sabato 26 ottobre 2013

VIAGGIANDO COMUNQUE 2° PARTE - ...Insieme siamo cresciuti ed insieme stiamo ancora comminando.



VIAGGIANDO COMUNQUE 2° parte

Ecco la seconda parte di questo meraviglioso vagabondare  per il mondo di Nuccio e Margherita ( Pina)
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…entra nella scena della mia vita l’immagine meravigliosa della mia Pina. Una presenza essenziale, illuminante e rasserenante.
La timida condivisione iniziale è andata amplificandosi e amalgamandosi negli anni.
Insieme siamo cresciuti ed insieme stiamo ancora camminando.





INTRODUZIONE


“Viaggiando…….comunque (2)” ripercuote altre tappe della mia vita.
La prima parte andava dal giugno ’71 al giugno ’72, queste altre pagine vanno dal luglio ’72 al dicembre ’75.
Altre storie…..ma sempre di viaggi.
Altre avventure……ma sempre in ascesa verso il risveglio di quella luce che ci vive dentro.
Già dalle prime pagine entra nella scena della mia vita l’immagine meravigliosa della mia Pina. Una presenza essenziale, illuminante e rasserenante.
La timida condivisione iniziale è andata amplificandosi e amalgamandosi negli anni.
Insieme siamo cresciuti ed insieme stiamo ancora camminando.

Stavolta non mi sono valso dell’aiuto di nessuno per quanto riguarda la correzione. Ho preferito fare tutto da me, consapevole che gli errori di sintassi e le ripetizioni , a volte ossessive, sarebbero state tante.

Questo lungo viaggio ancora continua. Il Pianeta Terra non mi ha ancora stancato. Sento il bisogno di assaporarLo nella Sua interezza, così come è, ma soprattutto sento l’obbligo di proteggerL0 nella Sua Purezza.

………………..parlo di avventure intorno al mondo, di infinite corse lungo le strade del mondo e di prodigiosi amori che, partendo dalle piccole cose che mi vivono accanto, si sono riversati sull’intera comunità umana.

Buona lettura…………….e buon viaggio.


nuccio guarnera                                                    27 maggio 2008



VIAGGIANDO……………COMUNQUE   (2)



     Rientro in paese ai primi di luglio   e ritrovo la stessa situazione di prima. L’insormontabile ostacolo dal quale ero fuggito qualche settimana prima, non si era per niente rimpicciolito. Rimaneva ad attendermi in un angolo della mia mente per essere sempre pronto ad esplodere appena avrei rimesso piede in paese.
In effetti, la mente stessa, quella mente che mi aveva regalato qualche altro giorno di proroga, convincendomi ad andare a Mosca,  lo riproponeva al mio cospetto con tutta la serietà della situazione.
Era il momento di decidere cosa fare…………………e non potevo assolutamente esimermi o decidere da solo……………………….. insieme!!!!!!!!!
Insieme dovevamo affrontare la realtà del momento ed insieme, con grande maturità, decidere cosa fare del nostro futuro. Eravamo molto  immaturi ed entrambi, credo, non eravamo convinti e felici di scegliere se portare sino in fondo la gravidanza……………..però!!!
PERO’!!!!!!!!!!!!!!!!!
Un però  enorme………………...grande quanto il mondo intero.
………………..rischiavamo di stravolgere la bella vita che  vivevamo ognuno nella propria realtà abbandonando i naturali sogni giovanili e  cominciare a mettere i piedi per terra, per capire che non saremmo  stati più  da soli, che le decisioni da prendere da quel momento in poi le avremmo dovuto prendere in due…………………e non era facile.
Allora sconoscevo le stupende opportunità  che la vita in coppia dona  a coloro che, in armonia e spinti dall’amore, decidono di vivere insieme….anche se, nel nostro caso, la scelta è stata forzata.
Un PERO’ pieno di responsabilità……………un “però” condizionato dall’ambiente……. pesante………che non lasciava spazio…………..un “però” che ci imponeva a non scuotere le regole sociali…………….per accettarle in sommesso silenzio.
Un PERO’ che alla fine……………..ci fece scegliere di  camminare insieme sulla stessa strada.
……………………e meno male!
E’ stata la scelta più giusta e più bella della mia vita.

Allora ero veramente impaurito.
Il futuro per entrambi non sembrava molto roseo. Io non lavoravo e non sapevo fare nulla………….riuscivo solamente a viaggiare. Lei andava ancora a scuola e l’unica cosa che sapeva fare era…………….sognare. Con tutto ciò decidemmo di camminare insieme per affrontare l’ardua impresa della vita di coppia.
I nostri incontri allora, anche se la situazione incalzava, non avvenivano con frequenza, e non potevamo affrontare l’argomento con serenità. Sapevamo di fare questo passo insieme, ma non sapevamo come farlo…………..e quando farlo.

Lei in quel periodo era alle prese con gli esami di Stato. Non riusciva a concentrarsi sullo studio e rischiava veramente di non superarli.
La tensione era insostenibile e bisognava  decidere presto………………………….

Cosa fare?!
Il solito dilemma di chi deve affrontare qualcosa di importante non avendo niente di consistente tra le mani.

Chi eravamo noi per avere la certezza di non sbagliare?
Quali sicurezze materiali e quale forza interiore possedevamo allora per poter decidere in serenità quale fosse la strada più giusta e più felice da percorrere?!
Scegliere per noi era veramente un problema. Un grande dilemma.
Io vagabondo………………..…Lei sognatrice.
L’unica cosa certa, che ci legava, credo, era l’Amore.
Io mi sentivo attratto verso di Lei………………ed ero pazzo.
Incoscientemente, ricordo, ero felice perché pensavo che finalmente l’avrei potuta avere sempre accanto.

La svolta arrivò quando si presentarono Orazio e Maria  invitandoci a partire con loro su un furgone 238 della Fiat, in giro per l’Europa.
Il viaggio, ancora una volta, mi aiutò nel trovare  la  soluzione migliore al problema.
Ne parlai con Pina e decidemmo di fare il grande passo appena Lei avrebbe finito con gli esami.

La “fuitina” in un paese piccolo come il nostro, per giunta in Sicilia, è servita da sempre a risolvere questioni spinose mettendo tutti di fronte al fatto compiuto.

L’occasione era veramente da non perdere, difatti cogliemmo l’attimo senza pensarci due volte. Questa nuova grande avventura, che avrebbe cambiato la mia vita…………….oggi posso affermare con assoluta certezza in meglio……………..
iniziava sotto l’auspicio meraviglioso dell’arrivo di una creatura che sarebbe stata tutta nostra.
Bisognava andare via………………subito…………………..

Gli ultimi esami li sostenne il 21 di luglio  e noi, quella stessa notte, partimmo insieme per vivere la PIU’ GRANDE AVVENTURA DELLA NOSTRA VITA.
Racimolai qualche soldo, preparai il solito amato zaino e lo portai da Orazio per caricarlo sul furgone.

Cosa stavo per fare!!!!!!!!!!!!!
Potevo benissimo partire da solo, abbandonare l’impresa ed andare via………………….lontano. Un simile pensiero non  mi balenò mai per la mente. Ero troppo innamorato di quella ragazzina che in futuro si dimostrò una ragazza forte, capace e amante dei viaggi più di me. Possedeva tutto ciò che desideravo trovare nella donna della mia vita………………e non mi sbagliai.
Ci eravamo cercati, abbiamo camminato accanto a lungo e finalmente le nostre strade  stavano per incrociarsi per diventare UNO realizzando  insieme IL NOSTRO FUTURO.

Un presente che è frutto inconsapevole di scelte attuate in un passato remoto. Il legame indissolubile che esiste tra passato-presente-futuro non è una semplice dissertazione  filosofica. Ogni cosa è così perché noi l’abbiamo voluta così. Come progettiamo un viaggio tanto tempo prima e poi miracolosamente si realizza, così dovremmo credere nella possibilità reale di progettarci la nostra vita futura.
Qualunque cosa, dal male alla gioia,   dalla tristezza al sorriso, deve essere vissuta con la consapevolezza che  noi, in prima persona, abbiamo collaborato affinché si verificasse tutto così come è.
Quel giorno, io e Lei, dovevamo per forza scegliere di vivere insieme…… perché, insieme, per anni, per secoli forse, abbiamo seminato semi nello stesso campo.
Questi semi quel 3 giugno del ’72 si sono fusi in un abbraccio vitale divenendo UNO, creando i presupposti per costringerci a prendere la  “giusta” decisione…..difatti il 21 luglio dello stesso anno prendemmo l’affascinante  decisone di andare a vivere insieme.

Fu proprio così.
Lei, quella sera, lasciò la Sua casa per venire a vivere con me.
A vivere con me!!!!!!!!!!!!!!!!!
Chi ero io………………….in quel periodo!!!!!!!!!!!!!!!?
Vacillavo.
Dalla mia parte avevo solamente la mia fortuna.
Forse era quella “immaginetta”  che portavo sempre con me a portarmi fortuna, o forse erano tutte le preghiere che mia mamma rivolgeva a Santa Lucia Mangano per illuminare la mia strada……….

In effetti fui io ad andare a vivere con Lei. La Sua precoce maturità mi prese per mano e mi aprì la mente, dandomi  quella sicurezza che mai avevo avuto. Grazie a questa Sua forza, dall’aspetto ancora infantile repressa in un corpicino meraviglioso, esplose in me un desiderio di stringerLa al petto per ritornarLe quella sicurezza che Lei stessa mi infondeva continuamente.

In tante occasioni trasmettiamo Amore, Pace, Armonia, e in tante occasioni sentiamo su di noi sensazioni di Pace, d’Amore e di Armonia. E’ il nostro stesso “dare con serenità” che ci ritorna indietro, influenzando la nostra vita nel senso che noi stessi gli abbiamo dato.
Siamo noi a crearci determinati ostacoli perché noi stessi li abbiamo immaginati e vissuti in momenti passati…….siamo noi ad aprire all’Amore la nostra vita, perché siamo stati noi che abbiamo seminato in passato “Amore”.
Questo ritorno “condizionato” dal nostro “dare”…………”o pensare”, è il segreto per vivere una vita serena e felice.


Erano le 10 di sera quando Lei uscì da casa per “fuggire” con me. Aveva una piccola borsa e portava con sé la speranza in un futuro………….grandioso.
In effetti questo futuro “grandioso” da subito lo abbiamo intessuto momento dopo momento e vissuto insieme sin dal primo giorno. Abbiamo realizzato tutti i nostri sogni, uno dopo l’altro, perché abbiamo dato la possibilità reale al nostro futuro di manifestarsi in armonia con ciò che al momento avevamo.
Un futuro felice, in continuo movimento, nella certezza che dopo un passo ne veniva un altro, propedeutico al precedente.

In pochissimi secondi le nostre vite divennero UNO e non ci preoccupavamo affatto di come  avremmo affrontato la vita futura.
Ero già pronto con una macchina ad aspettarLa dietro la chiesa di S. Antonio. Nino  ci accompagnò in un hotel di S. Giovanni La Punta dove trascorremmo la nostra prima notte. Dopo tanti anni di incontri fugaci, rubati al tempo, in strade secondarie o dietro le colonne di S. Nicola, quella notte finalmente potevo tenerla tra le braccia senza la paura di essere visti da qualcuno.
Eravamo soli, liberi e intimoriti.
Quella notte non era adatta per fare progetti.
Quella era la nostra notte……………….dovevamo viverla con passione cercando di vivere solamente la gioia del momento presente.

Il ricordo di quella notte ancora oggi mi sfugge.  
Pur avendo fatto l’amore con molta passione, non è stata una notte da non dimenticare. La paura del futuro, le lacrime di Pina, gli sguardi insicuri che si interrogavano senza sapersi dare una risposta…………..e poi il giorno dopo…..e gli altri giorni……con un figlio in cammino……………..

Il giorno dopo venne Nino per accompagnarci all’Alhoa di Acireale. Avevamo appuntamento con gli altri per partire insieme sul mitico furgone che Orazio usava per lavorare. Loro già da due anni vivevano insieme, avevano  un figlio, e quindi, dalla loro esperienza prendemmo molto insegnamento.
Anche loro appartenevano alla schiera dei “fuggitivi”.
L’ora dell’appuntamento intanto era trascorsa da un po’ di tempo e i compagni di viaggio non davano alcun segno di vita. Ormai il dado era stato tratto, quindi potevamo benissimo ritornare in paese e mettere di fronte al fatto compiuto i nostri genitori, ma noi volevamo dare alla “fuitina” un aspetto avventuroso. Volevamo sin dall’inizio imprimere alla nostra vita in comune l’essenza del viaggiare, del partire ad ogni costo senza preoccuparci degli eventuali ostacoli. Non volevamo essere i semplici innamorati di paese che fuggono per qualche giorno da una zia e poi rientrano nel silenzio scontato della società. Volevamo scuotere l’immaginazione e la curiosità dei benpensanti e dei conservatori, quindi per noi era molto importante che l’avventura non finisse miseramente e, soprattutto, in pochi giorni.    
Improvvisamente  vedemmo scendere da un’auto Orazio il quale, ci informava che, proprio all’uscita di Catania, ad Ognina, il furgone si era guastato. Bisognava aspettare qualche ora perché lo si stava riparando.
L’attesa si protrasse a lungo scoraggiandoci…………e noi non potevamo e non volevamo più tornare indietro. In paese si era sparsa la voce delle nostra “fuga” e quindi dovevamo per forza non  concludere in modo così repentino e normale la nostra l’avventura.

Il paese spesse volte costringe chi vuole camminare per conto proprio  a non scegliere, nel senso che impone le sue regole, lascia che si consolidano nel tempo e poi, sarà la paura e l’insicurezza che ne deriva, a conferirle una forma di potere assoluto sotto il quale l’intera comunità deve sottomettersi.  La Sua forza conservatrice con autorità ne determina lo sviluppo e la libertà di tutti i suoi componenti.
Difficilmente il paese, del sud specialmente, accetta  chi osteggia singolarmente atteggiamenti che cercano di sovvertire l’ordine costituito.
Il gruppo di “potenti” che gestiva e gestisce ancora oggi il potere nel nostro paese, i presidenti dei vari circoli culturali e professionisti, le varie sedi rionali con i loro presidenti,   la potente commissione centrale dei festeggiamenti di S. Anastasia, le sedi parrocchiali con le loro varie bizzoche di turno, i preti assoggettati al potere costituito ed essi stessi espressione di potere, le varie segreterie dei partiti di governo, in quegli anni controllavano chiunque tentava di andare oltre certi determinati canoni.
Per costoro il “diverso” doveva essere richiamato al rispetto di certe regole civili, e lo facevano usando tutti i mezzi. Su di me agivano usando l’arma della mia famiglia. Pressavano su mio padre affinché mi costringesse a vivere in un certo modo. Conoscevano le sue debolezze ed erano a conoscenza del  cieco e supino rispetto che Lui aveva per le regole della società. Per Lui  vigeva la supremazia dell’occhio sociale, e ad esso tutti dovevamo ossequio, specialmente i suoi figli.
Erano dei vili, repressi dal tipo di vita che conducevano e non permettevano a nessuno di……….andare avanti da solo.
Li chiamavo in quegli anni “i morti viventi”.
Li avversai moltissimo assieme a tanti altri compagni che volevano uscire fuori
da quell’infamia paesana che opprimeva la nostra libera espressione.
Vecchi ricordi di lotte fatte davanti al locale “carnevalesco” organizzato dal CUP (circolo universitario professionisti) il quale pretendeva una certa etichetta da borghese per poter accedere in sala a danzare.
Erano tempi veramente duri per i “diversi”. Grazie a quelle lotte e grazie anche  a qualche ostinato conservatore, amante delle “decenti apparenze”, al quale non ho mai ceduto niente del mio modo di essere, oggi posso camminare a testa alta forte di una dignità mai barattata. Il suo infame conformismo e il suo gretto conservatorismo   mi hanno abituato alla lotta e nel contempo a soffrire nel buio della mia stanza. Quella falsa saggezza, espressione di una società in decadenza, non è mai riuscita ad elevarsi a simbolo da emulare nella mia mente……………e ne sono orgoglioso.

Il furgone arrivò  di pomeriggio in buone condizioni e, senza perdere altro tempo, ci mettemmo subito in cammino.
Ero felicissimo.
Un’altra avventura stava per iniziare, stavolta però con accanto la donna della mia vita. Mi trovavo nuovamente sulla strada………………..e stavo correndo felice verso il mio futuro.

Conoscere il mondo tastandolo direttamente, passo dopo passo, è una grande fortuna. Avere la forza e la volontà di non fermarsi di fronte a niente pur di andare avanti verso la conoscenza di sé stessi usando come veicolo la passione che si ha per  il viaggiare liberi lungo le strade del il mondo, è una grande combinazione. Trovarsi poi accanto alla persona che si vuol bene, con la quale si decide insieme di condividere la vita, che approva assolutamente questa scelta, è come………………essere baciati da Dio e dalla fortuna.




                             Non ricordo di aver portato con me l’immaginetta presa in India, però mi ricordo di aver avuto  accanto la mia fortuna.
E’ la compagna ideale in simili avventure. Io l’ho sempre sentita vicino ed Essa  mi ha  sempre ripagato aprendomi tutte le strade. Le ho sorriso in ogni situazione. Non l’ho mai ostacolata quando decideva di farsi sentire, e non l’ho mai richiamata  quando non prendeva alcuna decisione. Ho sempre lasciato liberi gli eventi di manifestarsi attorno alla mia vita accettandoli per come si presentavano.
La Fortuna appartiene a chi si considera fortunato.
Basta un semplice atteggiamento mentale positivo, per legarla indissolubilmente a noi……………………….perchè Essa è già in noi.
E’ il nostro “considerarci sfortunati” a tenerla lontana.
In quel viaggio non mancarono mai i sorrisi, la gioia e la speranza in una nuova vita piena di cose belle.

Passammo le Calabrie e la Campania a setaccio, paese dopo paese, per vendere statuette della Madonna delle Lacrime di Siracusa incastonate in una piccola grotta in pietra lavica. Il furgone era strapieno di queste grotte, ve ne erano centinaia, perciò la prima settimana è stato un vero problema trovarci un angolo in cui dormire in serena intimità. Per me è stata una grande sofferenza in quei giorni non poter fare l’amore liberamente con Pina.  
Dalla loro vendita dipendeva il nostro viaggio e…………………….ne vendemmo veramente tante.

La gente ha sempre avuto un implicito desiderio di stringere qualcosa di solido tra le mani, da toccare, al quale relegare poteri straordinari e miracolosi che servissero ad esaudire gran parte dei propri sogni.

Mi ricordo che nel salernitano le Madonnine andarono a ruba. Dai miracoli che promettevamo si otteneva, per noi,  un ottimo ritorno in denaro, quindi  la certezza di svolgere l’ambizioso viaggio che avevamo  deciso di fare, aumentava di  giorno in giorno.
Da un altoparlante, messo ad alto volume, la voce di Orazio attirava attorno al furgone molta gente………………e poi avevamo anche la voce suadente di Filippo, detto “banna”, registrata su una cassetta la quale decantava le lodi della madonnina……………..
……………….”Le mani incantate delle bambine dell’orfanotrofio dell’Etna hanno costruito con le pietre nere dell’ultima lava queste grotte dove hanno posto la statuetta miracolosa della Madonna di Siracusa…. compratele……..!!!!”………..le potete mettere sul comodino, in cucina, sulla televisione, sull’armadio…………..il miracolo è assicurato!!!!!!”.

In questo modo, pervasi da una grande gioia e rassicurati da un ritorno economico, attraversammo tutta l’Italia, passando per la costiera Amalfitana, Posillipo, Pompei………… per arrivare a Milano dove depositammo in un garage le ultime Madonnine rimaste.
Pina era favolosa e lentamente emergeva la Sua passione per i viaggi.
Insieme in futuro avremmo attraversato in lungo e in largo il mondo intero, quindi, questo primo viaggio, doveva servire come trampolino di lancio per le future avventure. In effetti  fu molto pesante, svolto con pochi soldi e in situazioni molto precarie.
Per andare a Parigi passammo da Lyone, e tenendo alto il volume dell’altoparlante esterno irradiavamo musica rock in ogni angolo di strada.
Quelle strade le sentivo amiche. Le avevo percorse qualche anno prima da solo per andare a vivere un mese a Parigi, e poi con Pino in autostop, nel ’70, reduci  da un lungo viaggio in Europa.
Mi sentivo a casa.
Parigi ci accolse in una magnificenza di colori, di musica e di razze.
Il furgone ci permetteva di arrivare fino in centro senza trovare alcun ostacolo.
Era diventato la nostra casa. Lo spazio ristretto di prima, quando ancora avevamo le grotte di pietra lavica, si era allargato talmente da farci trascorrere lunghe ore in dolce intimità. Pina era felice, sorrideva e si meravigliava di fronte alle grandi opere parigine. Dai musei del Louvre a Montmatre, dall’Arc du triomph a Notre Dame, da Pigalle alla Tour Eiffel…………..Parigi era così piccola per noi che non riusciva a contenere la nostra gioia.
Il futuro lo stavamo vivendo nel momento presente e nessun ostacolo ci sembrava insormontabile.
Con il furgone ogni sera cambiavamo luogo dove dormire. Non avevamo limiti e potevamo benissimo fermarci per la notte in qualunque posto.
Parlavamo di politica, della rivoluzione mancata, dei figli dei fiori che stavano invadendo il mondo con quel classico: “FACCIAMO L’AMORE, NON FACCIAMO LA GUERRA”……………parlavamo anche del nostro paese, di come organizzarci dentro il partito per ribaltare l’attuale realtà.
Pina era molto affascinata dai musei, dell’arte in genere, a differenza di me che amo semplicemente viaggiare senza interessarmi di nulla che non sia………………
……………la strada, il camminare in libertà per sentire dentro di me la sensazione del movimento e dell’andare via……lontano…….
Guardavamo i tanti visi della gente di colore diverso l’una dall’altra, a volte stavamo lunghe ore seduti sulle banchine della Senna ad osservare il fiume scivolare verso il mare………a Montmatre passavamo giorni interi ad ammirare l’estemporaneità di qualche pittore che in pochi minuti ritraeva i visi della gente………..dalla scalinata del Sacro Cuore contemplavamo i tetti di Parigi…………
Mi spinsi verso rue Turbigò per incontrare Turi e gli altri amici, Massimo e Orlando. Si erano sposati e delle belle notti di qualche anno prima, trascorse nelle discoteche di Montparnasse,  rimaneva solo il profumo diluito con il ricordo di  qualche ragazza algerina.
Con Pina stavamo vivendo un’esperienza molto bella. Erano bei momenti per sognare un mondo migliore e un futuro pieno di viaggi.

Ci tenevamo per mano, ci stringevamo e facevamo l’amore…..………..…
Il furgone era un campo di battaglia…………Orazio e Maria sistemati di dietro e  noi davanti, separati da un leggero muro di compensato.
Con il nostro movimento davamo un senso  alla staticità del furgone.
Eravamo sempre in cammino…….in movimento……….GRANDI MOMENTI.

