(Nelson Mandela)
Premetto l’attentato terroristico in Bangladesh, con la morte di nove
italiani merita una condanna senza SE e senza MA. La storia del terrorismo
Islamico finanziato e sostenuto per anni dai settori imperialisti che
finanziano paesi ormai noti e amici dell’occidente per la destabilizzazione di
interi paesi, che uccide persone innocenti, che vuole far piombare l’umanità in
un medioevo senza precedenti. Un terrorismo che
colpisce alla rinfusa, che non ha nulla a che fare con rivendicazioni
progressiste e neanche lontanamente sostenibili o giustificabili, che è
riflesso dell’imperialismo e non certo lotta per l’emancipazione, la
liberazione dei popoli. Oggi di
fronte a questa ennesima strage avvenuta in un paese tra i più poveri del
mondo, un paese che spesso è afflitto da catastrofe naturali, dove la popolazione vive in condizioni
disumane mi viene difficile unirmi al
solito coro della stampa, della televisione, dei social network che piangono,
che sono pronti a fare crociate di vario genere. Io oggi sono e voglio andare
contro corrente e farmi alcune domande . A Dacca non ci sono belle spiagge, non
ci sono monumenti, non ci sono attrazione turistiche, praticamente non c’è niente, questa è veramente una città brutta e
poverissima.
Il Bangladesh ha però una ricchezza che attrae e giustifica la presenza di tanti
imprenditori ed è quella che è un paese ricco di bambini e bambine di gente
poverissima che lotta per la propria sopravvivenza, dove la schiavitù e tollerata, dove non
esistono diritti umani, dove è facile comprarsi un bambino o bambina e farlo/a
prostituire perché anche questa è lecito.
Il Bangladesh è uno dei pochi paesi musulmani
dove la prostituzione è legale e nel bordello più antico del paese, Kandapara,
vivono oltre 700 donne.
Le ragazze
vengono impiegate giovanissime, ancora bambine, dai 12 anni di età.
Spesso
vengono vendute dalle loro famiglie, troppo povere per mantenerle; oppure,
poverissime, entrano nel bordello per saldare dei debiti, ma dopo averli
estinti non sono in grado di reintegrarsi nella società, ormai stigmatizzate
come prostitute e impossibilitate a trovare un altro lavoro per il resto della
loro vita.
In questa realtà, assoldare centinaia di bambini/e rinchiuderli in piccole
stanze, farli lavorare notte e giorno senza mai uscire è legale, poi se per
caso succede un incendio o crolla come è
avvenuto sempre a Dacca (qualcuno
ricorderà) nel 2013 dove oltre 1100 operai, tra cui donne e bambini morirono
nel crollo di una fabbrica. Allora un’importante catena
di abbigliamento italiana risultò coinvolta, in quanto appaltatrice di decine
di migliaia di capi, inchiodata dalle foto del crollo e dalle etichette ben
evidenti, nonostante un tentativo iniziale di negare ogni coinvolgimento.
Ecco forse in tutto questo si riesce a trovare le risposte della presenza
di tutti questi imprenditori, (mi viene
difficile anche definirli imprenditori forse è meglio definirli schiavisti) Naturalmente non
vi è alcun legame e nessuna giustificazione rispetto all’attentato dell’Isis
sia chiaro, ma non si parli di filantropia, o passione per i viaggi. Alcune
stime economiche hanno verificato che sui capi di abbigliamento prodotti
tramite subappalti nel sud est asiatico le grandi marche riescano a ricavare un
profitto di oltre venti volte il costo pagato alla fabbrica che esegue il
lavoro. Una polo ad esempio, venduta in Italia a 80 euro ne costa appena 4, 5.
Di questi una parte misera finisce ai lavoratori, pagati meno di 2 euro al
giorno.
Per capire cosa sta accadendo in
Italia basta farsi un giro nei distretti tessili di un tempo oggi ridotti a un
cumulo di macerie o rilevati da aziende che usano manodopera straniera
costituendo una sorta di zone economiche speciali (Prato), tollerate dallo
stato, in cui le condizioni di lavoro del sud est asiatico sono di fatto
importate in Italia.
Sappiamo cosa
accade, sappiamo quanto gravi siano le responsabilità delle aziende italiane,
dell’elitè della moda, e del made in Italy in tutto questo. In Bangladesh, come dicevo prima oggi ci sono
migliaia di operai sottopagati schiavizzati che lavorano in condizioni disumane.
Migliaia di Iqbal Masih, il bambino pakistano che denunciò la condizione di sfruttamento
del lavoro minorile. Le imprese italiane
lo sanno. Non sono lì a fare
filantropia, non sono li per viaggi di piacere, per conoscere altre culture ma
per reclutare schiavi. Il mio pensiero
va invece a quella schiera di volontari come quella di Terre des Hommes, l'onlus e a tutte quelle
persone che cercano di portare un aiuto, un sorriso a queste popolazione a
questi bambini/e
http://www.il-miomondo.it/
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