CU CHI
Voglio raccontarvi dell’esperienza vissuta durante la visita ai Tunnel di CU CHI. Prima di scrivere queste
righe mi sono fermato a riflettere per meglio rielaborare ciò che ho visto e
ciò che ho provato.
Erano anni che desideravo fare questa visita ai
Tunnel, influenzato dai tanti film
girati sulla guerra del Vietnam, per
capire la strategia adottata dai Vietcong per sconfiggere prima i Francesi nella
guerra di liberazione (1945 – 1954) e poi Americani tra il 1960 e il 1975. Questi tunnel
sono costituiti da una fitta rete di
gallerie sotterrane costruite su due- tre livelli di profondità, ampliati in
occasione della guerra del 60-75, che consentivano ai guerriglieri di muoversi
senza essere visti, di portare rifornimenti, informazioni e soprattutto di
sopravvivere alla schiacciante superiorità del nemico dotato di sofisticati e
moderni armamenti e che bombardavano per via aerea. Dentro questi tunnel si
trovava di tutto: ospedali, depositi di armi, dormitori, cucine e tante altre
cose necessarie alla sopravvivenza e al combattimento. Essi
Appena giunti da Mui Ne ad Ho Chi Minh ci organizziamo per la visita ai
tunnel. L’intenzione era quella di riuscire a visitarli liberamente senza
ricorrere a nessuna agenzia per evitare i ritmi imposti dalle guide per
riuscire a far muovere il gruppo in armonia e per avere il giusto silenzio,
necessario per riflettere, immedesimarsi e ricreare nella mente situazioni passate. Tuttavia, un
po’ per pigrizia, un po’ per mancanza di tempo, ci rivolgiamo ad una delle
tantissime agenzie che propongono questo tour.
Di buon mattino viene a prenderci davanti all’agenzia
un ragazzo che sarà la nostra guida per tutta la giornata. In compagnia di
altre 20 o 25 persone di varie
provenienze partiamo in bus alla volta di CU CHI. Arrivati sul posto la guida
fa i biglietti per tutti e attraverso un tunnel (non dei Vietcong J ) arriviamo in una sala dove ci viene proiettato un
documentario del 1967 che illustra la vita dei soldati rivoluzionari e le
modalità di collaborazione dei civili nella lotta armata. Finito il
documentario ci spostiamo all'imbocco di
uno dei tunnel. La guida indica un punto
sul terreno dove si vedono altro che foglie e terra: nessun buco, nessun segno
visibile.
In un secondo momento muove alcune foglie col piede e scopre una
piccola botola di legno rettangolare, non più lunga di 40 cm e larga 30. La
apre e spiega che quella è un'entrata "standard", mantenuta con le
misure originali per dare meglio l’idea ai visitatori di ciò che sono state le
strategie adottate. Chiede se qualcuno se la sente di entrare chiudendo
l’ingresso con il coperchio dopo essere entrato. Dentro non si vede altro che
una biforcazione e poi il buio, in entrambe le direzioni: sembra la tana di una
talpa. "Il volontario deve essere magro," spiega, "a misura di
vietnamita." Poi fa una battuta: io
riuscivo a capire perché vicino c’era una coppia di francesi il quale traduceva
alla sua ragazza e di conseguenza ascoltavo, Mary era alle prese con le foto. "I
soldati americani, rimanevano bloccati quando cercavano di entrare nei tunnel
perché erano grassi." Simula una pancia gonfia con le braccia. "Gli
piaceva troppo fumare la marjuana, e la marjuana mette fame."
Mentre con la mente cercavo di proiettarmi a quel
periodo, uno sparo in lontananza mi distrae, poi un altro e un altro ancora.
"Hai sentito?" chiedo a Mary. Lei non l'ha sentito, io mi sto sicuramente sbagliando. Deve essere
una mia fantasia legata al luogo in cui mi trovo, certo è che questo mi preoccupa ( oppure è colpa dei
troppi film spazzatura che Hollywood ha dedicato al tema e che io mi
sono sorbito. Proseguiamo per ammirare
le micidiali e atroci trappole che i VietCong nascondevano per impedire ai loro
nemici di trovare i tunnel. Vecchie gabbie per tigri, buche con una varietà di
spuntoni in bambù o in ferro, insomma lascio a voi immaginare le conseguenze
dei soldati vittime di queste trappole. I malcapitati rimanevano così bloccati
e feriti, finché i VietCong non andavano a recuperarli per portarli nelle
prigioni e trasferirli poi ad Hanoi, nel Nord. Camminiamo nel bosco e li noto
un curioso cartello con su scritto “non
fumare”, meravigliato penso “cavoli! Sono davvero avanti, vietano di fumare
anche nei parchi”. Su un opuscolo c’è scritto che in quel periodo il bosco non c’era perché non
vi era rimasto alcun albero. Solo terra bruciata, grazie ai bombardamenti al
Napalm ed agli agenti chimici a base di diossina usati dagli Americani. Oggi è
un bellissimo bosco pieno di alberi da cui si ricava la gomma. Proseguiamo e ci
avviciniamo ad un albero che ha un foro vicino alle radici, ecco!