Da Parigi  ci spostammo a Norimberga attraversando mezza Europa.

Mentre il furgone correva verso la meta, la gioia sprigionata dai nostri cuori avvolgeva l’ambiente circostante. L’alto volume della musica, la nostra felicità, i nostri sorrisi, gli abbracci e i lunghi discorsi politici riempivano di vibrazioni positive il mondo intero…………….era un grande momento.
Ancora non pensavamo al futuro………e forse era meglio.  

Norimberga in quei pochi mesi di lontananza la trovai completamente cambiata. L’attività politica di prima, l’armonia folkloristica attorno ad una bottiglia di birra e quell’ambiente profondamente paesano, erano scomparsi. Mancavano in tanti e soprattutto vi era molta freddezza. Solamente Antonietta ci accolse con gioia ed abbracciò Pina che finalmente poteva conoscere.
Gli altri………….dove erano!!! Dov’era Argiolas, Giuseppe, Morittu……dove erano tutti quei sardi con i quali trascorrevo lunghe notti a discutere sulla vita, di politica…….dove erano quei fiumi di birra che trascinavano con sé tante menti tristi verso una liberazione virtuale!!!!!!!!!!
In pochi mesi quel mondo era………………divenuto un altro.

L’azione irrefrenabile del fluire continuo di tutte le cose aveva toccato anche quella realtà che  sembrava ben consolidata. Pur essendo sostenuta dalla sofferenza, ravvivata dall’odio verso il padrone tedesco e animata dal desiderio di poter tornare un giorno a casa pieni di soldi……………..con tutto ciò anche essa è stata colpita dall’onda del cambiamento. Forse è stata la delusione del mancato sorpasso alle elezioni politiche, o forse qualche altra cosa……chi può dirlo!!!!!!!!!

Entrai al bar di Platen strasse convinto di trovare una calorosa accoglienza, invece notai tanto silenzio, principalmente da parte di quei pochi rimasti.
La sera dopo si organizzò un’incontro con gli ultimi  compagni per permettermi di salutarli, di poterli abbracciare e di presentargli la mia Pina. E’ stato un semplice incontro formale senza niente di eccezionale. Mancava Giuseppe, l’unico compagno con il quale mantenevo rapporti oltre la politica. Anche Lui era un sognatore, diverso da me, però sperava in un mondo migliore e in un suo prossimo rientro a casa per ritrovare la Sua vecchia mamma.
Ci fermammo solo pochi giorni e poi, ripassando per la solita Monaco, iniziammo a correre lungo la via del ritorno. Lentamente, lasciando ovunque segni di gioia e d’Amore, cantando a squarciagola la nostra libertà……….. Passammo per Strasburgo, poi per l’Austria, dalla Svizzera per ritornare a Milano a riprendere le poche grotte di pietra lavica depositate in un garage presso un parente di Maria.
 Mi incontrai con mio fratello Franco che in quel periodo stava prestando il servizio militare nell’arma dei bersaglieri………….i soliti abbracci……e via…..
…………….via. Era trascorso  un mese e l’ora del rientro inesorabilmente cadenzava i suoi passi.
Era trascorso un mese e le acque mosse di prima non si erano ancora calmate. Adesso era il momento di affrontare il paese con tutte le sue “sottovoci” sature di pettegolezzi che distruggevano chiunque senza alcun ritegno.
Il paese mormorava  lievi sussulti quando  doveva criticare. Nessuno sfuggiva al suo vigile occhio. Anche noi passammo sotto quelle forche…….e chi lo sa quanto parlare su di noi, sulla povera Pina che era capitata male, con un comunista che non aveva rispetto per le regole e per la chiesa…………………..
In paese le voci correvano molto veloci e si insinuavano in ogni angolo. La sua prepotente forza consisteva proprio in questo condizionante chiacchiericcio dal quale nessuno poteva esimersi.
Il nostro rientro quindi non passò in silenzio.
Scendemmo dal furgone proprio di fronte casa mia.
L’avventura vissuta per le strade d’Europa, si trasferiva in una piccola casa in un paesino siciliano.

Era il momento di fare i conti con la realtà.
Avremmo saputo affrontarla con dignità, cercando di non scendere a compromessi pur di ottenere quello che desideravamo………………………..o no???
In silenzio, ci siamo guardati negli occhi e inconsciamente abbiamo deciso di mantenerci sempre liberi come lo siamo stati fino a quel momento.
E’ facile scivolare  quando ci si trova in condizioni aleatorie di disagio e di bisogno. La dignità, purtroppo, diventa un elemento secondario e facilmente viene non considerata. L’esigenza primaria diventa il lavoro, la casa, la televisione e un bel matrimonio per sancire ufficialmente e religiosamente l’avvenuta unione.
Cose che entrambi volevamo che non accadessero.




                            La casa dove vivevano i miei genitori ci accolse apportando lievi stravolgimenti. Mia mamma era felice perché pensava che finalmente avrei trovato un po’ di serenità, mio padre riacquistava credibilità per l’occhio sociale perché poteva dimostrare apertamente che suo figlio, in questo caso, si era dimostrato di essere un  vero uomo. Mio fratello Maurizio accettò l’evento come un nuovo giocattolo con il quale giocare,  l’altro mio fratello stava prestando il sevizio militare, quindi la situazione non lo riguardava, e mia nonna, buona come era, abbracciò Pina e divennero da subito buone amiche.
La stanzetta dove preparammo il letto matrimoniale era molto piccola. A stento riuscivamo ad entrarvi e a ritagliarci un po’ di intimità. La situazione era molto precaria e bisognava trovare presto una soluzione.
L’instabilità oggettiva determinava problemi  profondi ed esistenziali. La soluzione non era a portata di mano. Dovevano passare ancora alcuni mesi prima di andare a vivere in una casa in affitto da soli.
L’imbarazzo di Pina era molto evidente, non riusciva ad essere sé stessa. Anche io cercavo di scuotermi dall’apatia nella quale ero caduto, ma la mancanza di denaro, il peso delle reali responsabilità arrivate tutte in una volta, mi costringevano in un angolo a non reagire. La politica attiva lentamente  si stava allontanando dalle mie aspirazioni prioritarie. Leggevo pochissimo e speravo in un aiuto esterno, difatti qualcuno mi aiutò cercandomi un lavoro in un rifornimento di benzina sulla Catania Siracusa.
Partivo da Misterbianco ogni mattina alle sei con il proprietario e ritornavo la sera molto tardi, tutto per una misera somma. Era il mio primo lavoro da sposato ed ero pressato dalla responsabilità di mantenere una famiglia. Gli obiettivi di qualche mese fa che mi spingevano a lavorare per un semplice gioco o per una falsa esigenza, tipica tra quegli intellettuali che vogliono sentire su di loro l’ebbrezza dell’emarginazione sociale e proletaria, stavolta erano cambiati.  Dovevo tenere conto della mia famiglia. Non ero più solo.

Un periodo da dimenticare.
La tristezza di Pina.
La sua timidezza la costringeva in disparte dalle decisione da prendere. Il dipendere economicamente dai miei genitori per qualunque cosa………………..per andare al cinema, per uscire con gli amici……….comprare il corredino per il bambino…………………..e non poter decidere cosa mangiare, quando mangiare…………….era un vero dramma.

La nuova situazione ancora non entrava nella mia mente………………..del resto oggi, dopo tantissimi anni, posso affermare con assoluta certezza che quell’infantile posizione mentale e comportamentale  di allora, forse per paura o per mancanza di crescita,  che non mi faceva entrare nell’idea di essere un padre con una famiglia sulle spalle, ancora dentro di me non si è “responsabilizzata” del tutto………………….continuo a sentirmi libero, padre di due figli che camminano in questo mondo da soli, a volte sostenuti dalla mia presenza, e soprattutto innamorato di mia moglie, con la quale mi considero, veramente, un eterno fidanzato.

La mia famiglia!!!!!!!!!!!!La mia nuova famiglia.
Adesso era Pina la mia famiglia.
Nostro figlio sarebbe arrivato tra qualche mese ed avrebbe senz’altro apportato al nostro nucleo una ventata di novità. Non pensavo ai problemi futuri, alle difficoltà oggettive determinate dalla precarietà della nostra situazione. Ero già sin d’allora ottimista e ogni momento per me era  sempre il momento buono per pensare ad una nuova avventura per le strade del mondo.
Già sin dai primi giorni, durante le notti insonni in quell’infima stanza da letto, parlavamo di futuri viaggi, di luoghi fantastici da visitare per vivere con gioia anche in situazioni estreme. Riempivo la testa di Pina parlandoLe continuamente dei miei viaggi in autostop lungo le strade d’Europa.

Stavamo intere notti a sognare.
Il nostro presente in quel periodo non ci permetteva di andare lontano con la fantasia, eppure, mi ricordo, di non avermi fatto prendere dalla sindrome della sconfitta o dell’indifferenza. Non potevamo viaggiare, però gli impegni nel sociale non mancavano. Avevo ripreso ad impegnarmi nel partito svolgendo attività politica a tempo pieno.
Mimì era il nostro leader. Grazie a Lui tanti di noi conobbero il giusto modo di fare politica che era quello di radicarci nella realtà in cui vivevamo e di conseguenza progettare azioni politiche.  La paura di qualche anno prima, determinata da mio padre e da mio nonno Nino, che mi trattenevano lontano dalla sezione del partito, aveva preso le ali. Adesso partecipavo alle riunioni, potevo assistere in prima fila ai comizi e parlare a voce alta gridando i miei ideali.    

Il lavoro di benzinaio, intanto, andava avanti con un certo fastidio. Non vedevo l’ora di ritornare a casa e di stare accanto a Pina. La Sua vicinanza mi tranquillizzava e mi proiettava in un futuro sereno e pieno di avventurosi viaggi. In effetti sin dai primi anni abbiamo iniziato a girovagare per il mondo sfidando  enormi difficoltà economiche e contrasti familiari che non ci sono mai mancati.
La Sua pancia  intanto, con il trascorrere dei mesi, aumentava  e si avvicinava il tempo di prendere delle decisioni importanti. Dovevamo regolarizzare la nostra unione davanti a Dio, così dicono i benpensanti, e nei confronti della società. Due passi che già sin d’allora non volevamo affatto fare perché non credevamo a queste false regole impregnate di bigottismo e di ipocrisia volute da una  società che contestavamo già da diversi anni…………………………….eppure era un passo che dovevamo fare…………..e  l’abbiamo fatto…………..con  tristezza, sicuramente, però convinti di farlo.
Eravamo troppo piccoli per scontrarci con simili regole radicate nelle menti, nel sangue e nella cultura del popolo siciliano. Potevamo benissimo sfidarle, forse avremmo vinto…………….ma a quale prezzo.

Chi eravamo noi per andare contro tutte quelle prescrizioni consolidate negli anni? Perché dovevamo creare altra sofferenza ai nostri genitori che sono cresciuti nel timore e nel rispetto di queste regole?
In quel momento siamo stati veramente maturi.
Non ci siamo fatti condizionare da quell’infantilismo politico ed ideologico che ci spingeva verso una intransigenza ottusa, che avrebbe creato lancinanti divisioni in seno alle nostre famiglie.

Lunghe ore a discutere con Pina su quale sarebbe stata la migliore decisione da prendere………………..alla fine abbiamo deciso di celebrare un matrimonio ufficiale condito di tutti i crismi sociali voluti dalla società di allora………………..e abbiamo fatto bene.
L’armonia è stata completa.
I preparativi si sono svolti con grande passione, gli inviti sono stati decisi in completa sintonia…………le bomboniere, la scelta del colore del vestito da sposa……..hanno deciso un giallo paglierino con un cappello alla contadina tutto rigorosamente fatto dalla mamma di Pina……………..il mio vestito………..l’unica trasgressione da parte mia è stata non mettere la cravatta e non portare la fede, scelta presa in sintonia con Pina sin dal primo momento……….la scelta del locale……….abbiamo preferito fare il ricevimento al locale la “Tarantola”, accanto la  piazza, per risparmiare e, in parte perché i nostri genitori volevano punirci per quello che avevamo fatto, “fuggitivi”……………un complessino musicale di matrice paesana, la scelta della chiesa……………..quella di S. Antonio era in costruzione quindi il rito si è celebrato in un garage proprio dietro la chiesa……………….i testimoni……………..o quante cose……….il fotografo, il film per ricordare………………..il viaggio di nozze non l’abbiamo fatto. Non era nei piani e non pretendevamo di pesare così tanto su i nostri genitori.
In serbo però avevamo la conquista del mondo.

Trovammo una casetta dove vivere da soli proprio accanto a quella dei miei familiari. Era piccolissima, a più piani, senza doccia, senza bidè………difatti ne usavamo uno di plastica, le scale erano molto ripide e il cambiamento di stagione veniva vissuto in modo molto violento dato che l’inverno era estremamente freddo e l’estate paurosamente torrida. Era un “pipitone” di casa senza nessuna copertura da tutti i quattro lati.
La vivemmo per quasi cinque anni nella più tetra oscurità. Pochissime persone, mi ricordo, vi entrarono. Era piccolissima e invivibile…………………….eppure!!!!! Nel silenzio cupo delle sue mura, funestata da un vento prepotente, dove l’acqua vi entrava senza ritegno appena un piccolo acquazzone cadeva dal cielo, dove l’odore rancido di muffa impregnava le sue mura……………………..in tutto questo guazzabuglio di ostacoli che rendevano l’armonia della vita molto aleatoria, l’Amore tra me e Pina emergeva sopra ogni cosa.
La scelta dei mobili avvenne in modo freddo senza alcuna partecipazione da parte nostra perché allora non sentivamo l’esigenza di avere una bella casa. L’importante avere un letto, un armadio, qualche sedia, un tavolo e qualche mobile dove mettere i libri che già sin da allora avevo iniziato a comprare con ingordigia.

Il libro è stato, e fortunatamente lo è ancora oggi, il mio più grande Maestro.
Non si è mai limitato al semplice insegnamento culturale. E’ andato sempre oltre la Sua verità ufficiale. Mi ha mostrato la verità implicita che nella Sua vera essenza conteneva. Mi si è presentato sempre al momento opportuno. Mai è stato precoce o ritardatario nella conoscenza che voleva donarmi. Se qualche volta è arrivato prima del tempo previsto, trovandomi ancora culturalmente e psichicamente impreparato per viverlo nella Sua giusta verità, mi si è reso talmente impenetrabile e difficile persino nella lettura, da costringermi gentilmente a depositarlo in un angolo della mia libreria.
Nei momenti di confusione o di palese esaurimento è stato sempre pronto nel presentarsi in  una giusta lettura  per schiarirmi le ombre dalla mente. Anche nella mia ricerca spirituale la Sua presenza è stata sempre puntuale e illuminante……………….mi ricordo quando nel ’74 vidi per la prima volta il viso beato di Paramahansa Yogananda emergere su tutti gli altri, proprio dietro il vetro di una libreria in via Umberto a Catania: “Autobiografia di uno Yogi”, l’affascinante epopea di una vita miracolosa alla ricerca dell’Assoluto, accompagnata da misteriosi Sadhu e da prodigiosi maestri illuminati………………….lo comprai subito e in breve tempo lo lessi….lo rilessi tante volte……..lo rileggo ancora oggi e non smetto mai di sentirmi tra le mani qualcosa di miracoloso che ha cambiato la mia vita e quella di milioni di altre vite……………………………………………………..
Tanti altri sono stati i libri che hanno determinato in me un cambiamento ……………………..ricordo l’immagine di Sai Baba quando per la prima volta mi si presentò, sempre da dietro il vetro di una libreria, e come sconvolse tutta la mia vita……………..un’altra storia.
Dobbiamo ringraziare profondamente quelle grandi personalità che nei secoli ci hanno lasciato insegnamenti sublimi, spianandoci la strada verso la liberazione.
Grazie alle loro opere divine, in tanti abbiamo sorvolato, e andato oltre con la mente, vette incantevoli deliziando della loro presenza i nostri cuori.

Intanto, mentre la pancia di Pina aumentava di volume e nella Sua serenità cercava di pensare al corredo di nostro figlio, io abbandonavo il lavoro di benzinaio, perché economicamente mi sentivo sfruttato, ed iniziavo a lavorare in una fabbrichetta di scarpe situata a Catania nella zona San Cristoforo. Un altro di quei lavori retribuiti pochissimo dove lo sfruttamento era prassi consolidata  e dove l’avvelenamento,  dovuto alla combinazione delle vernici che servivano a colorare le tomaie delle scarpe, consumava in breve tempo i polmoni degli operai. Vi rimasi solo qualche mese  e, prima di lasciare il lavoro, gli creai un casino favoloso interessando il sindacato sull’inumana situazione che si viveva in questa fabbrica.



Perché, mi chiedevo, sulla pelle degli uomini ci permettiamo di tutto?

Ero giovane, pieno di buoni propositi con poca malizia addosso. Sapevo di dover scendere a compromessi se volevo trovare un lavoro decente, ne ero consapevole. Non riuscivo a capire però questa stupida ingiustizia, senza logica, perché si accaniva sempre verso il più debole, il bisognoso. Il fermento interiore che mi creavano queste tristi realtà  mi spingeva verso una coatta rassegnazione.
Ero cosciente dei limiti oggettivi con i quali dovevo confrontarmi ogni giorno, consapevole che la vita difficilmente sorride a chi rimane nell’incapacità di reagire. Questa società è talmente furba da imporre schemi di sviluppo settari e violenti da farli accettare persino alla povera gente convincendoli che simili momenti sono espressioni di alta democrazia.
L’interesse collettivo, dicono loro, deve emergere sull’interesse del singolo………….però, stranamente, è sempre la povera gente, chi non riesce ad esprimere le proprie esigenze, a sottomettersi a questo “democratico” principio. Gli altri, i potenti, il politico, sono sempre oltre questi concetti.
La collettività sono loro. Il popolo sono IO, dicono. Quindi prima noi e poi………..gli altri.

I rapporti di lavoro che riuscii ad avere in quel periodo sono stati molto aleatori e deprimenti. Avevo bisogno di libertà, di autonomia, principalmente sul lavoro. Ne parlavo spesso con Pina e, senza saperlo, quei discorsi stavano spianando una gloriosa strada per il mio futuro. Sognavo un lavoro autonomo, libero dai legami sociali ed etici, fantasioso, dove potermi esprimere senza alcun limite. Con Pina ne parlavamo continuamente……..possibile, pensavamo, che lavorare oggi vuol dire scendere a compromessi??!! Ci ostinavamo a considerarci liberi e tali volevamo rimanere.
Aspiravo con tutto me stesso a qualcosa di simile, però non avevo ancora le idee chiare su cosa fare. L’unica cosa che riuscivo a svolgere con Amore, passione e determinazione era IL VIAGGIARE.
Non riuscivo a pensare ad altro……….libertà, lavoro, viaggi.
Mentre ne parlavo con Pina, inesorabilmente il mese di febbraio stava per arrivare. Nostro figlio già scalpitava per venire fuori e noi………a sognare lunghi viaggi in qualunque parte del mondo.
Quell’anno mi ricordo un freddo molto intenso. L’umidità congenita della nostra casa in combutta con il freddo e con l’acqua che scendeva dal cielo, permetteva la formazione di uno strato di vapore acqueo e l’aria che si respirava dentro casa era così pungente e tagliente che l’unica salvezza era quella di uscire fuori.
L’unica stufa elettrica ce la contendevamo da sotto il tavolo, nella speranza di percepire un po’ di calore.
Come sempre la mia fortuna mi stava aspettando dietro l’angolo per esplodermi intorno appena le condizioni fossero state mature.

Verso il mese di dicembre del ’72 ebbi l’occasione di assistere, presso la facoltà di Agraria, al procedimento di una stampa in bianco nero eseguita tramite un Dust.
Fu l’evento che cambiò la mia vita mettendomi nelle condizioni reali di rendermi autonomo economicamente e nello stesso tempo di liberarmi dalle grinfie oppressive  di un  datore di lavoro.
Possedevo una Halina con la quale mi dilettavo a fare foto. Ero un semplice dilettante della fotografia e non mi rendevo conto di avere tra le mani il mio futuro. La passione per le foto era un semplice modo per sfuggire alla noia proposta dalla realtà.
Già da qualche anno avevo preso l’abitudine di fotografare qualunque cosa, quindi ero già, in un certo qual modo, un esperto. La stampa era l’evento che più mi appassionava. Contemplavo le foto, i loro colori e con molta attenzione le inserivo in  albumetti di plastica per mostrarle agli amici. Ero molto soddisfatto del risultato e mi proponevo di farne sempre di più in diverse occasioni.
Dal momento che ebbi l’opportunità e la fortuna di assistere in diretta alla stampa delle mie foto, la gioia è stata tanta da farmi comprare un piccolo Dust 60 con il quale iniziai a stampare da me tutte le foto che in quel periodo facevo in giro per il paese.
Spesi quei pochi soldi che avevo messo da parte per comprare l’ingranditore e l’occorrente per poter stampare.
Mi ricordo di aver consumato pacchi interi di carta fotografica, di sviluppo e di fissaggio. L’importante per me allora era vivere intensamente quel momento e gioire della felicità che mi donava.




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                  Il nuovo anno iniziava, per noi, con un fragore immenso.
Ormai erano trascorsi diversi mesi dall’ultimo viaggio, e al momento non ero in condizioni tali da decidere la prossima data. Ero sposato e dovevo programmare il futuro tenendo conto anche delle esigenze di mia moglie e in futuro anche di quelle di mio figlio. Fortunatamente sin dal primo giorno anche Lei si è dimostrata una grande amante dei viaggi liberi, e preferiva girare per il mondo senza alcuna struttura pianificatrice.

Viaggiare liberi, senza orpelli “catalogati” che snaturano l’attraente avventura tra i popoli che abitano la terra, è senz’altro il modo più interessante per conoscere il mondo. Soli e a contatto diretto con l’ambiente e la gente del luogo, senza alcun filtro dal quale passare prima di assaporare il paese con il quale al momento si è in contatto. E’ un’esperienza indimenticabile.
Soli con le proprie paure, le proprie fobie, con le insicurezze che derivano dal rapporto con il nuovo, è un grande momento di crescita da non trascurare.
Siamo andati avanti in tutti questi anni con questa convinzione ben salda nella mente e nello spirito. Sicuramente i rischi sono maggiori, le spese forse aumentano, le fregature diventano più frequenti……………….però si è liberi. Liberi da orari, di muoversi quando e come si desidera, di fermarsi più a lungo in un luogo dove i rapporti con i popoli locali sono più diretti e più sinceri.
E’ un’altra cosa viaggiare da soli e in libertà. Gli unici limiti, al massimo possono derivare, ed è giusto che sia così, dal tipo di vita che ci siamo scelti e dalle virtuali scale di valori che ci siamo confezionati.

