giovedì 6 marzo 2025

SCHEGGE DI RICORDI

TRA POLVERE E STELLE, SOTTO IL CIELO 

DELL' AUTBACK  AUSTRALIANO


Il Nostro compagno di viaggio


la nostra avventura in Australia con quella che per noi è stata la parte più emozionante ed incredibile del viaggio ovvero l'outback, dove si viene a contatto con la vera Australia.
Basta allontanarsi di pochi km dalla costa per notare un cambiamento nel paesaggio che si fa più arido, disabitato, caldo e desertico.
C'è una sola strada che attraversa l'Australia nel centro da sud a nord, è la Stuart Highway, una lingua d'asfalto lunga 2.834 km che attraversa il rosso deserto australiano partendo da Port Augusta e arrivando a Darwin passando per Alice Springs.



Il fuoristrada divorava la strada polverosa, lasciando dietro di sé una scia di terra rossa che si disperdeva nel vento caldo. Nel mezzo non c'è niente oltre a noi, le ruote del nostro mezzo e l'orizzonte che non aspetta altro di essere raggiunto.   L’Outback si stendeva intorno a noi come un oceano immobile, senza confini, senza punti di riferimento, solo una distesa infinita di terra bruciata dal sole. Non c’erano semafori, né cartelli stradali, né voci umane—solo il rumore del motore e il battito regolare del nostro cuore, in sintonia con il viaggio. 

La libertà era assoluta. Nessun orologio, nessuna agenda, nessun pensiero che non fosse il qui e ora. Ma sotto quella sensazione di infinito c’era una consapevolezza che non potevamo ignorare: eravamo soli, completamente soli. E nel cuore di quell’immensità, la nostra unica preoccupazione era una: trovare un roadhouse, uno di quei campeggi per camionisti, un piccolo avamposto di civiltà in mezzo al nulla, dove fermarsi a riposare e fare il pieno di carburante.

- Una delle Roadhouse -


Ogni chilometro percorso era una vittoria, ma anche una scommessa. Se il nostro mezzo avesse deciso di piantarsi lì, sotto il sole spietato, non c’era nessun garage a pochi passi, nessun meccanico da chiamare con un clic. Solo silenzio e attesa. Ogni piccolo rumore strano del motore ci faceva trattenere il respiro. Ogni cartello arrugginito che annunciava una roadhouse a cento chilometri era un sollievo, una promessa di un pasto caldo e di una notte senza la paura di restare bloccati nel nulla. 



E poi arrivava la sera. Il cielo si accendeva di stelle, milioni di punti luminosi su un nero così profondo che sembrava infinito. Ci sedemmo davanti alla nostra tenda, in silenzio, lasciandoci avvolgere dalla vastità della notte. Sembrava di poter allungare una mano e toccarle, quelle stelle. L’aria era limpida, il vento leggero, e tutto intorno a noi c’era solo il respiro della terra.



Fu in quel momento che li vedemmo. Accanto a un gruppo di alberi poco lontano, alcune figure erano sdraiate per terra, quasi fuse con il paesaggio. Un gruppo di aborigeni stava riposando sotto il cielo aperto, senza tende, senza ripari. Dormivano lì, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ricordai allora quello che avevo letto: per molti di loro, le case non hanno senso. Il cielo è il loro soffitto, la terra il loro letto. Guardandoli, capii che quella terra non era solo uno spazio vuoto da attraversare, ma un luogo vivo, con storie e tradizioni che risuonavano da secoli. Mi venne in mente La via dei Canti di Bruce Chatwin, il libro che parlava dei sentieri invisibili tracciati dagli aborigeni, linee di canti che collegavano ogni angolo di quell’immenso continente. Forse anche noi, senza saperlo, stavamo seguendo una di quelle strade antiche.



- Sua Maestà Uluru -

Laggiù, oltre la linea tremolante dell’orizzonte, appare Uluru, come un respiro antico scolpito nella terra. Il cuore batte più forte, le mani cercano un appiglio, ma lo sguardo resta inchiodato a quella presenza immensa e silenziosa. Il sole lo accarezza, tingendolo di rosso fuoco, e per un istante il tempo si ferma. Ogni passo che ci avvicina sembra portarci dentro un sogno, in un luogo dove la storia si mescola alla leggenda, dove la terra racconta storie senza parole. L’aria si riempie di qualcosa di sacro, un’energia che vibra dentro di noi, come se quel monolite sapesse chi siamo, come se ci riconoscesse. E in quel momento, davanti alla sua maestosità, ci sentiamo piccoli, ma incredibilmente vivi





In quel silenzio, sotto quel cielo infinito, non eravamo più semplici viaggiatori. Eravamo parte di qualcosa di più grande, di una storia che si ripeteva da millenni.



SCHEGGE DI RICORDI

TRA POLVERE E STELLE, SOTTO IL CIELO  DELL' AUTBACK  AUSTRALIANO Il Nostro compagno di viaggio la nostra avventura in Australia con quel...