Questo è
un’altra trappola anzi più precisamente una postazione per spiare o fare
imboscate al nemico. Infatti sotto le radici vi è il tunnel. Poco lontano troviamo un carro
armato americano, probabilmente danneggiato da una mina anticarro. Quì sento di
nuovo gli spari. Una vera e propria mitragliata ed anche molto vicina. Poi
altri spari ancor più vicini, adesso anche Mary li ha sentiti, ho un sospiro di
sollievo “Non sono in guerra nel Vietnam
J”. Finalmente arriviamo alla sorgente di quel rumore e io resto sbalordito: c'è una
cava di terra rossa alla cui estremità sono sistemate diverse armi: gli AK47
vanno per la maggiore, ma c'è anche un M16 montato su un cavalletto, a bordo di
una Jeep dell'esercito americano. Adesso capisco perché la guida sul bus diceva
che si poteva anche sparare, ma pensavo che forse Mary non avesse capito bene. Quindi per una cifra dai 30.000 ai 60.000 VND
è possibile sparare con una di quelle armi. Noto che sono in molti a provare
anche uno di noi, un australiano, decide di farlo. Mi avvicino incuriosito alla
postazione ma sono subito fermato da un soldato
che mi invita a fare il biglietto ed a prendere le cuffie. A me non interessa, odio in genere tutte le
armi poi figuriamoci quelle che hanno ucciso tantissime persone. Comunque la situazione
è bizzarra: in un luogo in cui un'atroce guerra d'aggressione ha avuto luogo,
turisti occidentali, provenienti da quello stesso mondo un tempo sconfitto,
impugnano quelle stesse armi per gioco, sotto gli occhi annoiati dei locali che
con intelligenza hanno ben saputo rielaborare la sofferenza passata per
coglierne il lato positivo riuscendo oggi a ricavare profitti. Nel frattempo l’australiano si mette in
posizione con le gambe una davanti all'altra, avvicina un occhio al mirino, si
concentra e Ta-ta-ta- fa fuoco, sembra soddisfatto. Il soldato vietnamita,
responsabile di quell'arma, lo guarda con un'espressione insignificante ad una
distanza di un metro. Si avvicina per ricaricare il fucile, senza dire una
parola, poi torna al suo posto e di nuovo Ta-ta-ta . Ho la sensazione che tutto
questo non gli piaccia affatto. Quanto a me, perdo volentieri l'occasione di
impugnare un'arma per la prima volta, ma come dicevo non è una delle mie
aspirazioni J.
Dopo aaver mangiato una bella pannocchia di granoturco arrostita lasciamo il
poligono di tiro, arriviamo all’entrata di un tunnel, la guida ci dice che chi
vuole e se la sente può provare ad entrare, tutti ci cimentiamo in questa esperienza,
io sono tra i primi. Mary in un primo momento è titubante, ma forse spinta dalla sua curiosità o dalla
sua audacia incoscienza si infila nel tunnel senza sapere cosa gli avrebbe riservato questa sua curiosità. Una
volta dentro al primo tunnel, si scende
in un secondo assimilabile al buco di una talpa e da dove è impossibile
ritornare indietro.
Mi precede una guida che forse per la sua velocità
eccessiva improvvisamente scompare dal mio campo visivo. Io comincio a fare
respiri profondi, sento che mi manca l’aria, il tunnel mi pareva infinito.
Pensavo a come avrebbe fatto Mary e comincio a preoccuparmi sul serio. Procedo
con ansia e anche con un po di paura, ad
un certo punto arrivo a una biforcazione
e sono indeciso se andare a destra o a sinistra, la luce che penetra da una
parte mi fa capire che di la c’è l’uscita, cosi finalmente rivedo il cielo .
Nel frattempo sento la voce di Mary che urla quasi disperata chiamandomi, mi
avvicino di nuovo al tunnel e la guido
con la voce . Finalmente esce con un
viso quasi cadaverico. Penso che questa esperienza le abbia fatta capire che
occorre anche saper rinunciare a certe esperienze che spesso si rivelano
traumatiche. Quando siamo di nuovo tutti fuori, stravolti ma contenti di essere ancora vivi, dopo averci
contati, la guida sorridente dice: "Se
volete continuare a camminare da quella parte potete sbucare fino in Cambogia!
E pensate" continua " che una parte dei tunnel si trovava proprio
sotto una delle basi americane. Loro cercavano Charlie, e lo l'avevano sotto al
sedere!"
Continuava a raccontarci che le scarpe erano
costruite con la gomma dei copertoni dei blindati catturati agli Americani e
che spesso i Vietcong
usavano astuzie, all’apparenza banali, per ingannarli, come per esempio
indossare calzature la cui suola è attaccata alla tomaia al contrario, in modo
da far pensare di andare nella direzione opposta a quella invece effettiva.
Per concludere, è incredibile, inimmaginabile, pensare a
come questo popolo sia riuscito con pochi mezzi
ma con l'astuzia a tener testa ed a sconfiggere gli americani.
L'ingresso nei tunnel non è consigliato a chi soffre di claustrofobia ed anche
chi non ne soffre, come me...... ma è un'esperienza che sono felice di aver
fatto.
CIAO VIETNAM.