Il fragore del nuovo anno era dettato dal grembo di Pina che stava per esplodere. Antonio tra poco doveva venire al mondo. Già era irruente ancor prima di nascere, difatti questa sua impetuosità lo costrinse ad uscire fuori con 20 giorni in anticipo dalla data considerata. Nacque molto piccolo ed ancora………………………….inesperiente.
La Sua permanenza nel grembo della mamma, al sicuro, al buio, al caldo, immerso nel liquido amniotico, alimentato in modo sano e continuo, coccolato da tutti, con il corredino già pronto, con una casetta, con i nonni che non vedevano l’ora di stringerlo………………….e con un padre vagabondo, anarco-comunista, senza lavoro, ad un certo punto……..divenne insostenibile.
Doveva per forza venire fuori.
La mattina del 9 febbraio Antonio vide la luce.
Il momento era arrivato improvvisamente la sera prima con dei lievi dolori avvertiti da Pina. Non avendo la macchina, chiamai mio padre per farci da autista. Una scelta sbagliata perché non era abituato a guidare al buio e quella sera, mi ricordo, tanta era la tensione, si fermò diverse volte ad orinare.
Pina venne prelevata da un’infermiere e scomparve dietro una grande porta dell’ospedale “Bambino” di Catania .
Un’intera notte senza avere notizie.
Il silenzio che si innalzò attorno alla sorte di Pina fu assoluto. Nessuno ci diceva qualcosa. Qualche infermiere ogni tanto usciva avvertendoci che ancora Antonio non era nato.

Un mondo strano quello nostro. Si lascia una donna sola, inesperta e ancora ragazzina, ad affrontare l’evento più importante della sua vita senza la  vicinanza di una persona cara.
La prima sofferenza.
L’altra arriva durante il parto mentre la creatura cerca di venire al mondo.
A parte il triste trauma che coglie il bambino appena nasce, circondato da un ambiente freddo e asettico, vi è l’incontenibile dolore della mamma che in quel momento la coglie impreparata e per giunta sola. 
Un vero dramma.

In mattinata, dopo una notte insonne, uscendo dall’ospedale per andare al bar fui attratto dalle luci del cinema “Esperia” che proprio a quell’ora stava aprendo al pubblico. Ricordando i vecchi tempi quando da ragazzo,  anziché andare a scuola preferivo rifugiarmi al cinema, senza riflettere entrai in sala e, tra il sonno e il desiderio di stare un po’ da solo, trascorsi qualche ora davanti allo schermo. Un modo come un altro per tirarmi fuori dalla “normalità sociale” la quale presupponeva un genitore preoccupato per la moglie e speranzoso per il sesso del nascituro.
Nemmeno in quella esaltante situazione riuscii ad essere normale.

In effetti era contro me stesso che lottavo.
Sin dal primo momento, pur di mantenere l’identità “di rivoluzionario e di contestatario” nella quale mi ero inserito e dove gli altri, con i loro giudizi, mi tenevano rilegato, ho sempre cercato di dimostrarmi freddo e distaccato di fronte a simili eventi. 
Ero veramente impacciato.
Un’idea così nuova, sicuramente rivoluzionaria per antonomasia, quella di crescere un proprio figlio, non l’avevo mai contemplata.
Un figlio!!!!!!!!!!!....mi chiedevo con meraviglia. Per chi! Per farne cosa!
Ero io il padre, certamente, ma chi doveva crescerlo, chi doveva impartirgli la giusta educazione!!!!! Non mi sentivo pronto. L’unica cosa che  desideravo trasmettere a mio figlio era l’Amore per i viaggi e per la libertà………………………..ma queste cose non si trasmettono. Chiunque le possiede. Si risvegliano da sole appena le condizioni sono mature.
A casa nostra le condizioni, per fortuna, non sono mai mancate.
Il desiderio di viaggiare nel mondo per viverlo direttamente, a contatto stretto con la gente che lo popola e con la natura che lo colora,  sono state da sempre esigenze prioritarie nella nostra famiglia.

Appena misi piede nel vano della scala per salire al secondo piano dove   Pina stava per diventare madre, la voce di mia mamma dall’alto mi gridò……….è maschio……..è maschio……ma dove sei stato……….!
La sofferenza Le si leggeva negli occhi e dal volto Le traspariva una pesante stanchezza.  Era distrutta, sciupata e piangeva a dirotto. Non riusciva a dimenticare il dolore fisico e psichico vissuto durante il parto e non voleva vedere ancora il bambino.
Non sapevo come comportarmi. Cosa fare. Giravo attorno a me stesso senza alcun pensiero definito. Il fluttuare della mente mi rendeva tutto così confuso. Le decisioni da prendere lasciavo che arrivassero da sole.
Pina in quel momento non era mia. Apparteneva a sua mamma……….a mia mamma, che Le stavano addosso per esaudire ogni suo desiderio. Tentavo di abbracciarLa per darLe un poco della mia serenità………………ma Lei era in dormiveglia, farfugliava parole di sofferenza, si lamentava e inveiva verso i medici…….assassini!!! Proprio così. Era stata molto maltrattata e l’unica sua reazione era quella di offenderli.

Ero felice!!!!!!!!!!!! Credo di si.
La tipica felicità  di un ragazzo che ancora non si rende consapevole della nuova realtà. Ancora non mi rendevo conto di cosa era avvenuto. Navigavo tra il vacuo e il razionale, tra i sogni di ragazzo e le responsabilità di padre.

Non so  sugli altri quanto determinante possa essere l’arrivo di un figlio. Su di me l’arrivo di Antonio non sconvolse assolutamente nulla. Rimasi, e lo sono ancora oggi, innamorato dei miei sogni. La Sua presenza, da subito, divenne un elemento naturale da inserire nella normalità della nostra vita.
Negli anni a venire lo lasciavamo spesso, e per lunghi periodi, da mia suocera per continuare le nostre avventure.
In periodi diversi, per diversi anni, lo portammo con noi in giro per il mondo………………e fu veramente meraviglioso.

L’insegnamento che da il contatto diretto con la strada è quanto di più formativo possa esservi per un ragazzo.
Con noi a soffrire giorni interi sui bus guatemaltechi o su i taxi brouss del Malì, o sdraiato al sole nelle spiaggia incantata di Unawatuna nello Sri Lanka. Un vero addestramento alla vita, fatto di sofferenze e di gioie allo stesso momento, di forti tensioni dovute alla precarietà dello spostamento, di poco sonno in letti sudici e di pacifiche dormite cullate dal rumore delle onde, di rischi reali di malattie, di colpi di sole o di freddo intenso capace di provocare congelamenti.

Quel giorno segnava un grande cambiamento nella mia vita. Con Pina lo vivemmo alla grande, nella consapevolezza che da quel momento in poi accanto a quel camminare spensierato di prima vi sarebbe stata anche la figura di Antonio.



                L’arrivo di Antonio a casa coincideva con l’entrata del carnevale. In quegli anni ancora veniva vissuto in una baldoria  di gioia collettiva. L’intero paese trascorreva 15 giorni posseduto da questo clima festoso e da profondi risvolti sensuali. Musica e sesso. Un binomio molto di moda in quel periodo.
Chi ancora non aveva la ragazza, la spregiudicatezza della piazza avrebbe senz’altro donato la possibilità reale e risvegliato un coraggio interiore talmente disinvolto da poterla avere o almeno da poter toccare a piene mani svariate forme di seni e di sederi.
Era il carnevale. Un momento di liberazione spontanea da tutti i tabù che imponeva quella nostra società così bigotta.
I locali da ballo solo da qualche anno erano diventati di dominio popolare, quindi, dopo aver lacerato le nostre risorse fisiche nella fantasmagoria della piazza, si andava al locale per continuare l’orgia del divertimento.
Non si prevedeva alcun momento di riposo. Solo poche ore distesi sul letto e poi via……………un’altra notte di baldoria.
Mi ricordo che quell’anno, pur avendo tutti gli amici ancora non sposati, non riuscii a divertirmi con la spensieratezza degli altri anni.
Avevo attraversato il Rubicone. Non avevo più niente da conquistare e nessun corpo da toccare. Adesso avevo la mia Pina sempre con me. Non dovevo più cercarLa dietro le maschere per immaginarmi un contatto con Lei. Improvvisamente era diventato tutto così semplice, poterLa stringere durante un ballo senza sentire addosso la paura di scontrarmi con i suoi genitori che mi guardavano con occhi truci………………..era veramente un sogno!!

La ripresa di Pina avveniva molto celermente. Lei non era il tipo da abbandonarsi sul letto ad aspettare le coccole.
La Sua dinamicità, per chi la conosce, è proverbiale.
Da subito si mise a lavorare, acquistò le forze e con molta serenità iniziò ad allattare Antonio. Sembrava tutto così semplice e normale. A differenza delle tante voci che definivano il matrimonio come la tomba dell’Amore, per noi, questo eventuale rischio non si è mai presentato.
Tra le forti litigate che non sono mancate mai, tra le spaventose crisi economiche lunghe e debilitanti, tra i sogni comuni da realizzare,  tra le impennate frequenti di un Amore appassionante e tra i continui viaggi avventurosi in giro per il mondo, non siamo mai scivolati nella monotonia tipica degli sposati, semmai abbiamo avuto problemi seri per il troppo movimento che ha caratterizzato la nostra vita.

Poche sere uscimmo con gli amici per festeggiare il carnevale…………ma sentivo che non era più come prima. Mentre la piazza vibrava sotto l’incalzante ritmo della musica e  le coppie si stringevano furtivamente cercando un contatto desiderato e i gruppi in maschera sfilavano per le vie del paese riempiendolo di gioia e di colore, io….noi…..eravamo assenti. Lontani, già alle prese con i prossimi impegni con la vita.
Sentivo Pina distante. La sofferenza del parto ancora non l’aveva del tutto dimenticata e poi correva col cuore verso nostro figlio rimasto a casa con i nonni. Le stringevo la mano immaginandomi di essere ancora fidanzati……ma i pensieri volavano lontano.

Stavamo cambiando. L’aria stessa stava profumandosi di nuovi valori.
Sentivo quella tipica brezza rinfrescante che emana il cambiamento. Stavamo transitando lentamente, insieme, verso un altro corpo, un'altra coscienza. Non era un mondo nuovo, la tipica realtà sottomessa agli obblighi familiari e sociali,  quello che stava per arrivare. Era il risveglio della coscienza che mi trascinava con delicatezza nel mondo dello Spirito.
Era il momento di lasciare andare…………………….di lasciarmi andare al silenzio che proviene dal mio intimo. Di ascoltare i sommessi consigli della coscienza che, sottovoce, per non stravolgere la certezza del conosciuto, mi sussurrava all’orecchio……………………..Fermati!.........Ascolta!...............e cammina………un passo dietro l’altro.
Adesso sei Tu a camminare………..rimanendo fermo.
Gira su Te stesso. Rimani immobile……..e osserva il mondo mentre gira…………….L’eterno “motore immobile” aristotelico. Era la mia coscienza che si stava risvegliando…………..e camminava.

Quello è stato l’ultimo anno che siamo andati in giro per locali durante il carnevale. In futuro altre volte ci siamo sentiti attratti dalla musica, ma non ci siamo più divertiti con la stessa intensità di quegli anni.
Adesso era il momento di lavorare.
Guadagnare del denaro era l’esigenza primaria, e non potevo più giocare.
In quel periodo mio padre, tramite i suoi agganci politici, stava per inserirmi in un ufficio regionale. Qualcuno, purtroppo, dall’altra parte politica, con molta malignità, riuscì a non farmi assumere perché pretendevano che rinunciassi ufficialmente ai miei ideali politici. Non rinnegai mai me stesso. Con orgoglio e con una passione rinnovata, continuai le mie lotte tenendo alta la  bandiera della libertà.
Abbandonai il partito in futuro, nel ’77, dopo l’infausta scelta del compromesso storico.  

Intanto l’amore e la curiosità per la fotografia stavano prendendo lentamente sempre più spazio nella mia vita. Quel carnevale, mi ricordo, feci qualche foto tra amici ottenendo un ottimo consenso. Non ricavavo alcuna somma, anzi vi rimettevo del denaro…….però ero felice. Felice!!! Inconsciamente era come se in quell’azione presagissi il mio futuro, e, senza rendermene conto, stavo lavorando alacremente per esso.
In paese ero molto conosciuto.
La mia vita già sin da allora era pubblica e, grazie all’impegno politico e sociale, con grande facilità riuscii a farmi accettare anche come fotografo.
Bisognava avere una macchina migliore, un flash e una relativa spinta economica per iniziare l’avventura. Ne discussi con Tino e insieme decidemmo di comprare un proiettore per stampare da noi almeno le  foto in bianco e nero.
Decisi di non regalarne più, anzi decisi di chiedere in cambio una piccola somma per coprirne le spese. Comprammo un proiettore per stampare e approntammo una camera oscura all’ultimo piano della casa in cui vivevo. L’unico inconveniente consisteva nel dover attraversare, anche di notte, la stanza da letto dove dormivano Pina e Antonio.

Il miracolo in questo caso si era davvero manifestato. Da niente e per pura curiosità in quell’infima e fredda stanzetta stava nascendo il mio futuro. In seguito avrei avuto un mio studio fotografico iniziando l’unica attività della mia vita: Il fotografo.
Fotografo di cerimonie, di ricorrenze, di inaugurazioni varie, di feste di ogni tipo. Ero un fotografo giovane, innovativo, quindi con molta naturalezza e soprattutto con grande onestà oscurai la figura dell’altro fotografo richiamando su di me l’attenzione di tutti i mottesi.
Non è stato un inizio difficile.
Quel semplice gioco dal quale ero partito, con il quale trascorrevo diverse ore in camera buia a sognare davanti l’apparire “miracoloso” di scene paesane su un foglio di carta,  si stava trasformando in un lavoro duraturo, remunerativo e soprattutto LIBERO.

L’unica cosa che desideravo in quel periodo era non perdere la libertà. La bandiera dei miei ideali non volevo affatto disperderla nel vento dei compromessi. In quegli anni i miei primi veri maestri furono i grandi Anarchici dell’800 e del 900. L’ideale dell’Uomo libero, che cammina a viso scoperto, senza scendere a compromessi, insegnatomi dalla gloriosa figura  di un Errico Malatesta o di un Bakunin in perenne lotta contro il potere assoluto che regnava a quei tempi, mi hanno fatto sognare. Non potevo ignorare i miei anni di contestazione vissuti con Gramsci o Lenin sotto braccio………………….le sofferenze degli emigrati con i loro sogni repressi, la loro emarginazione……………….le mie strade del mondo, i miei sotto-ponti romani. 
E tutti quei piccoli grandi Maestri che mi hanno dato tanto, che hanno sagomato il mio corpo e risvegliato la mia coscienza……come non posso ricordare il mio  Franco Canfailla il quale mi parlò per primo dell’ideale comunista mentre studiavamo (’67, ’68) nel collegio di S. Agata di Militello………………e ancora prima il mio Dylan con le sue armonie contestatarie, e il mio Kerouac con la sua “strada”.
Erano i miei miti ed io mi sentivo un loro erede. Dovevo portare alta la bandiera della libertà   e continuare con orgoglio ad espandere nel mondo i loro insegnamenti.
In futuro, man mano che le condizioni cambiavano e le mie richieste interiori divenivano sempre più esigenti e profonde, si presentarono tanti altri Maestri. Entravano in silenzio, mi lasciavano qualcosa dentro, e sempre in silenzio lasciavano spazio ad altri Maestri.
La cosa strana per me è stata avvertire la loro presenza in assoluta simultaneità, come se fossero Uno. In effetti la Verità ha molteplici aspetti e cammina per diverse vie, ma alla fine ci si rende conto che è UNA PER TUTTI. Ogni rapporto contiene in sé un insegnamento, ed ogni Maestro è considerato tale da chi al momento si trova nelle condizione interiore mature per accettarLo.
Era questo il mondo dal quale provenivo, e non potevo ignorarlo.

Aprii un piccolo studio  proprio qualche settimana dopo l’arrivo di Antonio. Con Tino continuammo ancora qualche mese insieme e poi Lui decise, preso da un altro lavoro, di abbandonare l’impresa lasciandomi da solo in questa avventura.
I primi lavoretti che feci mi permisero di comprarmi le macchine  per lavorare. Ero orgoglioso di me stesso.
Mentre Pina si dedicava con Amore alla crescita di Antonio, io riprendevo lentamente a sognare. Compravo libri di politica e di Buddismo.
Dai libri di Tucci, scoperti nella biblioteca comunale di Motta, scoprivo il Tibet misterioso e l’incantevole città di Lhasa. Il palazzo del Potala, sede spirituale e governativa del Dalai Lama. Già sin da quegli anni era un mio mito e una tappa della mia vita………………..la raggiunsi nel dicembre del 2003 insieme a Pina, a Turi e ad Antonella non prima di aver assistito ad una iniziazione diretta del Dalai Lama a Gangtok, in Sikkim.
Adesso avevo uno studio di fotografo tutto mio.
Bisognava dargli un aspetto decente per renderlo accogliente e lanciarlo in un futuro glorioso.
Fu veramente una gloria. Una vera apoteosi di successo e di soldi.
Da subito cominciai a lavorare coprendo interamente l’intero paese e allargandomi addirittura in altri comuni, grazie anche alle tante amicizie che avevo.
Il primo lavoro importante che feci  fu il matrimonio di Giovanna Limoli. Ebbi un ottimo risultato, ma lo consegnai solamente 25 anni dopo………..e  non agli sposi, loro nel frattempo si erano lasciati, ma a suo fratello.
Sembra strano, ma anche quando fuggimmo da casa l’inizio dell’avventura fu segnata da un guasto al furgone……………….eppure tutto è andato bene.

E’ sempre andata bene la mia vita. Non posso lamentarmi. Dal presente al futuro senza alcun ostacolo. Dal presente al passato senza alcuna forma di nostalgia. Un camminare graduale, in ascesa continua, sempre verso la luce con accanto la meravigliosa presenza del mio Maestro.
Non posso trascurarLO.
La Sua immanente presenza  ha contrassegnato la mia vita con il Suo messaggio:  “Dio è Amore…………l’Uomo è Dio……….Tutto è uno”.


            Il trascorrere dei mesi permetteva alle mia capacità di esprimersi con più compiutezza nell’estrinsecare più professionalità nell’arte fotografica. Sconoscevo completamente l’arte della stampa in bianco e nero, eppure spinto dal bisogno divenni un vero conoscitore dei segreti della camera buia. Le pareti dello studio li riempii di immagini tipiche locali con scene paesane prettamente in bianco nero. Appesi al muro primi piani di personaggi tipici del paese e con timidezza iniziai ad esporre qualche piccola foto dei miei viaggi. Gli davo lentamente un anima ed aprivo inconsciamente un dialogo con la gente, difatti in tanti mi chiedevano informazioni sulle immagini esposte.
In futuro divenne una vera galleria “geografica”, dove esponevo le bellezze del mondo, in particolare quelle dell’ultimo viaggio.

Entrare nel mio studio era come partire per una lunga avventura.
Negli anni a venire, mentre il tempo inesorabilmente segnava  sui nostri visi e sul nostro corpo il peso del suo trascorrere, le immagini del mondo che venivano esposte nello studio ne riproducevano il  lento divenire.
Da ragazzo con la barba lunga e nera, a persona matura, più ingrassato, con i primi capelli bianchi, le prime rughe…….leggere…….poi più marcate, capelli più corti, grigi, con molte chiazze bianche…………..anche Pina osservandosi in quelle foto poteva  decifrare, a volte con nostalgia, il procedere incessante  del Suo aspetto.
Cambiavamo fisicamente………..un anno dopo l’altro, un viaggio dopo l’altro, però la passione, l’Amore, la consapevolezza di camminare in un mondo stupendo, preordinato per essere conosciuto, vissuto e sofferto, non  sono mai tramontati.
Passavo lunghe ore a contemplare quelle immagini.
Cercavo di immedesimarmi nell’attimo in cui avevo ripreso quella scena…………………….e non smettevo mai di sognare………..andavo oltre quella scena, transitavo naturalmente verso altre visioni………….e mi sentivo in perenne Viaggio.

Con molta riluttanza, in quel periodo, dovetti prendere la patente di guida. Non era nei miei desideri possedere un auto per spostarmi. Conoscevo benissimo il valore educativo che aveva una buona camminata a piedi. Mi spostavo ancora in autostop e poi vi erano gli autobus.
L’importante era non sentirsi perseguitati e spinti dal tempo. Tempo che negli anni a venire divenne tiranno per i tanti impegni di lavoro che prendevo. Fortunatamente non durò molto.
In quei mesi, apparentemente vuoti, cresceva il Nuccio di oggi.
Riempivo il tempo conoscendo l’interno delle case dei miei paesani.
Tra un compleanno e un  battesimo, tra un matrimonio e una semplice ricorrenza avevo la possibilità di accedere nelle case della gente di Motta e lentamente andavo confermando le mie idee  che le case della gente considerata semplice e di basso ceto sociale erano le più sincere e le più calde, mentre le altre, quelle della gente con la puzza sotto il naso, quelle delle elite piccolo borghesi erano fredde, sistemate bene ma prive di quel decoro interiore che permette all’ospite di sentirsi comodamente a casa propria.   
Case allegre, spontanee, piene di gioia e di dignità contrastavano con quelle case tristi,  piene di false apparenze e prive di dignità.
Con me entrava sempre la gioia.
Sorridete, dicevo a voce alta……….occhi aperti e spontaneità.
Non guardate l’obbiettivo e il risultato sarà ottimo.
Stavo iniziando in quel periodo a personalizzare le mie foto creandomi un mio proprio stile, e questo mi rendeva popolare ed unico. Il mio spazio di azione si allargò moltissimo, addirittura mi chiamavano da diversi paesi della provincia e da Catania stessa. Era una pacchia.
In quegli anni le riprese fotografiche si mantenevano sul “serio” e su delle pose statiche e schematiche. La mia intraprendenza scosse quel mondo di scene consolidate e artefatte.
Non è stato difficile farmi accettare così come ero.
Barba lunghissima, capelli lunghi, jeans scoloriti, ciabatte anche nei matrimoni e comunista anarchico in tutte le situazione. Ero il terrore dei bambini. I loro pianti avvertivano i passanti della mia presenza, tanto erano forti i loro strilli. Dovevo nascondermi dietro qualcuno prima di scattare la foto, a volte dovevo fingermi pagliaccio, diventare bambino anche io per convincerli di rimanere per un attimo fermi………a ridere, a giocare.
Così, mentre trascorrevano i mesi, Antonio cresceva in bellezza e la nostra sicurezza economica piano piano andava stabilizzandosi.
Arrivò intanto il momento del nostro primo viaggio da sposati.
L’ottobre del 1973 partimmo per 20 giorni insieme, da soli, con pochissimi soldi, da Palermo a Tunisi in aereo e poi in treno effettuando diversi spostamenti anche in autostop, alla volta dell’Africa.
Un sogno maturato e costruito lira dopo lira già dal mese di giugno.
Appena ravvisai la possibilità reale di rimettermi a viaggiare lungo le strade del mondo, non persi tempo in sogni e, insieme a Pina, iniziammo a mettere da parte qualche soldo, creando da subito le giuste condizioni per riprendere lo zaino, il sacco a pelo e……………….andare via.

