martedì 5 luglio 2016

VIAGGIO NEL PAESE DEGLI INVISIBILI


Io credo che i bambini nel mondo debbano essere liberi di crescere e diventare adulti, in salute, pace e dignità.
(Nelson Mandela)

Premetto l’attentato terroristico in Bangladesh, con la morte di nove italiani merita una condanna senza SE e senza MA. La storia del terrorismo Islamico finanziato e sostenuto per anni dai settori imperialisti che finanziano paesi ormai noti e amici dell’occidente per la destabilizzazione di interi paesi, che uccide persone innocenti, che vuole far piombare l’umanità in un medioevo senza precedenti. Un terrorismo che colpisce alla rinfusa, che non ha nulla a che fare con rivendicazioni progressiste e neanche lontanamente sostenibili o giustificabili, che è riflesso dell’imperialismo e non certo lotta per l’emancipazione, la liberazione dei popoli. Oggi di fronte a questa ennesima strage avvenuta in un paese tra i più poveri del mondo, un paese che spesso è afflitto da catastrofe naturali,  dove la popolazione vive in condizioni disumane mi viene difficile  unirmi al solito coro della stampa, della televisione, dei social network che piangono, che sono pronti a fare crociate di vario genere. Io oggi sono e voglio andare contro corrente e farmi alcune domande . A Dacca non ci sono belle spiagge, non ci sono monumenti, non ci sono attrazione turistiche,  praticamente non c’è niente,  questa è veramente una città brutta e poverissima.
Il Bangladesh ha però una ricchezza che attrae e giustifica la presenza di tanti imprenditori ed è quella che è un paese ricco di bambini e bambine di gente poverissima che lotta per la propria sopravvivenza,  dove la schiavitù e tollerata, dove non esistono diritti umani, dove è facile comprarsi un bambino o bambina e farlo/a prostituire perché anche questa è lecito.  Il Bangladesh è uno dei pochi paesi musulmani dove la prostituzione è legale e nel bordello più antico del paese, Kandapara, vivono oltre 700 donne.

Le ragazze vengono impiegate giovanissime, ancora bambine, dai 12 anni di età.

Spesso vengono vendute dalle loro famiglie, troppo povere per mantenerle; oppure, poverissime, entrano nel bordello per saldare dei debiti, ma dopo averli estinti non sono in grado di reintegrarsi nella società, ormai stigmatizzate come prostitute e impossibilitate a trovare un altro lavoro per il resto della loro vita.

In questa realtà, assoldare centinaia di bambini/e rinchiuderli in piccole stanze, farli lavorare notte e giorno senza mai uscire è legale, poi se per caso succede un incendio o  crolla come è avvenuto sempre a Dacca  (qualcuno ricorderà) nel 2013 dove oltre 1100 operai, tra cui donne e bambini morirono nel crollo di una fabbrica. Allora un’importante catena di abbigliamento italiana risultò coinvolta, in quanto appaltatrice di decine di migliaia di capi, inchiodata dalle foto del crollo e dalle etichette ben evidenti, nonostante un tentativo iniziale di negare ogni coinvolgimento.

Ecco forse in tutto questo si riesce a trovare le risposte della presenza di tutti questi imprenditori,  (mi viene difficile anche definirli imprenditori forse è meglio definirli schiavisti)   Naturalmente non vi è alcun legame e nessuna giustificazione rispetto all’attentato dell’Isis sia chiaro, ma non si parli di filantropia, o passione per i viaggi. Alcune stime economiche hanno verificato che sui capi di abbigliamento prodotti tramite subappalti nel sud est asiatico le grandi marche riescano a ricavare un profitto di oltre venti volte il costo pagato alla fabbrica che esegue il lavoro. Una polo ad esempio, venduta in Italia a 80 euro ne costa appena 4, 5. Di questi una parte misera finisce ai lavoratori, pagati meno di 2 euro al giorno.

Per capire cosa sta accadendo in Italia basta farsi un giro nei distretti tessili di un tempo oggi ridotti a un cumulo di macerie o rilevati da aziende che usano manodopera straniera costituendo una sorta di zone economiche speciali (Prato), tollerate dallo stato, in cui le condizioni di lavoro del sud est asiatico sono di fatto importate in Italia.
Sappiamo cosa accade, sappiamo quanto gravi siano le responsabilità delle aziende italiane, dell’elitè della moda, e del made in Italy in tutto questo. In Bangladesh, come dicevo prima oggi ci sono migliaia di operai sottopagati schiavizzati che lavorano in condizioni disumane. Migliaia di Iqbal Masih, il bambino pakistano che denunciò la condizione di sfruttamento del lavoro minorile.  Le imprese italiane lo sanno.  Non sono lì a fare filantropia, non sono li per viaggi di piacere, per conoscere altre culture ma per reclutare schiavi.  Il mio pensiero va invece a quella schiera di volontari come quella di  Terre des Hommes, l'onlus e a tutte quelle persone che cercano di portare un aiuto, un sorriso a queste popolazione a questi bambini/e


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