la polizia per ben due volte,
senza alcun motivo, ci ritirò il passaporto perché, secondo loro, avevamo commesso
delle infrazioni stradali e minacciati di essere tradotti in un processo
istantaneo se non avessimo pagato subito
una certa somma di denaro.
Succede sempre così in questi paesi. I rapporti con polizia
sono sempre segnati dalla corruzione, dalle minacce e dalla paura. Ne potrei
raccontare a decine. L’unico modo è pagare se si vuole continuare il viaggio.
Vorrei sapere se anche i potenti o i vari partecipanti a
gite organizzate di lusso vivono questi problemi……….per non parlare poi dei
controlli continui e umilianti subiti in ogni dove dalle forze dell’ordine che
cercano droghe varie.
A volte ci chiediamo perplessi…….ma perché viaggiamo?
Quante volte ci siamo sentiti sfiduciati, e quante volte
abbiamo tagliato dalle nostre mete diversi paesi……..e quante volte,
puntualmente vi siamo ritornati per rivivere la gioia delle emozioni stupende
che abbiamo avuto con la gente del luogo?
In Jugoslavia attraversammo parte della Serbia, del Kossovo,
del Montenegro e della Croazia. Allora ancora questi paesi erano uniti,
nessuno, a quel tempo, poteva prevedere le tragedie e i genocidi che negli anni
novanta vi si sarebbero perpetrati. La fine della dignità umana.
Con l’austriaco abbiamo avuto problemi alla frontiera perché
non possedeva nemmeno un soldo e non volevano farlo passare. Ci facemmo carico
noi fino a Dubrovinic, poi si sarebbe dileguato in quel meraviglioso paese.
Piovve tutto il tempo, vi era freddo e ghiaccio quindi
camminare di notte su quella montagne era veramente pericoloso. Fortunatamente
ci accodammo ad un pulmino di locali e assieme a loro affrontammo la grande
traversata.
A Dubrovinic splendeva il sole, ed in lontananza si sentiva
già il fischiare della nave che stava per partire. In fretta acquistammo il
biglietto e subito dentro……
Eravamo molto stanchi, avevamo dormito pochissimo ed eravamo
sfiniti dal sonno. Salimmo sul ponte a cercare una poltrona. Erano tutte vuote
perché la nave trasportava pochi passeggeri. Vi erano dei cacciatori italiani
che ritornavano con pulmini congelatori pieni di selvaggina. Gli sterminatori
del XX secolo. Dopo aver distrutto la fauna in Italia, si apprestavano a
distruggerla anche negli altri paesi.
Li guardammo con tristezza, pensando alla loro malvagità e
alla sofferenza che generavano in questa nostro Pianeta.
Il viaggio era finito. Bisognava rientrare subito a casa
perché avevo preso degli impegni di lavoro ancora prima di partire. Non potevo
esimermi da simili obblighi, il nostro futuro, almeno in quel periodo,
dipendeva dal mio lavoro. Avevamo percorso quasi 11.000 km in condizioni
stradali pessime e grazie alla macchina e alla nostra passione per il viaggio
non successe nulla di grave.
Il futuro per noi riservava tante altre avventure per le strade
del mondo, e dovevamo prepararci, dovevamo desiderare con presenza mentale le
cose che amavamo fare, pensare sempre al prossimo viaggio in modo da creare la
realtà ancor prima che arrivasse il momento della partenza, alimentandola con
forme di pensiero pertinenti.
Da Bari ci fermammo un giorno nei pressi di Alberobello, le
grotte di Castellana e Fasano. Il solito giro classico per turisti ordinari.
L’unica cosa che ci distingueva era la mia barba, l’aspetto trasandato e
l’indecifrabile colore della macchina che da bianca era divenuta grigio fango.
Motta stava per prepararsi alle feste natalizie.
Le strade erano colorate e le luci stavano per risvegliare
dal buio la piccola comunità. Le bische clandestine erano già in movimento ed in
tante case ci si riuniva per giocare a carte e nel frattempo si poteva pettegolare
in libertà.
Io avevo ripreso con le sedute spiritiche, seppure con una
visione diversa e con un grande coraggio ritrovato. Spesse volte le sedute le
abbiamo fatte dentro casa nostra sfidando le ire e le paure di Pina.
Sconoscevo i pericoli che si incontrano seguendo questa
strada, principalmente le energie che si scatenano e le forme di possessione
che vengono facilitate dalla nostra paura.
Fortunatamente allora ero già nel cuore del mio Maestro che
a mia insaputa, ne sono sicuro, mi stava indirizzando verso la giusta strada.
Non potevo sbagliare.
Anche se nel mio conscio
mi muovevo nell’inconsapevolezza più evidente, l’inconscio ne era già a
conoscenza. Preavvertiva l’avvento di una grande luce che in futuro avrebbe
ravvivato la mia vita, e lentamente mi stava preparando a questo meraviglioso
momento.
Possedevo già la piccola immagine presa in India nel ’71,
quindi qualcosa di reale a cui agganciarsi la tenevo nel mio cuore.
L’inconscio contiene il passato, il presente e il futuro. Compone
questi tre contenitori mischiandoli, elaborandoli e ne immagina i futuri
risvolti empirici che coinvolgeranno colui che li contiene.
Non è un
destino prestabilito a priori da forze superiori che non permette vie di
scampo, ma è un destino che cammina, è qualcosa che si costruisce sulle tante
possibilità che abbiamo di scegliere o di rifiutare. Quindi anche se
nell’inconscio risiede la conoscenza di ogni cosa, perché ogni cosa esiste già sin
dall’eternità, rimane sempre quel senso di libertà che è la caratteristica
essenziale dell’Uomo.
La meravigliosa avventura dell’amico Nuccio Guarnera attraverso un lungo e itinerante vagabondare, dalla Germania all’India.
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