Il viaggio l’ho da sempre iniziato a vivere già  molto tempo prima della data fissata per la partenza. E’ come la creazione di un miracolo sul quale si lavora in piena coscienza, anche nei piccoli dettagli, affinché esso si realizzi. In questo modo puntualmente, tutti gli anni, siamo riusciti a far vivere il MIRACOLO.
Lo scegliamo tra i tanti itinerari desiderati e poi………….inizio ad immaginarlo vedendomi già inserito nei luoghi che voglio conoscere………….compro le carte geografiche…………..vado in libreria per trovare le guide……….le leggo………..e da subito mi do un giorno e un’ora di riferimento in cui partire. Prenoto in agenzia il volo e……………….si inizia a viaggiare.
Ciò avviene in genere molti mesi prima. In questo modo spalanco le porte alla mia fortuna dandole tutto il tempo che vuole per agire e,  al miracolo, gli creo  le giuste condizioni, oggettive ed energetiche, per avverarsi…………….proprio in quella data che con tanta gioia e discernimento abbiamo insieme scelto. 
I miei pensieri, il mio corpo, i miei discorsi, i miei sogni, il mio agire stesso e la mia immaginazione, che non smette mai di riempire il sogno, sono tutti protesi verso la realizzazione del viaggio che poi alla fine, MIRACOLOSAMENTE, si concretizza nel modo migliore.


Avevo appena fatto il primo servizio matrimoniale “serio” della mia vita, mi ricordo era il 10 ottobre, che già il giorno dopo, in mattinata, ci trovavamo su un aereo diretto verso Palermo e da lì, su un piccolissimo volo della Tunis air, saremmo partiti per Tunisi.
Il mio solito zaino con l’immancabile sacco a pelo, acquistato per poche lire ad Istanbul nel ’69 mentre attraversavo parte dell’Europa in autostop insieme a Pino, stava per riprendere a correre lungo le strade del mondo.
Non era una novità per “Lui”. Erano nati per questo e per questo volevano continuare ad esistere. Erano sempre pronti. Disponibili. L’uno era di colore avana chiaro ed era impermeabile, l’altro era verde da un lato e azzurro molto chiaro dall’altro. Conteneva piume di oca molto leggere e teneva molto caldo.  Si apriva completamente  divenendo  una larga coperta da poter usare comodamente in due. Lo zaino lo usai per pochi anni perché il suo continuo sali e scendi da autobus sgangherati o da camion impolverati, e sopratutto per i continui strappi dovuti all’uso continuato in condizioni estreme, lo ridussero in brandelli. Il sacco a pelo invece, sino a qualche anno addietro, era ancora in funzione. Lo usammo per 25 anni, anche se ogni tanto lo rimpinzavamo di piume nuove. Occupava poco spazio e pesava pochissimo. La sua presenza mi riportava, del resto anche Pina e poi nostra figlia Alice ne fece largo uso, con la mente e con il cuore alle grandi avventure vissute negli anni passati.
Gloriosi momenti e appassionanti intrecci amorosi Lo hanno reso vivo.

In meno di due ore eravamo già sul suolo africano.
L’aeroporto a quei tempi non era molto grande. Gli zaini li prendemmo noi stessi dall’aereo, pressati in un contenitore di rete che stava proprio in cabina accanto a noi. Le guardie di frontiera si limitarono a controllare i passaporti e con molto distacco ci indicarono la via per uscire. Poche macchine, grande caldo, e molta confusione, nessuno riusciva a darci le giuste informazioni. Fu un impresa arrivare in città. Non era servito da mezzi di trasporto quindi cercammo un passaggio per arrivare a Tunisi.
Avevamo scelto la Tunisia perché Pina da anni intrecciava una corrispondenza con un tunisino di Sfax. Bisognava andare al sud e non era molto facile in quegli anni, specialmente in quel mese di ottobre che si stava celebrando il Ramadan.

Trovammo un passaggio sino in città pagando qualche dinaro. Le strade erano deserte e non si trovava niente da mangiare  pur essendo turisti.
Il Ramadan  svuotava completamente le città dando la possibilità ai fedeli musulmani di rimanere nelle moschee o in silenzio nelle proprie case per pregare il grande Allah.  
Era tutto chiuso e tutto era fermo. Noi, con i nostri zaini, in quella città enorme riuscimmo a trovare un hotel proprio accanto la Medina. Non pagammo molto, i prezzi si mantenevano bassi perché ancora il turismo di massa non era arrivato.
La grande Medina era un immenso bazar dai suk traboccanti e frenetici. Le sue vie si perdevano in un intreccio di vicoli stretti e movimentati. Era veramente la tipica città araba pullulante di vita, di colori, di mercanti esperti nel vendere qualunque merce e a prezzi fluttuanti che levitavano di volta in volta, a seconda del tipo di turisti che al momento stava per acquistare. Suk profumatissimi pieni di spezie orientali e di oli ed essenze profumate. L’arabo è un esperto mercante. E’ molto furbo e sa come trattare il cliente.
Allora Tunisi era visitata da pochi turisti. Quindi i rapporti con la gente erano genuini e molto semplici.
Con Pina ricordo di aver trascorso un giorno intero girando a zonzo, senza alcuna meta. Non avevamo nessuna guida  della città. Avevamo solo una cartina stradale della Tunisia che ci permetteva di conoscere l’ubicazione delle città principali.
Allora si che eravamo grandi viaggiatori. Ci interessava solo conoscere le varie strade da percorrere per spostarci verso la prossima meta.  
Hammamet era un semplice e piccolo villaggio di pescatori con un mare stupendo e con una stupenda popolazione berbera disposta al sorriso e al contatto umano. In treno ci spostammo verso Sfax, nel sud della Tunisia, per andare a conoscere Mohamed Abdeledi, il corrispondente di Pina.
Arrivammo la sera sul tardi. Con noi vi era un austriaco dall’aspetto un po’ strano. Aveva un pesante cappotto e si spostava con sulle spalle una grande valigia tenuta legata da uno spago. Insieme, dopo aver valutato la possibilità di dormire fuori, abbiamo trovato un piccolo hotel proprio fuori la Medina  dove  trascorrere in sicurezza la prima notte.
Il corrispondente di Pina l’avremmo cercato il giorno dopo nella speranza di trovare il luogo dove abitasse.
Eravamo da pochi giorni in Africa e con la mente spaziavamo lungo gli aridi deserti attraversate da carovane di cammelli che trasportavano il sale da un luogo all’altro, sognavo le intricate foreste dove vivevano gli animali dei miei sogni e dove tribù feroci bollivano nelle loro pentole gli incauti avventurieri.
La mattina dopo con in mano un paio di lettere e qualche foto di Mohamed,    attraversammo la Medina per andare alla ricerca della via, o meglio della zona, dove viveva la famiglia Abdeledi. A via di informazioni rintracciammo la casa in cui viveva, entrammo suscitando grande curiosità e sopratutto grande ammirazione.
Pina da subito entrò nelle loro grazie. Tutta la casa si muoveva intorno a Lei. La vestivano da berbera, la truccavano, la imboccavano e le donne la trascinavano con molta grazia nel loro mondo inoltrandola nelle loro stanze, svelandole il loro viso e confidandole i loro sogni repressi.
Vivono completamente al buio.
In 20 giorni di permanenza non sono mai riuscito a vederne qualcuna in viso. Con Pina mangiavano in disparte e quando uscivano la portavano  in visita ai loro parenti come se fosse un animale da esibire. Io rimanevo da solo o con Mohamed a discutere sulla situazione politica del momento. Il padre aveva un piccolo Suk alla medina dove tesseva e vendeva tappeti. Era anziano e logorato dal peso degli anni.
Mohamed dall’aspetto sembrava un occidentale del nord. Biondo, magro, di carnagione chiara, parlava benissimo il francese e studiava dagli zii a Tunisi. Era molto timido e in parte innamorato di Pina e dei suoi begli occhi.
Tutti si innamoravano di Pina in quegli anni.
La Sua bellezza orientale, i suoi occhi scuri e brillanti e il suo meravigliarsi di fronte a qualunque cosa, attiravano gli sguardi e i sentimenti di chiunque. Uno zio di Mohamed non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, Le ha offerto tanti cammelli pur di trattenerla con se.
E’ un modo come un altro per dimostrare affetto ed amicizia.
In questi casi non bisogna dare molto spazio ai pretendenti. Si rischia l’incomprensione e le conseguenze potrebbero essere fastidiose.
I giorni trascorrevano con estrema normalità. Il Ramadan imponeva delle regole ferree da rispettare. Principalmente non si poteva mangiare durante il giorno, non si poteva fumare e in tanti decidevano anche di non lavorare. Il rispetto alle leggi coraniche in questi luoghi è molto sentito.
Per gli ospiti occidentale la deferenza a  queste tradizioni non era obbligata, potevamo mangiare o fare qualunque altra cosa. Le donne di casa potevano servirci qualunque cibo se lo desideravamo.
Preferimmo rispettare le regole del Ramadan pur di non forzare nessuna di quelle sane abitudini.
Aspettavamo la sera per mangiare tutti insieme e festeggiare l’inizio di una notte di musica e di baldorie. All’imbrunire le strade si riempivano di colori fastosi e di musiche religiose che inneggiavano le opere del profeta Maometto.
Noi ci sentivamo felici di trovarci in questo mondo e di sentirci perfettamente a casa.
Cercavamo di non sconvolgere nulla dell’esistente, anzi ci sentivamo trascinati da quel mondo così magico, come quando la mattina venivamo coccolati dall’armoniosa voce del Muezzin.
La nostra cultura è bene che ogni tanto si ridimensioni e la smetta di considerarsi superiore o dominante. Qualunque popolo ha il diritto di vivere liberamente nel rispetto delle proprie tradizioni culturali, sociali e religiose.
Gli ospiti, in quel caso, eravamo noi e toccava a noi accettare quel mondo “così come era”, senza togliervi o aggiungervi nulla.

Dopo qualche giorno ci organizzammo per andare via da Sfax e vagabondare per l Tunisia del sud.
La grande moschea di Kairouan  e la sua fitta medina dalle viuzze molto strette, che traboccavano di mercanzie e di ragazzini a caccia di turisti, ancora mantenevano quel tipico mistero orientale dagli odori forti e speziati.
Il turista era un ingenuo pollo da spennare, e lo sapevano pelare alla grande. Noi, inesperti e ragazzi ancora non smaliziati, eravamo facili prede. Prendemmo poche fregature, anche perché non avevamo soldi da spendere e poi eravamo più presi dall’idea del viaggio che dal comprare merce esotica. La sola sensazione di trovarci in quel luogo, terra affascinante ed immensa, tutta da scoprire, ci riempiva completamente.
Ragazzi pieni dei nostri sogni, aperti a qualsiasi piccola avventura.

Kairouan ci intrigava moltissimo. Attorno alla grande Moschea girava l’economia della città. I suk contenevano l’essenza del mondo arabo. I profumi inebrianti attiravano il turista e ammaliavano le poche donne che vi erano in giro. Con il viso coperto da un fazzoletto riuscivano a trattare con destrezza su qualunque merce. Forse era l’anonimato a farle essere così brave nel contrattare il prezzo da pagare, fatto sta che riuscivano sempre ad ottenere la merce al prezzo che imponevano loro.
Le gioiellerie scintillavano di oggetti in oro.
Passavamo ore intere a girovagare. A volte ci perdevamo senza rendercene conto, però eravamo felici ugualmente. La folla ci trascinava con sé e le grida, confuse con gli odori intensi, ci proiettavano in un mondo da favola.
Era bello perdersi. Non sapere dove ci trovavamo, entrare ed uscire dai  piccoli suk spinti semplicemente dalla curiosità e dal desiderio di vedere e toccare quante più cose possibili.
Vi erano tappeti coloratissimi, vasi  in ottone cesellati, monili in argento, e tanti piccoli bugigattoli pieni di cianfrusaglie varie, piccoli salvadanai, fischietti in terracotta, cuscini in pelle, bastoni scolpiti…….vi erano pire di bottigliette in vetro che contenevano essenze di profumi inebrianti.
Profumi esilaranti e fetori nauseabondi si confondevano perfettamente creando odori indefinibili.
Era tutto così complesso, inscindibile, inidentificabile, che le diversità si confondevano l’uno nell’altro perdendo la loro identità.

Ci fermammo qualche giorno e poi partimmo alla volta del deserto, verso l’oasi di Touzer passando per Gafsa. Il grande palmizio di datteri con le sue fresche sorgenti creava un oasi di rilassatezza. Il turista si spostava su cammelli affascinato dalla presenza di qualche villaggio berbero che con difficoltà cercava di preservare le ultime tradizioni. Tra pochissimi anni l’invasione del turista globalizzato ne avrebbe decretato la fine. Vi erano pochissimi hotel e le strade ancora non erano asfaltate. I mercanti ci chiamavano offrendoci il the e, insieme, ci gustavamo la gioia di stare vicini scambiandoci emozioni e sorrisi.

Vi ritornai nell’80 in jeep assieme a Pina, a Nino ed a Vera diretti in Algeria alla volta di Tamanrasset, il regno dei Tuareg, i famosi uomini blu. Il piccolo paradiso che abbiamo lasciato solo pochi anni fa, non esisteva più. Le strade erano asfaltate e numerosi gruppi di turisti scemavano con tracotanza inquinando la genuinità di quel luogo.
Il sogno era finito, erano arrivati gli “assimilatori” che volevano tutto disposto, anche se artificialmente, a proprio uso e consumo.
Un vero dramma.

Attraversammo il deserto di sale,lo Chott Cherid,  sino a Matmata, Medenine, al confine libico, Gabes e poi  in una lunga corsa, in autostop, su di una macchina guidata da francesi alla volta di Sfax.
In quegli anni in Africa era molto facile spostarci chiedendo passaggi.

La paura l’ho percepita e vissuta direttamente qualche anno addietro quando, durante l’estate del 1970, mentre mi spostavo in autostop da un punto all’altro del vecchio continente. In quegli anni purtroppo l’Europa stava rigurgitando il peggio di sé. Una ventata di nazionalismo stava appestando le bellezze esistenti, e per le persone libere, senza frontiere e senza bandiera, i pericoli erano veramente rilevanti. Ad Amsterdam addirittura molti di noi vagabondi furono bruciati dentro i loro sacchi a pelo mentre dormivano. La polizia con il suo silenzio sosteneva simili azioni e noi fummo costretti a rifugiarci dentro gli ostelli per non cadere tra le maglie malefiche di questa forma di pazzia.  

I tunisini erano molto curiosi. Volevano parlare e chiedevano continuamente notizie sul mondo occidentale. Comunicavamo in francese cercando di esaudire le loro richieste. A volte non era facile, però bastava raccontare qualunque cosa per meravigliarli e farli sorridere.
Per noi l’importante era camminare, percorrere quanta più strada possibile anche se non visitavamo nulla. L’idea del turista che accumula visioni e immagini fotografiche non ci apparteneva.
La strada ci riempiva ed era il nostro regno.
Camminandovi su e osservandola da dietro i finestrini di una macchina si assiste ad uno scenario in continuo movimento e in perenne cambiamento.  Era piena di cammelli che si scontravano l’un l’altro, vi erano un’infinità di ragazzini che correvano dietro le macchine, i bordi delle strade traboccavano di  venditori delle mitiche  “rose del deserto”, ogni tanto qualche turista accostava la macchina e si fermava a comprare qualche merce tradizionale.

Non si smetteva mai di contrattare. Anche se i prezzi erano molto convenienti, per un viaggiatore è un obbligo mercanteggiare. La sensazione di risparmiare qualcosa fa vivere meglio il viaggio.
Il turista è una fonte di guadagno da non farsi scappare, pensano.
Vi è poi la strada che con le sue variopinte visioni rende sempre nuova la passione del viaggiare.
Ristorantini ambulanti e mercanzie traboccanti si mescolavano con improvvisati
riparatori di gomme che a causa delle pessimi condizioni delle strade guadagnavano da vivere. Venditori di acqua e procacciatori di camere da letto si intrecciavano confusamente come se al caos gli si volesse dare un ordine.
La strada  teneva in sè tutte queste realtà. Un rapporto diretto, vivo, fraterno, pieno di pacche sulle spalle e di sorrisi accattivanti. Solidarizzavamo con chiunque, consapevoli che la nostra vita dipendeva dalla bravura dell’autista e che la nostra serenità era legata agli umori della gente. Il contatto con la realtà era talmente ravvicinato che non potevamo permetterci  alcuna svista.  
Rientrammo a Sfax al buio.
Per rintracciare i nostri amici perdemmo qualche ora, ma poi alla fine tutto si concluse nel modo migliore. Portammo qualche regalino ai bambini e raccontammo le avventure che ci erano capitate in quei giorni.
Il rientro in Sicilia era ormai vicino.
Eravamo convinti che questa breve esperienza tunisina avrebbe segnato l’inizio di infinite avventure per le strade del mondo. Effettivamente quello è stato solamente un fugace esordio…..tante altre visioni affascinanti avrebbero riempito i nostri cuori e mai, posso confermarlo, ci saremmo stancati nell’assorbire tutta quella conoscenza che la strada ci avrebbe regalato passo dopo passo.

Durante il ritorno ci siamo fermati a Scusse per ammirare le Sue enormi mura di cinta. Vi era la solita frenesia della gente e la stupenda Medina che stavolta  stranamente sembrava pulita. Il mare ne mitigava l’aria rinfrescando quell’arsura che di solito imbottiglia tutte le altre città tunisine. Brillava per la Sua nitidezza e per quei Suoi bar che attiravano tanti di quei nuovi ragazzi che si stavano affacciando al mito occidentale il quale, da li a poco, li avrebbe assimilati scalando la genuinità delle loro menti.
Era già iniziato il dramma del declino!!!.
Mi ricordo che dormimmo in un hotel proprio in riva al mare, e proprio in una di queste mattine, all’alba, ci sdraiammo sulla spiaggia abbandonandoci l’uno dentro l’altro in un amplesso  dolcissimo. I raggi del sole, in silenzio e in solitudine, ci accarezzavano la pelle………ed eravamo veramente felici. La gioia di trovarci lì, in quel luogo, soli, ragazzi sognatori, pieni di infinite bellezze, ci faceva amare ancora di più il mondo.
Un dolce ricordo di quel momento lo conservo nel cuore e lo rivivo continuamente ammirando la mia Pina in una grande foto appesa al muro mentre scruta il risveglio del sole.
E’ stato molto bello. Ancora oggi  penso a quei momenti e, ricollegandomi ad essi con la mente, non posso fare altro che ringraziare la vita per come mi ha sorriso in tutti  questi anni.
In altre parti del mondo, distesi su spiagge bianche o infilati dentro i nostri caldi sacco a pelo, abbiamo vissuto il rito dell’Amore…….e ci siamo sentiti liberi, felici e innamorati.
Ritorniamo a Tunisi e proseguiamo alla volta di Cartagine per ammirare gli ultimi resti di una civiltà ormai scomparsa. Vi erano solo ruderi inconcludenti di colonne, qualche residuo di sculture cartaginese e molta possibilità di far lavorare la fantasia per ricreare i fasti di una civiltà che era riuscita a far tremare l’immenso potere romano.
Era tutto un campo di pietre caoticamente ammassato.
I ragazzini saltavano dal ritaglio di colonna sul pezzo di una gamba marmorea  giocando a nascondiglio o disturbando gli incauti turisti. Noi siamo stati presi a sassate e ci è toccato correre di gran lena per non essere colpiti.

Rientrammo in Sicilia con il solito piccolo aereo nel bel mezzo di uno sciopero che ci bloccò a Palermo e poi, dopo diverse ore, decidere di affittare un’auto per rientrare a Catania.
Il piccolo Antonio lo ritrovammo leggermente cresciuto e molto sereno. Evidentemente i genitori di Pina, forse più di noi, lo hanno accudito amorevolmente.

In genere non penso ai miei figli durante il viaggio, so che sono in buone mani e so che pensarli potrebbe intristire la bellezza del momento.
L’idea di rientrare a casa e trovare un figlio, ancora non mi si era radicata dentro. Non sentivo il peso delle responsabilità….e non li sento nemmeno adesso……ero ancora un ragazzo che amava i suoi sogni e che per essi avrebbe fatto qualunque pazzia.
Guardavo sempre oltre. Non avvertivo il peso della realtà, mi sentivo svuotato da impegni sociali e cercavo sempre di sorvolare sui problemi trasformandoli in facili soluzioni. Forse ero un egoista, preso dalle mie idee e dai miei viaggi, ma ho sentito sempre l’alito della Vita corrermi davanti…..forse è stato per questo che non mi sono mai sentito una persona “matura”.
Lasciavo scivolare le cose e trasformavo gli ostacoli o gli impedimenti in occasioni di crescita vivendo qualunque momento come una nuova esperienza sentendomi eternamente “sulla strada”.
Al momento decisivo la risoluzione si è sempre presentata naturalmente togliendomi come per miracolo dai guai.
E’ il sorriso che  ritorna. E’ l’Amore che diventa un boomerang e ritorna inesorabilmente nello stesso luogo dal quale è partito.
Piccoli passi, ma grandi conquiste. Impercettibili a volte, ma incisivamente strutturali.

La nostra vita in quegli anni si svolgeva in modo molto semplice, avevamo poche esigenze però le cose che ci arrivavano erano veramente importanti.
Il lavoro per Pina si presentò qualche anno dopo improvvisamente, in un momento in cui cominciavamo a sentirne l’esigenza.  Costruimmo la casa senza alcun problema. Crescemmo il figlio in salute e in modo naturale.
Grandi viaggi, grandi avventure, esperienze profonde e in continua ascesa. Comprammo la prima macchina dopo qualche anno e presi la patente con semplicità senza averla mai desiderata…………………….

Quell’anno se ne andò via nel modo migliore.
Grazie.

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        1974

La nostra piccola casetta si era presentata al nuovo anno infreddolita, piena di umidità e sommersa dall’acqua che quell’anno, ricordo, non diede alcuna tregua. Lo studio di fotografo lentamente stava acquistando clienti e la sua fama aveva già oltrepassato i confini paesani. Un mio grande amico, maestro di politica, compagno di partito e di prodigiose lotte politiche durante l’anno scolastico (69-70) trascorso a S. Agata di Militello, venne a sapere del mio nuovo lavoro e con molta sollecitudine mi rintracciò invitandomi a fargli qualche servizio fotografico. Era di Ramacca, Ciccio Canfailla, quindi dovetti provvedere subito a comprare la macchina e a prendere la patente. Non potevo assolutamente vivere da recluso in un paese che si stava dimostrando molto stretto per il mio lavoro.
Intanto Antonio stava per compiere il suo primo anno di vita ed era usanza riunire la famiglia, il padrino, Pino Pesce, e qualche amico. Si svolse tutto nella massima ristrettezza. Lo spazio era ridotto e di soldi non ne avevamo tanti. Un momento per incontrarci, sorridere, guardarci e immaginarci un futuro migliore.
Ero il primo tra tutti gli amici ad aver fatto il grande passo.
Chissà se per qualcuno sono servito da esempio da emulare?!
Gli altri, negli anni a venire, si sono sposati tutti. Hanno avuto dei figli e quell’amicizia, spensierata e libera da obbiettivi da raggiungere, con qualcuno rimase, con altri, negli anni, andò diluendosi per i soliti motivi dovuti al tempo e alla diversità di strade da seguire.
La mia nuova situazione naturalmente tendeva a selezionare gli amici.  Ognuno, rispettivamente, sceglieva percorsi diversi in sintoni con le realtà e con le esigenze che momento dopo momento  maturavano attorno a noi. Mi allontanai sia dalla politica attiva sia dal frequentare il partito. I nuovi impegni da sposato, con una famiglia sulle spalle,  in quel periodo stavano cambiando il mio modo di vivere. Ero ormai una persona seria!!! matura, con le scontate responsabilità!!! tipiche in chi si adegua tacitamente senza tentare alcun accenno di ribellione.  

Con Pina spesse volte abbiamo cercato di assumere questo ruolo, ma puntualmente tutte le volte, a prevalere, era la nostra diversità……….il nostro anticonformismo. Insistevamo nel voler rimanere ragazzi a tutti i costi, anche se era molto difficile. Questo nostro comportamento ci costringeva a scontrarci con l’etica sociale che in quegli anni costringeva inesorabilmente il “diverso” ad omologarsi rimanendo in silenzio.
Era il bisogno incalzante di lavoro e le tante esigenze materiali ad imporre con autorità il rispetto alle regole. Difficilmente si rimane puliti e liberi quando ad imporre il cambiamento non è il naturale procedere della vita, ma bensì la persistente necessità di un lavoro che serve per mantenere la famiglia.
Non fu facile in quegli anni camminare a testa alta.

Uscivamo tutte le sere lasciando Antonio dai miei suoceri. Si girava per  cinema o per i tanti centri politico-culturali che andavano sorgendo in ogni angolo della città. Continuavo a sostenere quella mia sana abitudine di comprare libri, che sceglievo usando quel tipico discernimento di chi sta vivendo momenti indescrivibili di fermento interiore e si abbandona a qualsiasi tipo di lettura purchè ne raffiguri e ne interpreti l’ansia del momento. Frequentavo con assiduità le biblioteche dell’Università Centrale e del Magistero di Catania per ampliare la mia conoscenza in un ambiente dove si respirava cultura e libertà.

Un libro dopo l’altro, prima di politica, di viaggi, di avventure per il mondo, per finire alla fine, e rimanervi orgogliosamente sino ad oggi, ai libri di Spiritualità. La ricerca di Dio, di me stesso, dell’oriente, dei misteri della psiche, Jung, Maslow……Fromm.  I primi libri di Buddhismo li lessi nella biblioteca universitaria di Catania. Ore luminose ed intense  li trascorsi inchinato su volumi che parlavano di oriente, di India e di prodigiosi mistici che ammaliavano le menti occidentali.
La piccola immaginetta del mio Maestro ancora si ostinava a non distinguersi tra i tanti Maestri che andavo conoscendo……dovevano trascorrere ancora altri 14 anni prima che mi si rivelasse nella Sua grandiosità.

Quell’anno, mi ricordo, fu l’anno della fulminazione.
In una libreria di via Umberto a Catania, vidi l’immagine di Paramahansa Yogananda raffigurata su uno dei libri più belli e affascinanti che abbia letto in vita mia: “Autobiografia di uno yogi”.
L’avventura di un ragazzo che lascia tutto perché innamorato di Dio e non desidera altro che trovarLO. Un mondo incantevole, pieno di storie meravigliose dove l’immanente presenza di Dio è così seducente, ed accessibile nello stesso tempo, che da quel momento in poi ne rimasi sedotto per sempre.
Lo comprai senza guardare il prezzo. Lo portai orgoglioso a casa e mi misi da subito a leggerlo.
Le Sue avventure tra mistici e Sadhu colpirono profondamente la mia mente. La mia immaginazione prese a volare condizionata dalle letture fantastiche che andavo facendo in quel periodo. Luoghi santi e fiumi sacri, dove la ricerca del Divino esaltava la figura di quei personaggi  misteriosi di cui parlava Yogananda, percorrevano le anse della mia mente riempiendomi di energia positiva e indirizzandomi alla visione di un Divino che, da quel momento in poi, ha smesso di vivere fuori dal mio corpo e lontano dai miei pensieri. Un Divino che smise di impaurirmi, che mi richiamava per le inconsapevoli azioni “da peccatore”, divenne un entità che mi entrava dentro, che viveva già dall’eternità dentro di me, che non era più uno straniero potente e giudicatore………………ero me stesso che, dietro quella lettura incantevole, lentamente, acquistavo coraggio, consapevolezza e conoscenza.
Grazie a quel personaggio, che per diversi anni lo portai nel cuore, sentendoLo come il mio Maestro, quella paura congenita di un aldilà ignoto, tetro, la sentivo sparire mentre transitava nella luce della liberazione.
Trascorsi anni pervaso da questo nuovo bagliore e da questo Maestro di vita. Comprai altri  Suoi libri e, mentre leggevo i Suoi Discorsi, spesse volte mi sentii rapito dalla descrizione che dava della figura di Dio.
I libri di politica andavano sparendo gradatamente mentre venivano sostituiti da altri libri che rispecchiavano questa  nuova riscoperta di un  Divino che, nel silenzio del Suo messaggio, ci vive dentro e ci si incarna assolutamente con la nostra Essenza.

Il carnevale di quell’anno fu il primo di tanti altri in cui lavorai moltissimo. Erano gli anni delle maschere di Zorro, di Sandokan, dei puffi, delle principessine e dei pierrot. Lo studio si riempiva già dal primo pomeriggio fino a notte fonda. Mamme che portavano i propri figli e gruppi in maschera  che cercavano un ricordo facendosi fotografare nelle pose più curiose. Conoscevo benissimo il gioco delle luci e sapevo come stimolare il cliente a fare più foto. La novità, a parte la mia bravura, veniva dalle ultime novità in campo fotografico, e cioè che finalmente le immagini a colore entravano correntemente nel nostro mondo e si potevano stampare in un formato più grande del normale.
Quell’anno dovetti prendere la patente per forza di cose. Non riuscivo più a muovermi liberamente, aumentavano gli impegni e possedere una macchina diventava sempre più indispensabile.
Comprammo una R5 di colore bianco e subito iniziammo a progettare favolosi viaggi in giro per il mondo. In poco tempo consumammo migliaia di chilometri, specialmente da quando decidemmo di iniziare a viaggiare per il mondo spostandoci, non più in autostop, ma su quattro ruote. Negli anni futuri andammo in Iran in macchina e poi in Portogallo passando per la Spagna e poi ancora percorrendo parte dell’Europa…..un nuovo modo di viaggiare che ci diede infinite soddisfazioni mettendoci a contatto diretto con un mondo che vive ai bordi della Strada.

La nostra casetta non permetteva alcun incontro con gli amici. Era troppo angusta e piccola, quindi stavamo quasi sempre da soli e quasi ogni sera, appena chiudevo lo studio, andavamo in giro per la città vivendo felicemente la nostra avventura. Accumulavo libri in librerie inesistenti. Li tenevo per terra o sopra le sedie….l’importante averli sempre a portata di occhi in modo da consultarli continuamente. In quel periodo iniziai a mantenere una specie di diario dove annotavo sensazioni ed emozioni quotidiane che mi coinvolgevano.  
Iniziavo nel frattempo a guadagnare qualche soldo.
Pur vivendo in una situazione molto precaria, mi ricordo, avevo un salvadanaio dove avevo scritto “Africa”, nel quale, ogni sera, una piccola parte del ricavo giornaliero lo buttavo dentro sperando di ripartire molto presto in giro per il mondo.
Il prossimo viaggio, difatti, nel mese di novembre di quell’anno, lo facemmo proprio in Africa ritornando in Tunisia, attraversando in autostop e in autobus l’Algeria per entrare in Marocco dalla parte sud.
Il solito piccolo aereo da Catania per Palermo e poi Tunisi. La solita visita ai nostri amici a Sfax per correre subito verso Tozeur, Nefta per entrare in Algeria sotto un caldo asfissiante alla volta di El Oued, la città dalle mille cupole.
Alla dogana algerina ancora non era richiesto alcun visto, quindi attraversammo il confine con molta facilità. L’autobus che ci condusse al paese era sgangherato e, dai finestrini, regolarmente senza vetri, entrava la sabbia del deserto accompagnata da un afa  bruciante. Mi ricordo le bruciature di un francese che viaggiava con il braccio appoggiato al finestrino senza pensare alle conseguenze che ciò avrebbe comportato.
La città sembrava vuota e fuori dal tempo. Era tanto il caldo e il vento che ci veniva addosso da crearci l’illusione di trovarci in un mondo irreale. Le strade erano deserte, la sabbia creava uno strato di nebbia impenetrabile, l’ululare del vento svuotava la nostra mente di quel poco di coraggio rimasto e la poca gente che si vedeva si spostava camminando all’indietro per non essere colpita agli occhi dalla sabbia che a quella velocità poteva veramente creare gravi fastidi.
Ci fermammo un solo giorno.
Un hotel fatiscente, con poche stanze, non entusiasmava assolutamente l’incauto turista che vi capitava, anche se gli unici avventori quel giorno sembravamo essere proprio noi due. Ci sdraiammo sul letto bagnati da un sudore che ci congelava addosso sotto il vertiginoso girare delle pale di un grande ventilatore. Eravamo molto debilitati dal sonno e dal caldo, quindi accettammo con grande felicità quello spiraglio di comodità e di frescura che ci donava l’hotel.
Un the alla menta ci dissetò e subito passammo alla ricerca di un mezzo che ci portasse il giorno dopo, in mattinata, alla prossima meta: Tougghurt, Ouargla e poi verso la mitica Ghardaia.  
Dopo aver provato l’autostop per andare alla volta di Ghardaia, ci convincemmo che sarebbe stato meglio cercare un autobus se volevamo continuare il viaggio.
L’autobus ci lasciò proprio nella piazza principale. Trovammo un hotel economico e subito fuori a godere la bellezza del mercato sotto un sole cocente. In un angolo della piazza vi era un terrazzo adibito alla preghiera dove ad ore prestabilite diversi fedeli si inchinavano rivolti verso la Mecca.
La vita si svolgeva regolarmente. Mercato, sole, bambini e preghiere. Non è come da noi in occidente dove la fede viene recitata solo in luoghi chiusi e silenziosi. Nei paesi musulmani tutto si svolge in piena armonia, all’aria aperta, l’uno accanto all’altro, anche se spesse volte, apparentemente, le azioni del momento sembrano contraddirsi.
Pina aveva un foulard nero legato in testa per coprirsi dalla sabbia che in quel momento veniva spazzata via dal vento, portava un paio di zoccoli con le zeppe alte e un paio di jeans arrotolati sino al ginocchio. Ad ogni fontana ci bagnavamo la testa e i piedi per sopportare meglio il grande caldo. Eravamo già nel grande deserto sahariano e l’afa bruciava impietosamente. Prima di uscire allo scoperto bisognava coprirsi ben bene per non farsi colpire direttamente dai raggi del sole.
Ghardaia,  dalle sue case bianche, disposte su un terreno collinoso, adatte per sopportare il caldo del deserto e attraversata da  viuzze  strettissime, cercava di mostrarsi fresca all’incauto viandante che si trovava in giro per le sue strade. Donava l’illusione di essere lambiti da una leggera brezza, bastava insinuarsi tra le strette viuzze, comunicanti tra di loro, per godere di un arietta rigenerante. Eravamo gli unici occidentali a curiosare tra quelle mura…..i bambini rimanevano impietriti al nostro passaggio, fuggivano ma volevano tastarci, sapere cosa portavamo dentro i nostri zaini….cercavano qualunque cosa avesse l’aspetto di nuovo, volevano penne e bon bon.
Un bel mondo, ancora genuino e libero da sofferenze indotte.
Anni dopo, era il 1980, mentre andavano con la jeep verso Tamanrasset, tra i Tuareg, vi ripassammo….ma era già tutta un’altra cosa. Stava iniziando a correre verso i falsi miti proposti da un occidente già, esso stesso, in decadenza.

Col tempo tutto cambia.
Come ci poniamo noi di fronte a questo cambiamento!?
Cambiamo anche noi o assistiamo immoti, senza lasciarci avvolgere da questo continuo divenire, al fluire perenne della vita?
Non ci vuole forse qualcosa di “stabile” per definire un cambiamento?
Chi rimane “fermo”, mentre tutto “cambia”?
Nessuno cambia…………………..mentre, solo apparentemente, tutto è in movimento.
Quale sensazione è più rilevante……………il divenire?.......o l’inalterato?
Non saprei rispondere. A volte mi sento avvolto da questo eterno fluire percependo persino la gioia…………che vorrei bloccare…………come qualcosa di sfuggevole, che mi lambisce appena e subito va via………..che non mi appartiene.
Altre volte mi sento “immoto”, distaccato, un testimone che osserva semplicemente e che non viene toccato da nulla. Mi sento come un “punto d’incontro” che, dall’alto della Sua Assolutezza, smista e separa le infinite realtà che interagiscono in questo mondo.

Da Ghardaia ci spostammo al confine sud con il Marocco mettendoci all’uscita della città a chiedere un passaggio. Un grosso camion ci caricò su, passando per Aflou, Ain Sefra sino a Beni Ounif (440 km). Camminava molto lentamente quindi arrivammo alla frontiera al buio, e a quell’ora il confine era chiuso. Bisognava attendere la luce del giorno se volevamo attraversarlo. Soli, al buio e in compagnia di grossi scorpioni che uscivano da sotto le pietre. I doganieri si erano rinserrati dentro la piccola caserma e noi non sapevamo proprio come difenderci dal buio, dal freddo e dal forte vento che a quell’ora si alzava avvolgendo il deserto con i suoi ululati paurosi.
In altre situazioni ho vissuto simili esperienze, ed ogni volta, puntualmente, come se qualcuno mi proteggesse, dopo momenti di panico, le difficoltà si sono sciolte come neve al sole. Stavolta però con me vi era Pina e non potevo mostrare alcuna indecisione. Dovevo infonderLe coraggio, suscitarLe la sensazione che da lì a poco tutto si sarebbe risolto in meglio.
Non sapendo al momento come fare, automaticamente, senza riflettervi su, spinti da un istinto  pressante  ci avviammo verso la caserma sicuri  che ci avrebbero fatti entrare.
Fu proprio così.
Ci invitarono a dormire in un angolo del cortile.
Mancava fortunatamente il vento, ma il freddo e il rischio degli scorpioni rimaneva. Per noi fu una grande fortuna poterci rintanare in quel luogo. Avevano i mitici  sacchi a pelo ed in parte il freddo veniva attutito, e poi bastò  stringerci, guardarci negli occhi, ringraziarci……guardare la luminosa stella del sud, la croix du sud, e improvvisamente tutta l’ansia e la paura di pochi minuti prima sparirono.
Mi rimane nelle orecchie l’ululato del vento e sulle ossa l’ingrato freddo….e poi vi erano tutte quelle stelle che riempivano di sè quel vuoto così scuro che era l’infinito. Solo il sorgere del sole ci portò un po’ di tranquillità. Eravamo ancora dei bambini, eppure quell’avventura, per noi estrema, iniziava a segnare nel nostro futuro solchi profondi cambiandoci nello spirito e stravolgendo la nostra vita.
La frontiera aprì in mattinata. Noi eravamo già svegli e pronti a mostrare i passaporti appena ce li avrebbero richiesti.

Per me era il secondo passaporto che possedevo, il primo me lo aveva sequestrato la questura perché non contemplava il mio nuovo stato sociale. Negli anni successivi ne chiesi la restituzione diverse volte ma non sono mai riuscito ad averlo. Conteneva timbri e visti di un Europa che avevo attraversato in lungo e in largo spostandomi esclusivamente in autostop.
Ancora oggi mi incupisco nel pensare come si può cercare di legittimare la differenza tra uno Stato all’altro ponendo un semplice timbro sul passaporto. Segnare i confini e dividere popoli ed etnie solo perché vivono stanziati in luoghi distanti tra di loro di pochi chilometri…..è una pura follia. 

In quegli anni un timbro sul passaporto rappresentava la vittoria sull’inattività della vita. Possederne uno e riempirlo di impronte colorate quali i visti di frontiera, era un atto eroico da non dormirci su…..difatti li osservavo continuamente e ne ero fortemente orgoglioso. Negli anni futuri giocavo con Pina a ripercorrere nella mente il momento in cui avevamo preso quel timbro cercando di riviverne anche le sensazioni provate allora.

Li controllarono in fretta e subito attraversammo il confine.
Per arrivare al posto di blocco marocchino dovevamo percorrere a piedi  sette chilometri di terra di nessuno. La strada era ben tracciata e si snodava sotto enormi figure di palme da dattero. Ogni tanto la pista che dovevamo seguire si confondeva con altre piste, ma alla fine riuscivamo sempre a incanalarci su quella giusta.
Da soli, sostenuti dal desiderio di conoscere questa altra parte del mondo, sotto i raggi di quel sole cocente, felici fino ad arrivare alle stelle, ci incamminammo lungo quel sentiero alla scoperta di questa terra meravigliosa. Una jeep piena di militari ci bloccò qualche chilometro dopo, ci perquisì e ci indicò la strada da seguire.

E’ sempre il desiderio di conoscere che in queste situazioni ci spinge ad andare avanti. Allora, se non ci fosse stato quell’anelito interiore che ci ordinava a spingerci oltre, ad affrontare qualunque rischio pur di raggiungere la meta, in tante situazioni non ci saremmo nemmeno trovati.
L’aldilà del conosciuto è la prerogativa del viaggiatore, che poi diventa conosciuto e che dopo poco tempo desidera nuovamente di ri-andare oltre…….compone l’essenza del vagabondo.  
Confrontarci continuamente con ambienti nuovi, ostili e pieni di insidie……….E’ IL VIAGGIO STESSO. La parvenza di sicurezza che ci avvolge nel nostro mondo è quanto mai castrante e difficilmente ci sprona a vivere avventure oltre il “già consolidato”.
Perché farlo, ci chiediamo! Perché interrompere questa nostra quotidianità fatta di cose belle e sicure?
E’ proprio così che pensiamo, e non ci rendiamo conto che questo modo di pensare è il grande nemico che vive dentro di noi. Le migliori occasioni per un uomo sono quelle che si prendono al volo, quelle che ci fanno travalicare la realtà perbenista e limitante dentro la quale sciacquiamo. E’ l’attimo…………è il momento presente che contiene in sé passato-presente-futuro a darci la forza e il coraggio di andare avanti.
Trascurare questa Unità è come perdersi nel mezzo di tante cose belle e continuare a cercare quel Paradiso che, grazie alla nostra insensibilità, non intravediamo.

Dalla frontiera percorremmo qualche altro chilometro a piedi per arrivare a Figuig da dove, con un autobus scassato, proseguimmo per Bou Arfa.
Un villaggio sovrastato da un’assolata montagna di basalto dalla quale, ai suoi piedi, partivano due strade: Una diretta al nord, verso il Mediterraneo, asfaltata che conduceva a Ouida, l’altra verso l’interno del Marocco, che entrava nel deserto, attraversava l’alto Atlante per finire direttamente sull’oceano Atlantico passando per Marrakesh.
I primi 300 km di quest’ultima non erano asfaltati, quindi decidere di spostarsi su di essa implicava una scelta difficile e avventurosa. Decidemmo, ovviamente, per la peggiore.
Bou Arfa non offriva assolutamente nulla al turista. Vi era molto caldo, tanta polvere e diversi asini. Uno di questi, dopo averlo ammirato nelle sue acrobazie su un costone della montagna, esposto  per l’intera giornata al sole, verso l’imbrunire lo vedemmo stramazzare a terra colpito da un colpo di sole. I ragazzini lo circondarono incuriositi assistendo alla sua lenta morte.
Vi era un autobus ogni quattro giorni, quindi  ci toccò rimanere in questo villaggio nella speranza di trovare una locanda in cui mangiare e dormire. Per tre mattine consecutive andammo, insieme ad una coppia di francesi, che nel frattempo si era unita a noi, fuori dal villaggio disponendoci ai bordi della strada per fare  l’autostop.
Impegnavamo così le prime ore del mattino, dato che nessun mezzo dopo una certa ora, appena il sole avrebbe arroventato l’aria circostante, si sarebbe rischiato ad attraversare quella parte del deserto.
Assieme agli zaini colorati e  distesi sui sacchi a pelo trascorrevamo  diverse ora ad immaginare l’arrivo di qualche camion che miracolosamente ci avrebbe presi su facendoci  uscire da quella situazione che diventava sempre più insostenibile.
Nessuno si fermava……….perchè in effetti da quel luogo non transitava nessuno.
Ritornavamo alla locanda esausti e amareggiati e ci preparavamo a trascorrere un altro giorno all’insegna della disperazione e della noia.
In uno di questi giorni, insieme ai francesi, disperati anche loro, scalammo la grande montagna per avere una visione complessiva del luogo in cui ci eravamo impantanati. Muniti di tanta acqua, per non fare la fine del povero asinello, salimmo su e la visione che ci apparve dalla cima fu veramente stupenda: l’Infinito. Sotto di noi, arroventato dal forte calore solare,  vi era  il villaggio composto di qualche casa dalle mura impastate di fango e paglia e proprio ai margini vi erano diverse tende berbere dal tipico colore marrone a strisce bianche…………………….oltre vi era il nulla.
Il deserto appariva nascosto da un manto di nebbia dovuta all’arsura che si condensava fino ad un certa ora. Eravamo circondati da un mare infinito di sabbia e, mentre seguivamo con gli occhi la  striscia di asfalto che si spingeva all’infinito, segnando vistosamente la linearità della strada verso Ouida, quando spostavamo lo sguardo dalla parte opposta per sondare la consistenza  dell’altra strada, quella che dovevamo percorrere noi, venivamo colti da un attimo di panico. L’altra strada era inesistente. Era una striscia gialla, confusa col deserto, senza alcun segnale, piena di buche e soprattutto sommersa dalla sabbia……tanta sabbia. Si perdeva tra le dune e per certi tratti si confondeva con i solchi di tante altre piste lasciate dai camion che, per non insabbiarsi in quelle profonde fenditure,  di volta in volta ne segnavano una nuova.
Un tuffo al cuore.  
Un’altra mattina, spinti dalla curiosità e dalla noia, visitammo senza alcun invito, con il tipico comportamento occidentale da “spaccone”, l’interno di un recinto, alto un metro e composto da semplice argilla, dove vi erano sistemate diverse tende berbere. Fummo accolti con grande rispetto e con molta meraviglia, specialmente dai bambini. Cercavano di toccarci e di mettersi accanto a noi.
In quegli anni sicuramente i viaggiatori che transitavano da quei luoghi erano veramente qualcosa di raro.
Le mamme, dal viso tatuato con i tipici segni berberi, senza mai alzare gli occhi,  indossavano lunghe vesti e, con molta dignità, cercavano di rendersi misteriose dietro quei visi scuri e bruciati dal sole.
Ogni ora scoprivamo qualcosa di interessante.
Il the alla menta ci teneva in fibrillazione continua. I pasti non erano sontuosi, però non mancava mai il riso con il suo bel pezzo di carne di montone. Rimanemmo a Bou Arfa tre giorni e, a parte il gran caldo, quella permanenza forzata non fu per niente noiosa.
Il primo impatto con il Marocco ci diede un piccolo anticipo di cosa avremmo trovato in futuro.
L’autobus finalmente arrivò da Ouida la sera e il giorno dopo, qualche ora prima che spuntasse il sole, avrebbe imboccato la pista che conduceva a Thinerir.
Il solito autobus con i finestrini rotti, strapieno di gente e di mercanzie, dal colore indefinito, con le ruote lisce e piene di toppe, alle prime luci dell’alba, traballando e rumoreggiando, si preparava per partire verso un’altra delle sue avventure sperando di raggiungere la meta.
In Salah!!!!
Vi era molto freddo, quindi ci siamo infilati dentro i sacchi a pelo.  Il viaggio durò un intero giorno. Lentamente, con lo spuntare del sole arrivò il caldo, ci liberammo di qualche indumento e ci lasciammo affascinare dalla visione di quelle montagne gialle prive di qualsiasi forma di vegetazione. I villaggi che attraversavamo erano molto poveri e sembravano disabitati. Era tanto il silenzio dovuto al caldo e alla miseria che, quei pochi abitanti rimasti, stavano rintanati nelle loro case osservando quel silenzio opprimente nella speranza che arrivasse la soluzione tanto desiderata.
Forse nemmeno loro sapevano cosa stavano aspettando, però nell’aria stessa aleggiava qualcosa di triste, di dimenticato, che da un momento all’altro sarebbe esploso.
Visioni di bambini che tenevano legati alle spalle altri bambini di poco più piccoli di loro, scalzi, sporchi e spenti, punteggiarono con la loro presenza  quel lungo viaggio. Le poche case, dai muri scrostati, bucherellati e consumati dal tempo, si confondevano spesse volte con il colore della sabbia. Mancavano i pali della luce, ancora la televisione non era arrivata, solo qualche bicicletta sgangherata, dalle ruote inesistenti timidamente tentava di riportarci all’occidente.
Il resto era tutto un altro mondo. Fermo. Mi sembrava pesante anche l’aria che respiravamo, tanta era la miseria confusa con il forte caldo.
Di tanto in tanto qualche cupola di moschea, sovrastata dal solito  alto minareto, con evidente disarmonia si imponeva, sulla miseria circostante, per rammentare alla gente che il potere religioso, anche lì, era presente.

A Thinerir si concentrano diverse meraviglie naturali degne di essere visitate.
Il deserto finiva ed iniziava una tortuosa strada asfaltata che saliva sull’Alto Atlante per scendere poi, dopo centinaia di chilometri, a Marrakesh.
Era una vera oasi di pace e di bellezze naturali. I dintorni erano rinfrescati da limpidi torrenti dove le lavandaie lavavano i pochi indumenti sbattendoli e strattonandoli con i piedi. Donne berbere dal viso olivastro, qualcuna di carnagione nera e vestita di nero, spezzava la scena emergendo per il suo intenso colore e per la sua bellezza prorompente. Pina intanto era scesa in mezzo al ruscello e, con i piedi immersi nell’acqua, le ammirava affascinata. Io, mi ricordo, ero coperto da un lungo caffettano bianco per proteggermi dal caldo, ma principalmente speravo di vivere l’illusione di appartenere a quel mondo. Mi sono sempre sentito completamente rilassato in mezzo a questa gente. Non ho mai provato paura e mai mi sono sentito a disagio. il loro habitat è sempre stato il mio.  
Le case molto alte, di colore giallo ocra, a più piani, sostenute da travi che  sgranocchiate dalle termiti e logorate dal tempo, davano un senso di instabilità perenne. Erano  i luoghi delle mille e una notte, molto simili alle case “grattacielo” di Shibam nello Yemen orientale.
Castelli enormi, composti di argilla e paglia, svettavano in cielo prodigiosamente. Entravamo nei cortili di queste case fortezza non considerando la riservatezza e la sacralità di quel luogo. Era come deflorare la dignità di una persona, difatti, con la tipica sfacciataggine dell’occidentale colonialista, vi curiosavamo sin dentro le mura sperando di scoprire qualcosa di esotico. Vi era solo miseria supportata da una grande dignità. Pochi suppellettili, qualche tappeto che serviva come luogo per dormire e qualche brocca di acqua. Niente fili elettrici, niente rubinetti, niente fornelli da dove miracolosamente esce il gas. In un angolo vi era ammonticchiata della legna per accendere il braciere in argilla incassato nel pavimento e le pareti  della stanza erano coperte da strati di fuliggine.
Pochi elementi……….ma essenziali. 

In futuro questo nostro comportamento così indecente lo abbiamo riveduto completamente.
Rispettare la gente del luogo è divenuta la prerogativa dei nostri viaggi. Considerarci semplici ospiti che in punta di piedi cercano di comprendere gli usi e i costumi della gente locale, senza pensare e nemmeno tentare di cambiare lo stato delle cose.
La conoscenza deve avvenire in modo naturale, attraverso il cuore, rimanendo semplici spettatori che si affascinano di fronte a qualunque visione, emozionandosi nel riconoscere negli Altri sé stessi mentre si trovano alle prese con situazioni simili a quelle che abbiamo, in altri periodi, vissute anche noi. Non vi è niente da apprendere…………e niente da dare.
Vi è solamente da osservare, ascoltare e………………stare in silenzio.

A 14 km dalla città vi erano le Gole di Thodra, una meta da raggiungere a dorso di asini attraversando le lussureggianti oasi straripanti di colori e di acqua. Ne affittammo due con relativa guida.
L’impresa sin dai primi passi si dimostrò molto avvincente, ma molto, molto pericolosa. Il rischio di cadere era davvero rilevante, e l’attenzione che dovevamo prestare alle delizie del paesaggio veniva in gran parte rivolta all’instabilità del nostro corpo sul dorso dell’asino. Troppo rischioso. Decidemmo di abbandonarli appena un chilometro dopo e di continuare a piedi. La solidità delle nostre gambe ci ridiede la giusta visione del luogo.
Era una meravigliosa oasi con tanto verde, tanta acqua, palme, uccelli coloratissimi tra i quali emergeva l’armonia dei mitici Ibis bianchi……………..vi erano, nascosti tra le palme, villaggi stupendi dalle mura gialle  dove vivevano in un silenzio rasserenante migliaia di gente.
L’armonia della natura cadenzava il trascorrere del tempo.
Pochi bambini, molti contadini chinati sulla terra a coltivare ortaggi o verdure che poi vendevano nei mercati.
La pista che seguivamo si snodava proprio in mezzo a tutto questo paradiso. Non eravamo stanchi, affatto, anzi, a volte spingevamo la guida ad uscire fuori dal tracciato per visitare i villaggi che si intravedevano in lontananza.
La visione delle gole, che sovrastavano questo mondo di pace, si impose con armoniosa irruenza ai nostri occhi. L’ immensa altezza dei due blocchi di montagne di granito che comprimevano la piccola valle ci ha scaraventati nella nostra piccolezza riducendoci a semplici piccoli esseri quali siamo dinnanzi a simili visioni…..e poi vi era il solito fiumiciattolo che scorreva in fondo alla valle ammantato da un grande silenzio che rendeva il luogo misterioso ed attraente.
Entrammo nella gola camminando scalzi con i piedi immersi nella  fredda acqua.

Da noi in Sicilia, per chi le conosce, vi sono le gole dell’Alcantara, ebbene le “Gorge du Thodra”  erano per venti volte più alte.
Gridammo a squarciagola per sentire il rimbombo dell’eco. Meraviglioso!!
Con Pina ci stringemmo molto forte. Volevamo  suggellare quel momento. Ci guardammo negli occhi, emozionati per la bella avventura che stavamo vivendo. La palla di cristallo erano le nostre pupille dove già si intravedevano gli immensi scenari della nostra vita futura attorno al mondo, fatta di spostamenti precari, all’insegna del rispetto della natura, caratterizzata dal desiderio e dalla passione di andare sempre avanti e aldilà dal conosciuto.
Qualche  giorno dopo partimmo per la mitica ed affascinante Marrakesh. Attraversammo l’Alto Atlante su di un autobus che correva all’impazzata. L’autista sicuramente era un incosciente. Non riusciva a mantenere la guida sul lato destro, difatti anche nelle curve si collocava sul lato  sinistro, e a velocità impressionante, senza pensare minimamente alle tante vite umane che dipendevano da Lui, schiacciava l’acceleratore come fosse stato un ossesso. L’adrenalina ci sgorgava a flutti da tutti i pori del nostro corpo.
In altre parti del mondo ci siamo trovati a penare su vecchi autobus per l’incoscienza dei guidatori, e tutte le volte ci siamo rivolti al nostro Dio affidandoci a Lui affinché ci preservasse da una fine terribile.
Fa sempre comodo avere fede in qualcuno durante questi momenti. Almeno non ci sentiamo soli ed in balia delle manie di un pazzo.
Quella volta siamo stati veramente fortunati, a differenza dei tanti  viaggiatori che erano stati scaraventati, assieme ai loro autobus, nei profondi burroni che costellavano quella strada.
Infine la meta arrivò. Era la prima vera città marocchina che incontravamo. Tutto sembrava muoversi ed esistere per affascinare il turista.
La grande piazza conteneva buona parte delle stranezze magrebine. Incantatori di serpenti, giocolieri, truffatori, estrattori di denti,   mangiatori di fuoco, ladri, venditori di acqua, cantanti e ballerini, venditori di oggetti in rame e di cianfrusaglie vari, approfittatori, mendicanti…………..tutto era concentrato in quella piazza. I ristoranti che vi si affacciavano erano pieni di turisti e le loro terrazze servivano al turista stesso come punto di osservazione per ammirare e fotografare le scene sottostanti senza pagare alcun dhiram.
La droga a quei tempi richiamava i soliti fricchettoni da tutta l’Europa. Non costava nulla e poteva trovarsi con grande facilità. Era un mondo da sballo.
Il Marocco distava solamente una spanna di mare dal mondo occidentale, eppure conteneva in sé tanto fascino. In tanti vi si fermavano per lunghi periodi. Si poteva avere così il tempo  di conoscere la città, di sentire i suoi odori e di gustare le sue delizie culinarie.
L’ospitalità era esemplare. Ancora il turista non rappresentava l’unica fonte di economia, veniva considerato e rispettato per quello che era. Non ho mai sentito parlare di rapine o di altri pericoli, a differenza di oggi che tutto è così instabile.
Rimanemmo qualche giorno tra l’incanto dei vecchi suk e le meraviglie della piazza. Portammo un bel ricordo con noi, ed ancora oggi, dopo tanti anni, quel sogno è rimasto tale perché volutamente abbiamo deciso di non ritornarvi più.
A Casablanca ci fermammo solo una notte, il suo grande caos pieno di rumori e di pericoli ci costrinse a partire subito.                                   
Partimmo per Rabat, la capitale amministrativa, poi per Meknes ed infine, dopo svariati giorni trascorsi a girovagare da una città all’altra salendo e scendendo da vecchi autobus, decidemmo di riprendere a fare l’autostop per andare nella mitica Fes.
Una città antichissima, con una medina intricatissima, molto buia, con sottopassaggi grondanti di acqua  e dai suk ancora identici alla struttura originale che risaliva a centinaia di anni addietro.

 L’autostop in Marocco per noi è stato molto facile. Bastava  essere in compagnia di una donna per ottenere passaggi lunghi e a qualunque ora.
A parte la solita piccola disavventura con un conducente di una BMW nuova di zecca che tentava di fare delle avance a Pina fissandola negli occhi o giocando con l’alza cristallo elettrico mentre Lei vi appoggiava il braccio, non successe niente di strano. Solo gente allegra, timida e dignitosa.
A Fes trovammo un piccolo hotel proprio nel centro storico, e da lì assistevamo ai vari spettacoli approntati per il turista.
Due giovanissimi pugili si picchiavano a sangue nella pubblica piazza  pur di racimolare qualche soldo. Una esibizione triste e crudele, condita appositamente per l’incauto turista. Forse a qualcuno queste scene stimolano interesse e divertimento, ma per noi erano molto tristi.

Pur di stupire o di attirare l’attenzione, l’Uomo è disposto ad inscenare la propria morte. La disperazione Lo costringe ad interpretare ruoli autodistruttivi, nella speranza di suscitare pietà così da poter raggranellare qualche soldo…….e il turista rimane impietrito lì, a guardare simili scene.  

Quanti di questi tristi spettacoli  abbiamo visto con Pina nelle varie zone del mondo! In nessuno, purtroppo,  veniva  considerato il rispetto per la  dignità umana. Assistere ad una scena così cruda, pietosa, in cui per guadagnare qualche soldo si decade così in basso infierendo sul proprio corpo  e ferendolo anche nello spirito, fa provare un’amarezza profonda.  Il degrado mentale di quel turista che pur di “vedere quante più stranezze possibili” durante i suoi viaggi, per poi raccontarle ai suoi amici, amplifica l’ego. Siamo noi, con il nostro spasmodico interesse, a stimolare e sostenere l’esistenza di simili spettacoli. Il vuoto che abbiamo dentro cerchiamo di riempirlo con scene raccapriccianti, cerchiamo stimoli estremi, fantasiose avventure pur di meravigliare chi ci ascolta.

A volte è la religione estremizzata ad incitare simili esibizioni, ma il più delle volte è il bisogno di denaro a costringere l’Uomo a trasformare il proprio corpo in un veicolo per produrre denaro. In India, in diverse situazioni, specialmente nelle adiacenze dei luoghi sacri, abbiamo assistito a scene allucinanti.
A Benares vi sono variegate figure di devoti, tra i quali emerge per spettacolarità, il falso devoto…….ebbene, costui, pur di dare spettacolo, con molta facilità, qualcuno trascende in forme di trance estatiche e flagellare pubblicamente a sangue il proprio corpo. Carne maciullata che cammina, seguita da una musica assordante mentre forti fendenti di pugnali ne torturano il corpo…..e le mogli, e i figli in corteo stanno lì a glorificarne le doti…..queste, purtroppo, sono una delle tante scene che predilige qualche turista. Scene prive di spiritualità senza alcun aggancio con la storia millenaria di un India mistica, che ha insegnato l’arte dell’Amore a centinaia di generazioni.

I cunicoli bui e untuosi della vecchia medina pullulavano di gente. Si spostavano tutti senza un senso apparente. Noi guardavamo meravigliati questo mondo così diverso e lontano da quello nostro…………………eppure!! ci sentivamo a casa.
Non ho mai provato la sensazione di essere un intruso, anzi……….cercavo di vibrare in armonia con tutto quel frenetico andirivieni di vite umane. Pina, come sempre, sembrava esservi nata e cresciuta in questo mondo. Era incantata, stregata da tutto quel movimento di vite umane che per sopravvivere affrontava pericoli e umiliazioni enormi. 
Non vi era niente di definito, nessun punto di riferimento al quale appigliarsi. Solo vite umane, la maggior parte sporche, sofferenti, misere……..solo speranze, non in un mondo migliore……sarebbe già tanto………ma in un pezzo di pane per continuare a svegliarsi l’indomani e poi ancora, e sempre così, in eterno……………sino alla fine.
Fes rientrava in questo concetto di mondo.

Partimmo qualche giorno dopo incalzati dal tempo che ci spingeva a rientrare a Tunisi per riprendere l’aereo. Dovevamo ancora attraversare parte del Marocco, l’intera Algeria e  parte della Tunisia.
Partimmo in autostop sino al confine algerino. Attraversammo Oujda per arrivare a Tlemcem dove prendemmo un treno che ci condusse via Orano, ad Algeri.
Un solo giorno per visitare la città e sbrigare qualche formalità alla Tunis air e poi via, sempre in treno, Costantine e Tunisi.
A parte la solita disavventura notturna sul treno dove qualche povero sprovveduto si beccò calci furenti da Pina mentre cercava di tastarLe il sedere, tutto filò liscio. L’aereo fu puntuale e, stavolta, potremmo atterrare all’aeroporto di Catania senza alcun problema.

Antonio mi è sembrato più cresciuto.
Effetto della lunga lontananza, però, subito dopo qualche giorno tutto ritorna normale, nella gradualità delle cose.
Si ripresentano i soliti problemi irrisolti. Ritorno ad aprire lo studio sperando sempre in qualche lavoro e a malincuore riprendo a mettermi in camera oscura per stampare qualche tessera e qualche foto in bianco e nero.
In effetti non sono mai stato innamorato del lavoro in camera oscura. Preferivo leggere anziché mettermi al buio.
L’inverno, mi ricordo, quell’anno fu molto freddo e inzuppato di forti scrosci di acqua. Stava per arrivare il Natale e le case si animavamo di luci colorate e di felici propositi per l’anno nuovo.
Con Pino intanto in quell’ultimo mese dell’anno  avevamo ripreso l’abitudine di frequentare la casa di un anziano signore dal quale, speravamo, con il suo aiuto e con i suoi consigli, di avvicinarci alla conoscenza del mondo del paranormale.

“ U zu Luciano” era un vecchio compagno di partito, contadino, di tempra molto forte, con una personalità notoriamente attraente, dal fare tipico del siciliano di poche parole e dalle idee molto chiare. Viveva la propria vita nel silenzio dei suoi misteriosi poteri. Lo conosceva Pino perché era un suo vicino di casa, quindi non ci è stato difficile entrare tra le sue grazie.
Con un certo timore, durante quelle sere fredde, in un certo senso impauriti dall’oscuro  personaggio che in paese manteneva attorno a sé un alone di mistero, ci recavamo a casa sua convinti di sondare l’aldilà sostenuti dal nostro fare da intellettuali capaci di spiegarsi qualunque manifestazione. Fiduciosi nella nostra razionalità e certi che nulla avrebbe scosso la nostra fiducia in un mondo fatto di sola materia e di lotta politica, mentre Lui chiudeva gli occhi e sembrava trasferirsi in un’altra dimensione, Gli ponevamo delle domande sperando di ottenere risposte palesemente criticabili……………..ma non fu così.
In quelle sere lentamente emergeva la nostra paura e si palesava da parte mia una grande adesione psichica ed interiore per tutto ciò che riguardava l’altra dimensione.








  









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Le uniche azioni diverse dalla normalità, a parte il lavoro che andava a gonfie vele e i progetti per un nuovo viaggio da effettuare nel prossimo mese di novembre, furono le infinite sedute spiritiche che riempirono buona parte delle nottate di quell’anno. L’interesse per il paranormale mi prendeva completamente e tutte le cose che mi capitavano, mi ero convinto, avevano qualcosa da fare con lo spiritismo.   
Improvvisamente scoprii a Motta un grosso numero di persone che si interessavano di queste cose e che avevano contatti diretti con medium quindi con sedute spiritiche, o conoscevano personaggi che venivano posseduti (o che si incarnavano in……..) da entità particolari.
Un intero paese quindi, per quello che mi capitava sapere, nel silenzio della notte si trasformava, abbandonando la luce del giorno, in provetti medium capaci di far saltare tavoli per aria o trasformarsi in medium dai poteri misteriosi.


U zu’ Luciano era “il punto di riferimento”. Tutti i gruppi di aspiranti spiritisti paesani avevano trascorso qualche periodo attorno a Lui. Lo osservavano in silenzio e con un certo rispetto, e Lui, mentre da una trance “attenta” passava a giaculare incomprensibili preghiere che oggi definirei “mantra”, passava a scrutarli con quei  suoi occhi a fessura incutendo una certa paura.   
Nel frattempo le mie conoscenze aumentavano. Personaggi locali dai poteri strani e paranormali andavano affacciandosi al mio mondo. Non passava giorno senza sapere di qualcuno che stupefaceva con i suoi poteri.

Ci tengo a dire che Motta in quel periodo pullulava di personaggi che operavano in questo campo, mantenendo attorno a loro un certo mistero per dare la giusta dignità al ruolo che detenevano.
Oggi, 2007, per quello che sento dire, quei mitici personaggi sono del tutto scomparsi per lasciare spazio ai nuovi “guaritori” che con semplici corsi a pagamento si convincono di possedere poteri pranoterapeutici che gli derivano da energie divine captate attorno a noi. In paese esistono diversi  gruppi di “carismatici” che, dopo aver praticato in seno alla chiesa, ingenuamente e pericolosamente, tentano la strada privata convinti che basta una semplice invocazione allo Spirito Santo per costringerLo a manifestarsi.
Molta ingenuità ed impreparazione gira intorno a queste pratiche. I rischi verso i quali si va incontro sono enormi e possono intaccare perennemente la psiche di chi vi si abbandona senza la dovuta conoscenza. In tanti in questi ultimi anni sono ricorsi alle cure di neurologi e psicanalisti.
L’era della new age.
Le menti e i sogni di molta gente si stanno riempiendo di false illusioni. Basta frequentare un semplice corso, si pensa, per sensibilizzare dei centri nervosi a livello sottile, chakra, per divenire  dei silenziosi “tramiti” che captano dall’etere correnti od energie per poi trasferirle su persone che hanno bisogno di cure. Un discorso molto semplicistico che sta coinvolgendo un infinità di persone, col rischio di attirare su di se mali fisici e angosce psichiche distruttive.

Assieme a Pino entrammo in questo mondo misterioso sponsorizzati indirettamente dalla frequenza costante che avevamo con il capo dei capi. Diverse volte al giorno venivano a prelevarlo persone non di Motta per risolvere casi misteriosi. Non abbiamo mai saputo cosa andasse a fare, però dalla Sua spossatezza fisica era naturale dedurre il grande stress a cui si era  sottoposto. Scompariva a volte per giorni e al Suo ritorno  riprendeva come prima a ricevere persone, curando qualcuno con l’imposizione delle mani e donando qualche preghiera da recitare nei momenti di pericolo.
Oggi definirei queste invocazioni MANTRA, brevi frasi dove vengono evocate delle Divinità, nella speranza di sintonizzarsi alle loro vibrazioni che riempiono d’Amore e di positività l’intero cosmo.
Le nostre visite divennero sempre più frequenti.
L’ammirazione per la Sua persona frenava la mia voglia di curiosità. Ero preso da questo anziano personaggio, che, pur lavorando in campagna, senza la minima cultura, riusciva ad affascinare così tanta gente.
Qualche volta mi informavo sul mio futuro. Specialmente chiedevo notizie sui miei viaggi e se, eventualmente, in futuro avrei realizzato quell’altro mio sogno che era quello di scrivere e scrivere tanto. Mi rispose sempre con ferma schiettezza che entrambi le cose, viaggiare e scrivere, avrebbero caratterizzato tutta la mia vita. In effetti oggi, a parte l’Amore che sento per Pina, sono le due uniche  vere passioni che mi rendono vivo e felice.
In quel periodo, spinto dalla curiosità e dal desiderio di conoscere, mi avvicinai con grande interesse ad un gruppo di persone che praticavano sedute spiritiche.
La presenza di un bravo Maestro di seduta e di un Medium, apparentemente esperto, sollecitarono la mia brama di sapere spingendomi a partecipare a tutti gli incontri che il gruppo proponeva. Eravamo tutti ragazzi con poca esperienza, però vi era la figura del Maestro che colmava questa inefficienza. Era Lui a porre le domande al Medium, era Lui a mandarLo in trance e a decidere quando e dove riunirci per sfruttare nel giusto modo le energie al momento presenti.
La mia presenza nel gruppo inizialmente è stata molto silenziosa e in parte impaurita.
In punta di piedi ascoltavo e tentavo di capire quali energie misteriose si scatenano  in simili situazioni e quanta verità vi fosse durante le manifestazioni insolite che immancabilmente e continuamente andavano presentandosi.
Non volevo essere molto risolutivo giudicando a priori senza conoscere. Potevano benissimo essere manifestazioni naturali indotte da paure psichiche  o dovute veramente a presenze di entità oltre il conosciuto…….però, ero lì, e cercavo di sapere.

Attorno al solito tavolo a tre piedi, sul quale tutti mettevamo le mani, si concentrava la nostra attenzione riempiendo la stanza di una tensione assordante. La voce autoritaria del Maestro, non dopo averci tranquillizzati, cercava di imprimere ordini e visioni al medium il quale, con molta apparente disinvoltura, chiacchierava con i vari Spiriti, o entità, che, secondo Lui, in quel momento popolavano la stanza.
Questo mondo affascinante, nuovo e  stimolante, mi costringeva a stare ore ed ore, a volte tralasciando il lavoro, lontano dalla mia Pina. In quegli anni Lei ancora non lavorava, quindi dedicava tutto il suo tempo alle crescita di Antonio e alla lettura dei vari libri che componevano la nostra libreria.
Lentamente, giorno dopo giorno, il mondo dello spiritismo coinvolse anche Lei. Non potevo nasconderLe questo mio nuovo interesse. Da solo non sarei andato da nessun parte, figuriamoci in questo campo così misterioso, addentrarmi da solo……senza di Lei. Sarebbe stato impossibile.
Dopo qualche mese Le parlai delle sedute convincendoLa a partecipare, anche solo per semplice curiosità.
Passando i mesi, le esperienze aumentavano e assumevano aspetti per certi versi molto travolgenti. Il piccolo gruppo si era ingrandito e qualche volta espatriava dal suo piccolo ambito per andare a confrontarci con altri gruppi. Andavamo anche fuori a fare sedute spiritiche, e nel tempo si aggregavano elementi sempre nuovi e quasi tutti coinvolti, anche indirettamente, in esperimenti con tavoli che si spostavano da soli.
Il Maestro continuamente ci proponeva nuove esperienze in luoghi nuovi, frequentati, per come Lui sapeva, da anime erranti che avevano bisogno di comunicare qualcosa.
Una notte l’intero gruppo, con l’aggiunta di un oscuro Maestro misterbianchese, si spostò sull’Etna, a gironzolare in un bosco di querce sopra Milo. Costui sapeva di un luogo dove si era consumato un omicidio, quindi si presupponeva che vi fosse ancora l’anima o lo spirito rimasti lì ad errare freneticamente cercando un po’ di pace.
Eravamo in tanti. Vi era anche Pina che rimase in macchina con altri ad attendere.
Arrivati sul luogo, non dopo aver percorso diverse centinaia di metri, il Maestro ci consigliò di non perdere il contatto con il suo corpo fisico perché era l’unico schermo di protezione sicura in simili situazioni. L’alta voce del Maestro iniziò ad evocare lo spirito chiamandolo per nome e ordinandogli di farsi sentire.
Paura enorme. Tensione. Impossibile rimanere distaccati da ciò che stava avvenendo.
Presi la macchina fotografica, accesi il flash e mi tenni pronto a fare degli scatti appena il Maestro me lo avrebbe detto.
Fatti sentire. Siamo qui per aiutarti………..gridava.
Improvvisamente dei “presunti” passi calpestarono delle foglie e si avvicinarono paurosamente a noi. Mentre il Maestro cercava di trattenerci rincuorandoci, e mentre il calpestio dei passi si avvicinava sempre di più, io presi ad illuminare con colpi di flash il luogo dal quale provenivano i rumori.
Fermati!! Gridò il Maestro a voce alta. Fermati!!
Il panico ci avvolse, e tutti, in una fuga disordinata, ritornammo in macchina. Le donne erano impaurite perché in simultanea alle nostre voci vedevano i lampi esplosi dal mio flash. Non riuscivano a stare calme.
Una notte da brivido. Indimenticabile.   

Solo oggi, fermandomi un momento a pensare  a quel periodo, capisco i rischi che abbiamo corso e con quanta superficialità ci siamo incanalati in una strada che veramente ci avrebbe spinti in un baratro. Le energie che si sprigionano durante le sedute spiritiche contengono in sé le nostre credenze e le nostre paure. Una mente suggestionabile, come eravamo noi in quegli anni, se non è sostenuta dalla giusta conoscenza e da una fede forte nel Divino, può essere facilmente presa da forme pensiero negative che la possono far scivolare in forme  depressive o di allucinazioni paurose. Si rischia di venire posseduti dai mostri generati dalle nostre stesse paure con conseguenze terribili.
Ringrazio la mia fortuna e il Dio che vive in me per avermi protetto da quelle energie.

Qualcosa è rimasto.
L’esperienza ci segnò tutti. Da quella notte in poi le sedute presero un’altra via.
Le foto scattate furono analizzate da persone esperte i quali, secondo loro, si intravedevano delle ombre bianche. Nessuno seppe  spiegarne cosa significassero.
Nel frattempo si avvicinava il momento del prossimo viaggio.
Avevamo comprato una R5 e la volevamo portare in Iran attraverso la Grecia e la Turchia. Un’impresa da veri pionieri, difatti tutti ci consideravano pazzi ed incoscienti, però ormai quel viaggio ci era entrato dentro e dovevamo solamente risparmiare qualche soldo, comprare qualche ruota di scorta, capire un po’ di motore………………..e via.
La frenesia si era impossessati di noi.
Quel viaggio doveva essere  la nostra rinascita.
La vita che conducevamo a quei tempi non era rigenerante. La casa opprimente, il lavoro ormai decollato e ripetitivo, i pochi contatti con il partito e l’oscuro periodo dello spiritismo, ci stava facendo scivolare nella depressione.
L’occasione era da non perdere.
Il viaggio stesso, così avventuroso, era da non rinviare. Si doveva fare subito, quello stesso anno, e l’unico periodo libero che avevo era novembre.

Il nostro novembre.
Per 25 anni novembre è stato per noi il mese della libertà. Il mese in cui prendevamo gli zaini e scorazzavamo per il mondo. Il mese dei morti, per noi è stato consacrato alla vita. Ogni anno, puntualmente, il miracolo si avverava, ed ogni volta, rubando qualche giorno di ferie, il mese di novembre transitava nel dicembre successivo fino ad occuparne una buona metà.
Insieme, Lei prendendo tutte le ferie (dal ’77 in poi Pina inizia a lavorare) ed io chiudendo lo studio, ci immergevamo nelle delizie di un mondo meraviglioso. Nessun ostacolo si mise mai di fronte per sbarrarci la strada, anche se in futuro con l’arrivo di Alice, le cose sembrarono complicarsi, non rinunciammo mai al viaggio. Ancora oggi, 2008, questa fortuna non ci ha mai abbandonati.

Il desiderio sfrenato per il viaggiare liberi e l’Amore che vi riversiamo su, servono, ancora oggi, a spianarci la strada.
Tutti gli anni, questo miracolo, non ha mancato mai di stupirci.
Pochi giorni prima di partire, improvvisamente, scompaiono tutti gli impedimenti oggettivi e psichici e grazie alla nostra determinazione nel non voler rinunciare alla gioia del viaggiare, quell’Assoluto, al quale tutti dedichiamo dolci ed  infiniti pensieri, ci è sempre venuto incontro. Il nostro Grande Maestro che ci è stato, e lo è tutt’oggi, sempre vicino, intervenendo in silenzio, ha fatto in modo che questo prodigio avvenisse puntualmente tutti gli anni. Quell’immaginetta presa in India in quel bugigattolo di Bombay non si è mai allontanata dalla nostra vita. Ci è stata sempre vicina, consigliandoci in silenzio quale fosse la strada più giusta da imboccare.
Nel 1983 a Singapore, mentre rientravamo in Italia da un lungo viaggio in sud est asiatico, nel quartiere indiano, ci trovammo proprio il 23 novembre a festeggiare il Suo compleanno senza apparentemente saperne nulla. Solo nel 1988 ebbi la fortuna di realizzare, dietro coincidenze e sincronicità misteriose, quanto importante per noi è stato quell’incontro.
Un’altra storia da raccontare.

Nel frattempo, mentre continuavano le sedute spiritiche, e gli incontri con i componenti del gruppo assumevano aspetti sempre più coinvolgenti, aumentava la nostra dipendenza mentale nei confronti del Maestro e delle ipotetiche entità che presenziavano le sedute spiritiche.
Allora ero talmente condizionato da non riuscire a prendere nessuna iniziativa autonomamente. Chiedevo per ogni cosa consigli agli spiriti guida e, per farlo, dovevo interpellare il Maestro il quale, tramite il medium, li contattavamo e potevo esporgli i miei problemi.
Una vita non tanto bella.
La mia libertà lentamente  stava decadendo in una subordinazione assoluta.
Dovevo intervenire.
L’occasione, come sempre, scaturì appena i presunti “spiriti” cercarono di impedirmi di affrontare il viaggio in Iran perché, secondo loro, per noi sarebbe stato molto rischioso. Il medium insisteva nel trasmettere questo messaggio ricevuto dal mio spirito guida.
“Bisogna rimandare il viaggio, partire a novembre sarebbe stato molto pericoloso”.
Questo messaggio, per noi catastrofico, mi spinse con fermezza alla ribellione.
Andai subito in libreria alla ricerca di libri che riguardavano i fenomeni paranormali. Ne trovai diversi, specialmente conobbi Allan Kardec il quale, da grande esperto spiritista, con i suoi libri, mi aiutò moltissimo.

La Conoscenza iniziò a fluirmi dentro permeandomi corpo e mente.
Il Suo potere rigenera. Apre la mente e scioglie i grumi di sangue che la ottundono.
Conoscenza è coscienza.
La differenza è solo nella nostra mente, ma realmente entrambi sono i veicoli che conducono all’Assoluto.
Il risveglio della Coscienza avviene appena la Conoscenza inizia a fluire in noi.
Così avvenne allora dentro di me.
Quei libri benedetti furono la mia salvezza.
Un grande coraggio interiore mi spinse a ribellarmi alle mie stesse paure. La paura del paranormale, dello spirito guida che mi avrebbe punito, paura del Maestro e del Medium che con i loro poteri avrebbero influito sulla normalità della mia vita. Questo non potevo sopportarlo. Mi sarei sottomesso a qualsiasi rinuncia, ma rinunciare al viaggio solo perché qualche entità virtuale mi preconizzava pericoli disastrosi, qualora fossi partito…….questo era troppo.

Da quel momento in poi le sedute spiritiche smisero di svolgersi in un clima di tensione e di paura.
Entrò la conoscenza.
Entrarono i libri con tutta la loro carica rivoluzionaria.
Io e Pino prendemmo coraggio. Gli altri ci seguivano con sgomento. Erano curiosi di conoscere gli eventi, dato che da quel momento in poi ci permettemmo di criticare i messaggi del medium.
Contestavo qualunque messaggio. Chiedevo spiegazioni del perché il mio spirito guida sta tentando di vietarmi quel viaggio, quando Lui sa che per me e Pina è più importante di qualunque cosa. Mi sono sentito tradito da quell’entità che ci consigliava “perentoriamente” di non partire perché saremmo incappati in qualche pericolo devastante.
La paura a volte produce del bene perché fa tintinnare le antenne, ma quando, tramite essa, si tenta di cambiare la storia, o il carattere personale dell’individuo, allora bisogna ribellarsi.
Mi ponevo domande di ogni tipo, la più ricorrente  consisteva nel chiedermi come mai, Lui sa quali sono le mie passioni e che pur di difenderle rinuncerei a qualsiasi cosa, e continua a ribadirmi di rinunciarvi?

Il futuro, per me che non ho mai creduto al destino, è qualcosa che ci costruiamo momento dopo momento, ma soprattutto, ai nostri livelli, specialmente quello umano, dove tutto non è ancora stabilito e tutto è in fase di elaborazione, agire sul futuro e condizionarlo in funzione alla gioia e all’Amore che ogni singolo individuo emana, diventa molto facile. Quel futuro  prevedibile scaturisce di volta in volta dalle possibilità reali che abbiamo di scegliere liberamente ciò che è più giusto fare. L’accadere di certe cose a discapito di altre dipende da noi,  dall’intensità e dalla passione con la quale stabiliamo e creiamo il nostro futuro.

La contestazione ormai occupava gran parte del tempo.
Stranamente in quel periodo la situazione stava entrando in una fase del tutto nuova. Tutti sembravamo essere posseduti da piccole entità che si divertivano a giocare con noi. Diverse volte mi sentii travolto da un movimento interiore ed automatico, molto lento, che mi costringeva a mimare atteggiamenti senza nessuna logica. Forse ero io stesso a spingermi, compiaciuto, a mimare quelle movenze in modo così lento . Non posso confermarlo con sicurezza. L’unica cosa che mi ricordo era l’intensità con la quale, proprio in quel periodo, improvvisamente, succedevano quelle strane manifestazioni.
La paura era scomparsa anche quando uno di noi, Ciccio, sembrava essere posseduto da un’entità che lo rendeva violento e stranamente diverso dalla persona tranquilla che era. Cambiava persino il tono della voce, sembrava allungarsi e per il pauroso rantolare sembrava che stesse scoppiando. Gonfiava e ansimava. Niente di definito, però si percepiva nell’aria qualcosa di misterioso e di tetro. Stranamente non avvertivamo alcuna paura,  a differenza di qualche settimana prima che sentivamo il bisogno di stringerci attorno al Maestro per trattenere  il terrore.
Ero uscito dal tunnel. Volevo solamente conoscere la Verità. Più di una volta bloccai il tavolo a tre piedi mentre si muoveva reclamando la Verità. Erano spiriti burloni o eravamo noi, istintivamente, con un riflesso condizionato forse, a far muovere quel tavolo?
Mentre mi addentravo nella lettura dei libri, andavo assumendo sempre più coraggio. Aumentava la fiducia in me stesso. Mi sentivo forte e rinato. Libero. Tanto forte da scuotere l’esistenza del gruppo, difatti con l’aumentare delle contestazioni, diminuiva l’influenza che queste entità avevano assunto su di noi.
Coraggio. Liberazione. Felicità.

Intanto stava per arrivare novembre e il viaggio incriminato era ormai prossimo. Il golfo Persico ci stava aspettando, e con un po’ di fortuna saremmo entrati proprio in Irak.
Verso la fine di ottobre con Pina, accompagnato da Carmelo e Barbara, in macchina andammo a Roma per prendere il visto. Un’altra pazza mini avventura vissuta in due giorni sulle strade dell’Italia del sud tra rischi e inni alla libertà. Il visto non ci venne concesso, però ci consigliarono di provare al confine tra Iran ed Irak, ad Awhos, possibilmente lo avremmo ottenuto.

Il momento della partenza arrivò.
In macchina, a differenza di quel lontano ’69 quando con Pino la percorremmo in autostop, attraversammo la Calabria alla volta di Brindisi dove la sera dopo ci imbarcammo sulla nave per Patrasso.
Un bel viaggio, sereno e pieno di ricordi. La stessa nave l’avevo presa tanti anni addietro……………era il 1969, mentre infuriava la contestazione globale.
Era stracolma di tanti giovani con il sacco a pelo che partivano a piedi in giro per il mondo.
Ci sdraiammo al sole, sul ponte, cercando di immaginarci le meravigliose avventure che tra qualche ora avrebbero occupato la nostra mente.
Di corsa, appena sbarcati, verso Atene con la nostra mitica R5  dove viviamo qualche giorno da turisti appresso alle schiere di visitatori che scarpinavano verso l’Acropoli…………Salonicco e poi Kabala, e poi verso il confine.
Il confine greco-turco lo attraversiamo di giorno, a differenza di qualche anno addietro quando vi siamo arrivati al buio, in autostop e stremati, e siamo stati costretti a dormire per terra, proprio alla dogana, sommersi da nugoli di insetti.  
Viaggiare in questi luoghi, specialmente in macchina, non è solo una semplice passeggiata tranquilla e rilassante. Vi sono, oltre questa pace, immensi pericoli, soprattutto su queste strade percorse da lunghissimi camion che trasportano merce dall’occidente verso l’Iran.
Entriamo in Turchia e ne percorriamo in un saliscendi continuo le  sue strade sino ad arrivare a Tekirdag…………..ed infine ad Istanbul.
Costantinopoli, la porta d’oriente.
Era affascinante. Un po’ rimessa a nuovo, ma sempre piena di esotismo e di profumi intensi. Le varie moschee, Topkapi e il grande bazar, rimanevamo mete indiscusse.
Quell’odore di oriente ancora, a malapena, perdurava nell’aria.
Purtroppo un certo tipo di cambiamento La stava trascinando tra i suoi vortici. La vecchia città di una volta stava transitando dalla distruzione per incuria, ad una rinascita a vita nuova per placare le richieste del turista occidentale.
Si stava vestendo di occidente, di apparenze e di nuove aspettative.
Ne appurammo la triste transizione tanti anni dopo, nel marzo del 2003, quando Vi ritornammo per una settimana. Era tutta un’altra Istanbul. Non sembrava più la mia Istanbul. Si era vestita di nuovo, di colori innaturali e di luci artificiali. Peccato.

Partimmo dopo pochi giorni, in parte delusi, imboccando la strada verso oriente. Era meglio andare via, subito, per non farmi prendere dalla nostalgia.
Meglio mettersi in macchina…………………e andare via.
Quando la nostalgia sta per arrivare bisogna subito cambiare aria.
Aria nuova, e non c’è di meglio che sedersi in macchina e spostarsi………anche di poco.
Improvvisamente tutto cambia. Cambiamo di umore anche noi e la  gioia riprende a fluirci dentro in modo naturale.

Uscire da Istanbul non è stato tanto facile.
Le macchine erano già tante e le segnalazioni stradali erano inesistenti. Bisognava darsi all’intuito ed avere una buona dose di fortuna. Questi due ingredienti, in questo viaggio, li abbiamo quasi sempre avuti accanto. Se non fosse stato per l’impianto di riscaldamento che senza alcun motivo, già sin da Brindisi, si inceppò, tutto sarebbe andato liscio sino alla fine.
Era già buio da un bel po’ quando arrivammo ad Ankara. Preferimmo non entrare in città e rimanere a dormire in macchina così all’alba saremmo partiti alla volta della Cappadocia attraversando  l’Anatolia centrale per visitare la meravigliosa valle di Goreme con le sue sorprendenti chiese rupestri piene di affreschi dell’XI e XII secolo ricavate nel tufo vulcanico.
Era una notte molto fredda e, in macchina, il freddo, pur essendo imbacuccati con tutto ciò che avevamo, coperte e sacco a pelo sulle gambe, sciarpe al collo, berretto in testa e guanti di lana alle mani, era molto intenso. Ci stringemmo il più possibile per riscaldarci e via……..cercando di chiudere gli occhi.
Una notte di inferno.
Il gelo aveva avviluppato l’intera macchina. Dormire con quella temperatura bassissima era da pazzi, si decise quindi, dopo qualche ora, di ripartire.
Assurdo!!
Un lieve strato di ghiaccio, dovuto al nostro respirare, si era condensato sul vetro. Sembravamo dentro un iglò. I tergicristalli  erano bloccati dal ghiaccio, gli sportelli non si aprivano e i finestrini erano bloccati dal forte freddo che condensava la minima forma di acqua. Fortunatamente la macchina si mise in moto, ma guidare in quelle condizioni era impossibile.
Buio completo. Bisognava scrostare il ghiaccio dal vetro. Come fare!!!
Mancava una fonte di calore per scioglierlo, dato che la stufa era fuori uso. Pensammo di bruciare un po’ di carta sperando che con il calore si aprisse uno spiraglio per poter riuscire almeno a vedere qualcosa.
L’impresa riuscì a malapena.
Poggiai gli occhi sul vetro e lentamente mi spostai.
La salvezza arrivò dopo qualche ora con l’arrivo della luce e con l’avvento di un Sole rigenerante. Assieme al ghiaccio si sciolse anche quel gelo di paura che ci era calato addosso. Eravamo salvi grazie al calore di un Sole che non ci aveva dimenticati.
Lo ringraziammo profondamente……e via.
Musica, allegria e fiducia.

Ancora oggi, quando  ricordo quei momenti, mi viene il brivido.
Eravamo inesperti e presi dalla voglia di andare avanti. Non contemplavamo assolutamente la possibilità di fermarci un po’ per fare il punto della situazione, volevamo solamente andare avanti….avanti, correre sulla Strada perché il desiderio di scoprire cosa vi fosse aldilà era incontenibile.

La valle del Goreme era un miracolo Divino in cui si sublimavano insieme la bellezza della natura e la prodigiosità dell’Uomo. Si integravano perfettamente. Colline svuotate e bucherellate  per ricavare rifugi e luoghi di preghiera. Tutto un sistema di cunicoli comunicanti dove vi si raccoglievano gli uomini di allora per proteggersi da altri uomini e dal clima.
Il freddo della notte precedente lo avevamo dimenticato, tanta era l’ammirazione con la quale ci guardavamo intorno.
Mentre ci stupivamo, spostandoci con la macchina da una collina all’altra per ammirare queste guglie naturali, improvvisamente ci insabbiamo.  Smettiamo di sognare con prepotenza e subito rientriamo nella realtà.
Cerchiamo di spingere la macchina, ma nulla fare. Pina, allarmata, si allontana di corsa per raggiungere la strada principale cercando di chiamare qualcuno. Passa del tempo e poi arriva con i rinforzi su di una moto. Ci mettiamo a spingere con grande lena e poi……………si riparte.
Si prosegue verso Kaisery, Sivas, Erzincan  alla volta di Erzurum, verso il confine iraniano.
La Turchia ci rimane alle spalle con tutte le sue meraviglie e i suoi infiniti pericoli. La Strada era il vero pericolo. Su di essa si spostava qualunque mezzo di locomozione, a partire dai carri trainati dagli asini ai bimbi che scorazzavano su quella scia di asfalto spingendo con i piedi i loro piccoli carrettini. Biciclette e moto sgangherate, autobus fatiscenti e greggi di pecore vi camminavano su facendo aumentare i pericoli. Poi vi erano questi famosi TIR, lunghissimi e snodabili, che riempivano entrambi le corsie, lasciando dietro di sè scie di polvere altissime perché gran parte di quelle strade non erano asfaltate.
Ingaggiavano tra di loro furenti corse e spesse volte lasciavano per strada qualche corpo umano sfracellato. Carcasse maciullate di capre e di mucche erano sparpagliate lungo tutta la strada assieme ai tanti scheletri arrugginiti di camion precipitati lungo le scarpate.  L’unica salvezza era fermarsi, lasciarli andare avanti per evitare la polvere e poi ripartire.
Vi era tanto freddo, anche di giorno, quindi ci fermavamo continuamente per riscaldarci con un the in una delle tante spelonche che si trovavano ai bordi della strada. In mezzo la stanza vi era sempre una stufa a legna mantenuta accesa con pezzi di copertoni  di ruote. Il calore era soffocante, figuriamoci la puzza e il fumo nero che uscivano all’esterno dalla ridotta canna fumaria a quali livelli di inquinamento erano.
Mangiammo molto riso, tanto the, e grosse caciotte di formaggio di capra accompagnate da piccole focacce con cipolle, tanto rassomiglianti al ciapati indiano.

Arrivammo al confine all’imbrunire.
La frontiera si contraddistingueva da un vecchio portone in legno che veniva chiuso appena si faceva buio lasciando dall’altra parte, nel nulla, lo sfortunato viaggiatore. Era lo stesso che attraversai qualche anno prima mentre ero diretto in India.   
Le formalità doganali furono semplici e subito ci spostammo al vicino villaggio di Maku  per cercare da dormire.

Le zone di frontiera sono sempre stati posti infelici. Assieme alla droga e al contrabbando circolano avventurieri, tagliaborse, ladruncoli da quattro soldi e tanti cambia valuta. Bisogna stare molto attenti perché ogni volta si prende una fregatura sempre diversa, quindi le possibilità di proteggersi dipendono esclusivamente dal tuo intuito e dal non dare fiducia a nessuno.
Suscitare pietà è il metodo più usato da chi vuol vendere qualcosa.

La polizia ci consigliò di andare a dormire in una casa di un loro conoscente. Non l’avessimo mai fatto. Stette tutta la notte con il viso spiaccicato sul vetro opaco della porta a guardare Pina. Era molto curioso. Per loro, la donna occidentale  suscita un interesse morboso dovuto al modo di vestire diverso dalle loro donne. Addirittura sulla guida si leggeva di stare attenti ai maschi iraniani perché cercavano di tastare il di dietro delle donne.
Di quella notte mi rimane impresso nella mente un rumore assordante di acqua che precipitava da un alta montagna. L’abitazione era sistemata ai bordi di un precipizio dove  in basso scorreva impetuosamente un fiume.
Partimmo di buon mattino alla volta di Tabriz e subito le prime tende kurde ci apparirono in un incanto sconvolgente. Entrammo in tante di queste tende per ammirare l’arte del tappeto persiano costruito a mano e ci siamo sopratutto meravigliati per come da simili tuguri, sporchi e fumosi, potessero nascere opere di così alta raffinatezza.
La strada per Teheran era affascinante per la sua desolazione. Mi ricordo  di aver visto pochi alberi, nessuna vegetazione e pochissimi villaggi lungo i 1200 km che  ci separavano dal confine.
La piccola R5 procedeva con determinazione senza mai accennare ad un guasto. Era ancora in ottime condizioni e l’unica cosa che dovevamo fare era cambiare l’olio e controllare il livello dell’acqua, per il resto tutto andava da se.
Questa stessa strada l’avevo percorsa nel ’71, quindi era come se fossi di casa. Niente mi creava fastidio. Accettavo qualunque cosa con serenità. La fatica, il sonno ed il freddo facevano parte del viaggio.
Bisognava accettare tutto e condividere con gioia l’immensità di quella natura. Nei millenni queste stesse strade sono state percorse da orde di guerrieri, da mercanti e da avventurieri, ed ognuno ha lasciato qualcosa di sé.
Mentre la macchina scivolava silenziosa verso la meta, ai bordi della strada apparivano e scomparivano visioni da sogno. Fiumi gelati, montagne di rocce consumate dalle forze della natura, gallerie scavate nella viva pietra  trasudanti di acqua e al buio, ponti in legno logoro sostenuti da cavi di acciaio, miseri villaggi di creta protetti da orde di cani famelici, nuvole di polvere e TIR internazionali, lunghi, coloratissimi e rumorosissimi, gruppi di avvoltoi che scarnivano i resti di animali maciullati dai camion.
Era normalissimo assistere a queste scene.

Teheran arrivò dopo qualche giorno.
Una città enorme, non molto interessante. Tra pochi anni sarebbero arrivati gli Ayatollah e molte cose sarebbero cambiate. Il regime dello scià aveva scelto la via occidentale e, allora, mi ricordo, erano pochi i richiami alla grande religione islamica. Vi erano molti occidentali, soprattutto americani, che studiavano nelle sue università. Si stava tentando di agganciare quel mondo, ancora molto legato alle sue tradizioni culturali e religiose, al nostro mondo.
Fu un grande errore.
La civiltà di altri popoli non si può esportare dall’oggi al domani senza passare prima per un lungo processo di crescita e di cambiamento.
Da questa forzatura sono nati molti dei movimenti integralisti che negli anni a venire hanno riempito di sé e di stragi la storia contemporanea.

Partimmo qualche giorno dopo per Isfahan, la perla della Persia, passando da Qom, la città sacra.
Dall’alba al tramonto abbiamo percorso i 500 km che ci separavano dalla città. Le strade da quelle parti erano in ottime condizioni, quindi spingemmo un po’ sull’acceleratore per arrivare prima che facesse buio.
Non ricordo dove abbiamo dormito ad Isfahan, però la bellezza orientale  da mille e una notte delle sue moschee mi è rimasta impressa nella mente. Il nuovo bazar stava proprio sotto gli androni di una di queste moschee dalle cupole intarsiate. I minuscoli suk che popolavano il bazar esponevano le proprie mercanzie disposte in un ordine insolito in questi luoghi. Nessuno mai, mi ricordo, ci chiamò per convincerci a comprare qualcosa. Vi era molta alterigia e superbia, dovuta forse alla grande storia che avevano dietro le spalle.   Accanto vi era la scuola teologica immersa in un vero paradiso, lontana dal caos. Si studiava la lingua sacra araba e si interpretava il Corano.
Un luogo fuori dal tempo.
Pina era affascinata. Ci sentivamo grandi per l’impresa che stavamo vivendo, ma nello stesso tempo risaltava la nostra piccolezza di fronte a simili meraviglie. Sarebbe stupendo vivere in simbiosi con gli splendori della natura. Sentirsi ogni tanto non parte della natura, ma natura stessa. Vivere senza aspettarsi nulla, senza pensare ad un mondo migliore dove vivere perché quello in cui ci troviamo è già perfetto così come è.
Partiamo per Shiraz in mattinata.
Ci separavano altri 500 km e non volevamo perdere la visione della meravigliosa Persepolis che stava proprio vicino Shiraz.
Durante la strada ci siamo fermati diverse volte ad ammirare  colorati mercati in cui si vendevano animali. Si scambiavano soprattutto pecore, capre ed asini, gli unici animali che si incontravano da queste parti.

Nei nostri viaggi il mercato locale è stato sempre un luogo in cui incontrare popoli e tradizioni molto colorati. Spesse volte abbiamo deciso gli itinerari dei viaggi tenendo conto di questi mercati. Negli anni, aumentando le richieste del turista, da semplici scambi paesani in cui ci si incontrava per trattare acquisti di animali o barattare qualche merce inutile con sementi particolari, sono diventati grandi ricorrenze settimanali, addirittura da inserire nelle guide turistiche come il mercato indigeno di Sasquisili in Ecuador il giovedì, o quello di Tarabuco in Bolivia la domenica, o a kasghar sulla via della seta in Cina la domenica, o a Antananarive quello di Zoma in Madagascar, nello Yemen dove tutti paesi sono piccoli mercati pieni di folklore e di colori, il mercato galleggiante di Bankog o quello di Chichicastenango in Guatemala…..o in Birmania sul lago Inle.

Persepolis era distesa in una valle circondata da alte montagne di roccia dove vi erano scavate le tombe dei famosi Ciro, Serse e Ataserse.
Entriamo trionfalmente con la nostra renault 5 percorrendo la striscia di asfalto che attraversava gli ultimi ruderi dell’impero persiano. Rimanevano solo poche colonne in piedi perché, a parte l’uomo che nei millenni l’ha depredata, era stata distrutta da forti scosse telluriche.
Un archeologo restauratore pisano, che lavorava sul luogo, ci istruì sulla storia e ci mostrò in lontananza le varie tombe dei grandi eroi. Una meravigliosa opera umana in perfetta armonia con la natura circostante. Bisognava in parte arrampicarsi sulla montagna per poter accedere alle tombe.
Dall’alto Persepolis si dispiegava nella sua grandiosità. Era circondata dal deserto e da enormi statue che la proteggevano.
Gironzolammo estasiati tra quelle rovine millenarie che avevano segnato in parte anche lo sviluppo della nostra storia.
A quel tempo, era il 1975, la città era calpestata da pecore e da asini in competizione con enormi lucertole che scorazzavano liberamente facendoci sobbalzare dalla paura.
Da poche ore era ritornato il caldo. Ci trovavamo nel sud verso il deserto del Belucistan e nei pressi del Golfo Persico. Già i fumi inquinanti dei pozzi petroliferi infettavano l’aria di un odore di guerra. Erano gli ultimi anni di pace, perché da li a qualche anno il terrore occidentale per appropriarsi delle risorse energetiche avrebbe creato le condizioni oggettive per scatenare una delle guerre più sanguinose della storia.

Negli anni futuri siamo stati tanto capaci da creare fondamentalismi e terrorismi vari per poi poterli condannare ed ergerci a salvatori che portano la civiltà e la libertà. I paladini di questa grande impresa sterminatrice sono i vari governi americani che negli anni si sono succeduti.
Sangue in cambio di petrolio. Questo è stato l’emblema che ha caratterizzato il nostro amato mondo occidentale………………

La stupenda Shiraz stava proprio li, a proteggere questo mondo apparentemente tranquillo. Le sue fantastiche moschee dalle cupole blu ricolmavano l’aria circostante. Anche noi ci siamo sentiti presi, ammaliati da queste grandi opere dove la pace e la ricerca per la verità sono stati nei secoli gli unici obbiettivi da perseguire.
Solo qualche giorno e poi via, altre mete da raggiungere e da incamerare. Si sarebbero confuse con tutte le altre mete raggiunte negli anni passati creando concentrati di “meraviglie” dentro di noi.

Riempiendoci di belle immagini si può dare un senso alla propria vita. Esplode proprio dalle cose che inseriamo dentro di noi l’anelito verso la luce. Bisogna creargli le condizioni interiori per esplodere.
Assimilare Amore per proiettare Amore.
Non per forza debbono essere azioni positive, possono benissimo essere una serie di visioni “meravigliose” a suscitare e a risvegliare in noi il desiderio della conoscenza e l’aspirazione verso Dio.

Costeggiamo il Golfo Persico sino ad Awoz, la mitica Susa, cerchiamo di procedere verso Abadan, in Irak, ma la strada ci viene proibita perché non eravamo in possesso del visto di ingresso, consentito solo a chi andava per lavoro.
Niente da fare. Il vagabondo non è accettato da queste parti.
Sfuggita quest’occasione in futuro non mi è stato più possibile avvicinarmi in questi luoghi. Solamente tanti anni dopo, mentre viaggiavo da Damasco ad Amman si è ripresentata l’occasione, ma, anche quest’altra volta, per i motivi che tutti conosciamo, non è stato possibile entrare in Irak.

Dovevamo attraversare il Kurdistan iraniano, una zona  disabitata, con pochissime strade asfaltate, con il continuo pericolo di essere sommersi da qualche  frana dovuta allo sfaldamento delle montagne circostanti.
Dezful, Khorramabad, Hamadan e via sino a Tabriz e poi in Turchia cercando di spostarci fino al confine Armeno per vedere il biblico monte Ararat.
Diverse volte siamo stati costretti a fermarci per riparare le gomme e in diverse occasioni siamo rimasti fermi per ore ad ammirare la transumanza delle carovane Kurde mentre scendevano dalle montagne innevate alla ricerca di pascoli verdi in pianura.
Pina era ipnotizzata da questo spettacolo così diverso, così inusuale, specialmente per noi occidentali che di queste scene ne avevamo solo il sentore tramandatoci  da qualche libro di avventure fine 900.
Le interminabili carovane erano sempre delle apparizioni. Scendevano dai monti, impolverati e infreddoliti, trasportando con sé tutti i loro averi. Bambini avvolti in indumenti di lana coloratissimi, mercanzie varie che traboccavano dalle gerle disposte ai fianchi degli asini, infinite mandrie di capre, di pecore e di montoni guardati a vista da grossi cani e da pastori kurdi.
Le montagne kurde contrassegnavano un mondo a parte. Già i mitici nomi delle varie regioni che attraversavamo esaltavano la nostra fantasia………bakhtaran, Kurdistan, Zanian, Lorestan e poi, dopo aver attraversato Tabriz…..Nagorno Karabak, Azerbaijan, Armenia e poi ancora, dopo Erzurum……….monte Ararat, lago Van e via di corsa, nuovamente ad Ankara dove stavolta ci fermiamo qualche giorno per visitarla.
La strada del ritorno era   coperta di neve.
In poche settimane era sceso il grande freddo. Le mandrie si spostavano continuamente alla ricerca di cibo e i mandriani, scalzi e infreddoliti, con lunghi bastoni tra le mani, cercavano di raggruppare tutti gli armenti in modo che il loro stesso calore potesse proteggerli dalla morsa del freddo. Le strade erano piene di neve sciolta che, mischiandosi con la terra, creava una poltiglia di fango dove slittare era molto facile.
Dovevamo prestare tanta attenzione.
Tra i grossi camion che  arrancavano a fatica in quelle ripide strade di montagna, emettendo fumi puzzolenti, cercava di farsi spazio la nostra piccola macchina nella speranza di effettuare il fatidico sorpasso liberatorio ………………ma era impossibile e decisamente pericoloso. I camionisti dal finestrino ci indicavano il momento giusto per sorpassare, ma, veramente, non mi fidavo molto.
Forse quello era il momento di abbandonarsi ai loro segnali, di avere fiducia, ma non riuscivo ad averne…..erano stati tanti gli incidenti mortali che avevamo visto lungo quelle strade. Quelle poche volte che mi sono fidato, buttandomi a capofitto in un sorpasso al buio, ne sono uscito con il cuore in gola e con una scarica di adrenalina altissima.

Guidare in questi luoghi è come camminare su un filo di lama. La minima disattenzione comporta una sicura morte. Anche se si preme sul clacson  con ostinazione o si lampeggia con prepotenza, il rischio di finire in un burrone rimane molto alto. Il sorpasso per loro è un gioco, si inseriscono all’impazzata nei più piccoli spazi tra un camion e l’altro tenendosi sempre pronti, col piede sull’acceleratore, a buttarsi in un nuovo sorpasso. Tutto il giorno così. Massima attenzione e assoluta decisione nel superare il mezzo che al momento  rallenta l’avanzata verso casa.

La vita, vista dalla loro parte, non sembra essere molto importante.
Il gioco della vittoria è molto stimolante, fa diventare eroi anche gli incoscienti………..anche un autista di un camion o di un autobus può vivere momenti di gloria. Piccoli personaggi che nel loro piccolo mondo diventano grandi miti da rispettare e, quanto prima, da emulare.
Un eroe dopo l’altro, una vittoria, una piccola conquista vissuta in prima persona sulla strada. In questo modo la stessa vita si compiace e crea le condizioni per uscire da quella scoraggiante solitudine dovuta al grande silenzio che ci vive intorno.

Ripassiamo il confine con la Turchia e ci dirigiamo verso l’Armenia per cercare di intravedere il mitico monte Ararat. La strada ci viene vietata perché rientra in quelle tristi zone militari invalicabili.
Ad Ankara passammo qualche ora da incubo.
Dopo aver lasciato Pina in un hotel ed io da solo parto alla ricerca di un parcheggio, che trovo solo dopo diverse centinaia di metri, al ritorno non riesco più ad orientarmi. Giro per ore a piedi disperato, alla fine prendo un taxi e lo costringo a girare l’intera città alla ricerca dell’hotel perduto. Solo dopo tante ore riesco a trovarlo, nel mentre Pina si era consumata dal pianto e dalla disperazione.
Ripassiamo da Istanbul fermandoci qualche altro giorno e poi, attraverso la Bulgaria innevata partiamo alla volta di Dubrovinic.
Al confine tra la Turchia e la Bulgaria caricammo sulla macchina un austriaco mezzo assiderato. Sperava di trovare un po’ di tepore, invece trova una  macchina congelata simile ad un freezer ambulante.
Era con un paio di sandali senza calze, con pochi indumenti pesanti, quindi lo coprimmo dandogli una coperta. Spinto dal grande freddo comprò  un barattolo di miele trangugiandolo a grandi sorsate. Gli si infiammò la gola e lo costrinse a rimanere con la bocca spalancata per un giorno intero.
La solita polizia bulgara ci bloccò tre volte per la strada e ogni volta ci ritirava i passaporti adducendo motivi inesistenti, quali alta velocità, guida a fari spenti e sorpasso in curva, per multarci. La rabbia era alle stelle. Nessuno si poteva permettere di rubarci in questo modo i soldi. Era talmente indecente il comportamento di questi poliziotti che alla fine aspettammo il buio per avviarci verso la frontiera Jugoslava.

Un'altra volta, era novembre del 1987, in Gambia, quella striscia di terra che si insinua dentro la terra senegalese, avevamo preso in affitto una renault 12, ebbene, anche allora, la polizia per ben due volte, senza alcun motivo, ci ritirò il passaporto perché, secondo loro, avevamo commesso delle infrazioni stradali e minacciati di essere tradotti in un processo istantaneo  se non avessimo pagato subito una certa somma di denaro.
Succede sempre così in questi paesi. I rapporti con polizia sono sempre segnati dalla corruzione, dalle minacce e dalla paura. Ne potrei raccontare a decine. L’unico modo è pagare se si vuole continuare il viaggio.

Vorrei sapere se anche i potenti o i vari partecipanti a gite organizzate di lusso vivono questi problemi……….per non parlare poi dei controlli continui e umilianti subiti in ogni dove dalle forze dell’ordine che cercano droghe varie.
A volte ci chiediamo perplessi…….ma perché viaggiamo?
Quante volte ci siamo sentiti sfiduciati, e quante volte abbiamo tagliato dalle nostre mete diversi paesi……..e quante volte, puntualmente vi siamo ritornati per rivivere la gioia delle emozioni stupende che abbiamo avuto con la gente del luogo?

In Jugoslavia attraversammo parte della Serbia, del Kossovo, del Montenegro e della Croazia. Allora ancora questi paesi erano uniti, nessuno, a quel tempo, poteva prevedere le tragedie e i genocidi che negli anni novanta vi si sarebbero perpetrati. La fine della dignità umana.
Con l’austriaco abbiamo avuto problemi alla frontiera perché non possedeva nemmeno un soldo e non volevano farlo passare. Ci facemmo carico noi fino a Dubrovinic, poi si sarebbe dileguato in quel meraviglioso paese.
Piovve tutto il tempo, vi era freddo e ghiaccio quindi camminare di notte su quella montagne era veramente pericoloso. Fortunatamente ci accodammo ad un pulmino di locali e assieme a loro affrontammo la grande traversata.
A Dubrovinic splendeva il sole, ed in lontananza si sentiva già il fischiare della nave che stava per partire. In fretta acquistammo il biglietto e subito dentro……
Eravamo molto stanchi, avevamo dormito pochissimo ed eravamo sfiniti dal sonno. Salimmo sul ponte a cercare una poltrona. Erano tutte vuote perché la nave trasportava pochi passeggeri. Vi erano dei cacciatori italiani che ritornavano con pulmini congelatori pieni di selvaggina. Gli sterminatori del XX secolo. Dopo aver distrutto la fauna in Italia, si apprestavano a distruggerla anche negli altri paesi.
Li guardammo con tristezza, pensando alla loro malvagità e alla sofferenza che generavano in questa nostro Pianeta.

Il viaggio era finito. Bisognava rientrare subito a casa perché avevo preso degli impegni di lavoro ancora prima di partire. Non potevo esimermi da simili obblighi, il nostro futuro, almeno in quel periodo, dipendeva dal mio lavoro. Avevamo percorso quasi 11.000 km in condizioni stradali pessime e grazie alla macchina e alla nostra passione per il viaggio non  successe nulla di grave.
Il futuro per noi riservava tante altre avventure per le strade del mondo, e dovevamo prepararci, dovevamo desiderare con presenza mentale le cose che amavamo fare, pensare sempre al prossimo viaggio in modo da creare la realtà ancor prima che arrivasse il momento della partenza, alimentandola con forme di pensiero pertinenti.

Da Bari ci fermammo un giorno nei pressi di Alberobello, le grotte di Castellana e Fasano. Il solito giro classico per turisti ordinari. L’unica cosa che ci distingueva era la mia barba, l’aspetto trasandato e l’indecifrabile colore della macchina che da bianca era divenuta grigio fango.

Motta stava per prepararsi alle feste natalizie.
Le strade erano colorate e le luci stavano per risvegliare dal buio la piccola comunità. Le bische clandestine erano già in movimento ed in tante case ci si riuniva per giocare a carte e nel frattempo si poteva pettegolare in libertà.
Io avevo ripreso con le sedute spiritiche, seppure con una visione diversa e con un grande coraggio ritrovato. Spesse volte le sedute le abbiamo fatte dentro casa nostra sfidando le ire e le paure di Pina.
Sconoscevo i pericoli che si incontrano seguendo questa strada, principalmente le energie che si scatenano e le forme di possessione che vengono facilitate dalla nostra paura.
Fortunatamente allora ero già nel cuore del mio Maestro che a mia insaputa, ne sono sicuro, mi stava indirizzando verso la giusta strada.
Non potevo sbagliare.
Anche se  nel mio conscio mi muovevo nell’inconsapevolezza più evidente, l’inconscio ne era già a conoscenza. Preavvertiva l’avvento di una grande luce che in futuro avrebbe ravvivato la mia vita, e lentamente mi stava preparando a questo meraviglioso momento.
Possedevo già la piccola immagine presa in India nel ’71, quindi qualcosa di reale a cui agganciarsi la tenevo nel mio cuore.

L’inconscio contiene il passato, il presente e il futuro. Compone questi tre contenitori mischiandoli, elaborandoli e ne immagina i futuri risvolti empirici che coinvolgeranno colui che li contiene.
Non è un destino prestabilito a priori da forze superiori che non permette vie di scampo, ma è un destino che cammina, è qualcosa che si costruisce sulle tante possibilità che abbiamo di scegliere o di rifiutare. Quindi anche se nell’inconscio risiede la conoscenza di ogni cosa, perché ogni cosa esiste già sin dall’eternità, rimane sempre quel senso di libertà che è la caratteristica essenziale dell’Uomo.

1 commento:

  1. La meravigliosa avventura dell’amico Nuccio Guarnera attraverso un lungo e itinerante vagabondare, dalla Germania all’India.

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MALDIVE

UN PARADISO IN TERRA DI NOME MALDIVE FORSE MEGLIO DIRE TRA PARADISO E INFERNO Video